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Il referendum del Trattato di Lisbona in Irlanda

category irlanda / gran bretagna | vari | opinione / analisi author Tuesday July 01, 2008 00:00author by José Antonio Gutiérrez D. Report this post to the editors

Un nuovo scivolone per gli architetti dell'Europa del Capitale

Il trionfo del No in Irlanda è la chiara dimostrazione della mancanza di legittimità popolare del progetto europeo, spinto dai tecnocrati di Bruxelles e dalle transnazionali raggruppate nel cartello capitalista della ERT. Questo rifiuto da parte del paese coi più alti indici di approvazione e popolarità dell'UE, dimostra che è necessaria un altro tipo di unità europea, un'unità reale dei paesi. Inoltre, il divorzio esistente tra l'opinione popolare e quella dei suoi "rappresentanti" manifesta la crisi della democrazia rappresentativa e l'attualità della democrazia diretta. [Castellano] [English] [Ελληνικά]
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Il referendum del Trattato di Lisbona in Irlanda:

un nuovo scivolone per gli architetti dell'Europa del Capitale


Contro - quasi - tutte le prognosi dell'elite politica, il Trattato di Lisbona è stato respinto nel referendum in Irlanda. Con più di un 50% di partecipazione elettorale, il No si è imposto con un margine categorico, per un 53 percento degli elettori. Si è trattato di una vera secchiata di acqua fredda per le elites irlandese ed europea. E non dubitiamo che ciò sia stato fonte di gioia per l'immensa maggioranza dei cittadini europei che si sono visti negata la possibilità di votare sul Trattato, per una Unione sempre di più poco democratica e molto burocratica.

Si era fatto ricorso a tutti i mezzi per spingere l'elettorato a un voto di sostegno in favore del Trattato di Lisbona: terrorismo mediatico che prevedeva ogni tipo di catastrofi apocalittiche sull'economia e la società se il referendum fosse stato respinto; ostracismo dell'Unione Europea; la saturazione degli spazi radiali e televisivi per chiamare a votare a favore. La stampa, invece di informare nella maniera più imparziale possibile, ha optato per un'entusiastica e svergognata adesione alla ratifica. Si è provato di tutto, si è fatto di tutto per indurre a votare Sì. Tutto, salvo una cosa: offrire argomenti convincenti.

Votare Sì, votare ad occhi chiusi...

La propaganda a beneficio di Lisbona è stata fatta tardi per evitare il dibattito e senza argomenti di peso per appoggiare il Trattato, girandosi solo intorno a posti comuni e messaggi vuoti di ogni contenuto: "Sì all'Europa", "Per più posti di lavoro, Sì", "Stare nel cuore dell'Europa", "Buono per l'Irlanda e buono per l'Europa", eccetera... La propaganda del Sì, oltre a ingenerare paura sull'elettorato con l'annuncio di imminenti catastrofi se l'elettorato non si fosse comportato, ha anche tentato di confondere l'elettorato di un paese in cui l'Unione Europea ha uno dei livelli più alti di accettazione, facendo credere che Trattato di Lisbona e Unione Europea erano sinonimici. Secondo loro il No al trattato sarebbe un No all'Europa...

La cosa certa è che la campagna del Sì non è stata capace di offrire argomenti convincenti perché non li aveva: non si è potuto dimostrare alla cittadina media della repubblica che benefici potrebbe portato questo Trattato, o in che misura esso potrebbe rappresentare un avanzamento per gli interessi dell'insieme della società, per i diritti sociali, per una maggiore partecipazione e democrazia. Questa genere di dibattito è stato evitato ad ogni costo dal governo e da tutta la classe dirigente politica perché essi sapevano bene che li avrebbe fatto perdere. Allora la scommessa è stata il voto di fiducia: nei manifesti che chiamavano a votare Sì erano raffigurati i politici dei principali partiti: Labour, Fine Gael, Fianna Fáil, Progressive Democrats. Al fianco dei loro visi con sorrisi stirati e falsi, l'appello al voto favorevole.

Alcuni sono andati un po' più lontano nella difesa del voto di fiducia. Un paio di giorni prima del referendum, nel conservatore Irish Times, il caricaturista Martyn Turner disegnava una vignetta nella quale si vedevano un paio di personaggi: uno diceva "Io voterò No al referendum perché non capisco il Trattato di Lisbona". Al suo fianco, un altro personaggio "Io non comprerò una macchina perché non capisco il funzionamento del motore a scoppio". Il messaggio consisteva nel sostenere la non necessarietà di conoscere il Trattato o di capirlo, bastando la fiducia nei "grandi uomini che guidano i destini della nazione". Non si disturbavano a spiegare come funziona il motore, ma chiedevano che ci si fidasse del meccanico. Dimenticando che politica funziona in maniera differente da quella di un motore. La società non è governata dalle leggi della fisica né della chimica. In società esistono alternative sociali e il paese ha diritto a sapere il perché dei processi politici che gli tocca vivere. Se il campo del Sì è stato incapace di fornire argomenti a beneficio della sua opzione, e su essi ricadeva il peso dell'onus probandi, è naturale che gli elettori abbiano diffidato del "meccanico".

