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Le mie prigioni e le mie evasioni

category italia / svizzera | storia dell'anarchismo | comunicato stampa author Wednesday December 05, 2007 19:45author by Giovanni Domaschi Report this post to the editors

Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista

Operaio, anarchico, antifascista, dopo aver partecipato alle lotte politiche e sindacali nella sua città il veronese Giovanni Domaschi (Verona, 1891-Dachau, 1945) ha trascorso quasi per intero il ventennio fascista rinchiuso in carcere o relegato al confino. Membro del secondo Comitato di liberazione nazionale di Verona, prima di essere deportato in Germania e di trovare la morte in un lager ha avuto modo di scrivere le sue memorie.
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Le mie prigioni e le mie evasioni

Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista

di Giovanni Domaschi

a cura di Andrea Dilemmi

Operaio, anarchico, antifascista, dopo aver partecipato alle lotte politiche e sindacali nella sua città il veronese Giovanni Domaschi (Verona, 1891-Dachau, 1945) ha trascorso quasi per intero il ventennio fascista rinchiuso in carcere o relegato al confino. Membro del secondo Comitato di liberazione nazionale di Verona, prima di essere deportato in Germania e di trovare la morte in un lager ha avuto modo di scrivere le sue memorie. Un testo affascinante che contribuisce a fare luce sulla mentalità, sulle convinzioni politiche e sulle scelte di vita di un operaio anarchico nella prima metà del Novecento. Un intreccio tra la storia comune di un militante di base e una vicenda biografica eccezionale (al pari di molte altre storie di vita di quegli anni), segnata dalla costante volontà di resistere al regime fascista e di lottare per la libertà.

Andrea Dilemmi è dottorando in Storia contemporanea presso l’Università di Verona, città dove vive e lavora. Nel 2006 la sua tesi di laurea è stata premiata con la borsa di studio “Città di Verona”. È autore del saggio Anarchismo e sindacalismo rivoluzionario a Verona dalla guerra di Libia al fascismo, in Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario nel Veneto tra Otto e Novecento, a cura di G. Berti, Il Poligrafo, Padova 2004 e del volume Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), BFS, Pisa 2006. Nel 2004 ha ottenuto la borsa di studio “Pier Carlo Masini” per una ricerca su Giovanni Domaschi.

"Le mie prigioni e le mie evasioni
Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista"
di Giovanni Domaschi
a cura di Andrea Dilemmi

Cierre edizioni / Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea,
2007, pp. X, 409, ill.
Prezzo €18,00

via Ciro Ferrari 5, 37066 Sommacampagna, Verona
tel. 045 8581572, fax 045 8589883
www.cierrenet.it • edizioni@cierrenet.it


Prologo

Occorrerebbe lo spazio di un volume per seguire il nostro compagno nelle sue gesta.
(Vella R., Giovanni Domaschi, martire della libertà, «Il Libertario», 25 aprile 1955).

Vivo soltanto per questo: evadere, evadere, solo o accompagnato, ma darmi alla fuga. È un'idea fissa [...] che mi ossessiona. E realizzerò, senza esitare, il mio sogno.
(Charrière H., Papillon, Mondadori, Milano 1970, p. 361).

Mentre Henri Charrière alias "Papillon" si appresta a percorrere la «strada della putredine», che lo porta al bagno penale della Caienna francese dopo essere stato condannato, nell'ottobre del 1932, dal Tribunale di Parigi, Giovanni Domaschi ha già all'attivo due avventurose evasioni dall'epilogo sfortunato e altrettanti tentativi di fuga. La prima delle quali, messa in atto a Lipari nel luglio del 1928 con Mario Magri, Giovanni Battista Canepa e Alfredo Michelagnoli, è certamente la causa principale dell'indubbia notorietà di cui Domaschi gode, all'epoca, tra i compagni di confino.

«L'ho conosciuto nel 1936 a Ponza quando, ai primi di quell'anno arrivò preceduto da una aureola di combattente indomito»: Ugo Fedeli, uno dei primi storici dell'anarchismo italiano, egli stesso militante anarchico, apriva così nel 1961 un breve articolo a lui dedicato nel quadro di una serie di ritratti sugli anarchici confinati durante il regime fascista. Qualche anno prima, nell'immediato dopoguerra, aveva scritto:
Il compagno Giovanni Domaschi, non è conosciuto dai giovani venuti a noi in questo dopo guerra, ma è stato indubbiamente una figura delle più spiccate del movimento nostro in Italia, particolarmente durante il fascismo e nella lotta durata più di vent'anni per abbatterlo. I compagni, e non sono pochi, che ebbero occasione di passare durante quest'ultimo quarto di secolo, in qualcuno dei numerosi penitenziari o nelle isole di Confino, ha[nno] avuto occasione di conoscerlo e stimarlo. Questi anni, venti, li ha passati tutti tra galera e confino, fermo, rigido, integro, sempre primo in ogni atto di protesta, e fra i detenuti o fra i confinati, fu sempre uno dei più quotati.
Il prestigio dell'anarchico veronese non traeva origine solamente dai suoi meriti di «protagonista delle fughe più incredibili» un vero e proprio «indemoniato» pronto a tentare l'evasione anche nelle situazioni più difficili: è la persona, sono il suo carattere semplice, aperto e la fermezza di fronte alle imposizioni del fascismo a farne, tra i confinati, un militante conosciuto e stimato. Temuto e rigidamente sorvegliato, al contrario, dai suoi carcerieri: sarà uno dei pochi confinati ad avere "l'onore" di essere pedinato di continuo da un milite ad un metro di distanza. Francesco Fancello, compagno di carcere di Domaschi nel IV braccio di Regina Coeli a Roma, ne sottolineava infatti «le eccezionali doti di generosità, di coraggio e di indomita fermezza. [...] In tutte le polemiche portava un riposante umorismo e una giovialità inesauribile, che perdeva solo quando si toccavano certi principi fondamentali a cui si conservava fanaticamente fedele». Ernesto Rossi infine, anch'egli a lungo suo compagno di cella, scriveva: «Abbiamo trovato tutti in Domaschi un ottimo compagno: intelligente, profondamente buono e con un senso altissimo della dignità personale».