Tutto lo spettro della politica ufficiale-parlamentare, salvo il partito repubblicano Sinn Féin ed alcuni deputati indipendenti, si era posizionato in favore della ratifica di Lisbona. E tuttavia, il paese ha votato contro l'opinione del 94% dei rappresentanti eletti, in questo modo manifestando il rifiuto del popolo irlandese verso la politica tradizionale di questo paese e il grado di distanza da essa, così come la distanza tra la cittadinanza e i media ufficiali impegnatisi a beneficio del Sì. E in effetti se uno vede gente come John Gormley (Verdi), Eamon Gilmore (Labour), Bertie Ahern (Fianna Fáil; ex-primo ministro che poco tempo fa ha dovuto dimettersi per corruzione) e Enda Kenny (Fine Gael) dare la mano agli insopportabili Progressive Democrats (ultra-neoliberali), chiamando a votare per il Sì, allora si ha diritto a sospettare che qualcosa si va tramando...

Il voto per il No: molti motivi, giusto istinto

Ma se sarebbe scorretto supporre che il trionfo del No non si spiega solamente con le campagne effettuate da una variopinta gamma di gruppi e organizzazioni da destra a sinistra, sarebbe anche scorretto privarle di importanza, come invece il governo sta tentando di fare. Questi gruppi, da diverse e perfino contraddittorie prospettive, hanno effettivamente fornito argomenti più convincenti che quelli degli avversari. Il voto per il No non è stato semplicemente un "voto punitivo", come gli scoraggiati fautori di Lisbona vorrebbero farci credere. Il voto al No ha avuto tante motivazioni quante sono state le ragioni addotte dalle differenti campagne. Certo è che il cosiddetto voto "eurofobico" è insignificante in Irlanda e che in generale l'istinto popolare è stato nel giusto nel respingere la centralizzazione burocratica di Bruxelles e un progetto delle elites, cucinato con gli avanzi riscaldati della Costituzione respinta in Francia e Paesi Bassi alcuni anni fa. Non erano pochi quelli che si domandavano perché si realizzava un referendum per un documento di simile importanza solo in Irlanda...

Se l'istinto popolare ha fatto bene a respingere il deficit democratico di Lisbona, le reazioni arroganti e profondamente ostili delle autorità europee alla manifestazione sovrana del paese irlandese, non ha fatto altro che confermare quanto abbia fatto la cosa corretta il popolo irlandese a dire No. I capricci nel continente sono stati all'ordine del giorno: da Sarkozy che insiste nell'ignorare il cosiddetto "incidente" irlandese e nell'avanzare come se niente fosse, fino al ministro tedesco che ha suggerito indirettamente di escludere l'Irlanda. Tutto questo non deve essere preso se non per quello che è, e non vale la pena dare un'importanza maggiore di quella effettiva. Tuttavia si tratta di una fedele attestazione del "valore" che l'establishment politico europeo attribuisce al più semplice dei diritti democratici: "se il paese non vota quello che noi vogliamo, l'ignoriamo, nel migliore dei casi, o lo puniamo. nel peggiore".

A essere fuori di ogni dubbio, è il fatto che i politici europei e irlandesi non avranno né la statura morale per accettare il risultato, né l'umiltà per rispettarlo, né l'intelligenza per comprenderne il profondo significato: vale a dire che il processo di costruzione dell'Europa del Capitale, sviluppatosi dal Trattato di Maastricht, è del tutto privo di legittimità. Se non mi si crede, stiamo a vedere se oseranno fare referendum negli altri paesi europei e come va a finire...

Dall'istinto all'alternativa

La voce del popoolo di Irlanda deve servire per aprire spazi nei movimenti sociali dell'Europa al fine di ripensare il genere di Unione che vogliamo: se una costruita artificialmente dall'alto, da Bruxelles, oppure una che nasca organicamente da tutti i settori, con partecipazione reale a tutti i livelli. Se vogliamo un'Europa al servizio di alcuni grandi capitalisti, o un'Europa che costruisca la sua economia in maniera sostenibile, al servizio del suo popolo e in cui anche vincoli economici col resto del mondo siano costruiti in base alla solidarietà.

Sappiamo che questo "incidente" non fermerà gli architetti dell'Europa del Capitale: sono troppi gli interessi in gioco. Sappiamo che l'opinione di alcune centinaia di migliaia di persone perse in un'isola marginale in mezzo all'Atlantico del nord non cambierà l'opinione né di Barroso né di Mandelson né della poderosa lobby imprenditoriale dell'ERT. Se la Shell fa quello che vuole da queste parti, bene potrà farlo l'UE. Addirittura già alcuni parlano di un possibile nuovo referendum, dimostrando il più assoluto disprezzo per la nostra opinione. Ma vogliamo mettere in chiaro che non è in Irlanda che si ha bisogno di un nuovo referendum, bensì nel resto dell'Europa, in tutti i paesi dell'UE. Essi non vorranno farlo e vorranno continuare a procedere con il loro progetto. Potranno farlo, ma ormai non nel nostro nome. Questo è risultato con estrema chiarezza il 12 Giugno nella tranquilla Irlanda.

A questo punto diventa imperativo pensare al tipo di Europa che vogliamo: con Lisbona o senza Lisbona, l'UE è anti-democratica, è al servizio delle elites capitaliste e sta già costruendo un progetto imperiale che si esprime in una serie di accordi di libero commercio col terzo mondo, come gli Accordi di Associazione in America Latina, e gli EPA in Africa, Asia e Caraibi - sui quali nemmeno ci si consulta... Pensare al progetto, pensare all'alternativa, è di un'importanza primaria se non vogliamo stare eternamente a reagire alle manovre dell'elite europea. Se non facciamo questo passo, le piccole vittorie del presente saranno le sconfitte del domani, davanti ad un nemico che non abbassa mai la guardia.


José Antonio Gutiérrez D.

16 giugno 2008

Traduzione a cura di Pier Francesco Zarcone

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