Già a breve distanza dalla Liberazione, dunque, Fedeli si preoccupava di mantenerne il ricordo: memoria ancora viva in coloro che l'avevano conosciuto, non altrettanto - evidentemente - tra i giovani antifascisti passati da poco attraverso l'esperienza fondante della Resistenza. Di fronte alla grandezza, alla tragicità di un evento quale la Seconda guerra mondiale e all'intensità della scelta resistenziale, l'immagine delle lotte sociali del Primo dopoguerra e delle persecuzioni patite durante l'intero ventennio fascista appariva già sbiadita, nonostante il nuovo ceto dirigente fosse composto da quegli stessi antifascisti che avevano subito in gioventù l'assalto al potere del fascismo e, in seguito, lunghi anni di carcere e di confino; in breve, da coloro i quali avevano alle spalle lo stesso vissuto di Domaschi.
Di fronte a quanto d'azione si è fatto nell'Europa occupata in questi anni di guerra, di fronte a quanto fanno i nostri partigiani, il raid di Lipari appare come un misero granello di sabbia nell'immensità del deserto. Ma, allora, la situazione italiana era in silenzio. Con le leggi eccezionali e con un regime di polizia, con le frontiere chiuse, tutto era immobile. Il raid di Lipari fu come un sasso gettato al centro di un lago calmo in una giornata di sole. Attorno al punto toccato dal sasso, i cerchi si formano, si moltiplicano, si estendono, e ridanno animazione all'immobilità, vita improvvisa alla morte apparente.
Così scriveva Emilio Lussu commentando la propria fuga da Lipari, effettuata nel luglio 1929 in compagnia di Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti, e coronata dal successo. Un passo che contribuisce a chiarire, anche nel caso di Domaschi, la distanza della percezione e, assieme, le ragioni della nascita di una memoria epica del "combattente indomito". La quale, di fronte all'apparente dicotomia rispetto a quella, più umana, del "buon compagno" intelligente e gioviale («il bravo Domaschi», lo definiva Ferruccio Parri; «un giovane di poche parole, intelligente e mite», Nitti), ritrova la sua unità nel significato che assumevano sotto il fascismo (ed ancor più in carcere o al confino) la coerenza alle proprie idee, la volontà di non piegarsi e qualsiasi atto, piccolo o grande, di disobbedienza. Che, occorre ricordarlo, aveva sempre dure conseguenze.

Una memoria breve, però. Custodita da chi si trovò a condividerne le esperienze, riappare a tratti come un esile fiume carsico nella memorialistica antifascista. In quella del movimento anarchico, eccettuati gli articoli di Fedeli e pochi altri, se ne trovano tracce ancora più rare. Dopo la Liberazione, portava il nome di Domaschi il gruppo libertario veronese animato da Randolfo Vella. Dal 1999, la locale biblioteca promossa da un gruppo di anarchici è stata a lui intitolata. Nella sua città natale la memoria di Domaschi è stata affidata, inoltre, a una medaglia d'oro alla memoria conferitagli dal Comune in occasione del primo decennale della Resistenza e all'intitolazione di una piccola via del quartiere dove aveva abitato in gioventù, in quanto membro del secondo Comitato di liberazione nazionale. Il suo nome compare, infine, tra i sette caduti del secondo CLN cittadino in una lapide apposta nel 1989 sulla facciata del Municipio.

Oltre alle testimonianze e agli scarni segni del ricordo ufficiale, solo recentemente, tramite il rinvenimento da parte di Adriana Dadà di un quaderno autografo di memorie e di altri documenti all'interno del fondo Fedeli custodito presso l'International Institute of Social History di Amsterdam e la successiva acquisizione di un secondo quaderno autografo da parte dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea, si è venuti in possesso di materiale che invita ad approfondire la conoscenza della figura di Domaschi, permettendo di metterla in relazione con i luoghi di vita, le scelte esistenziali, il contesto storico e sociale.

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