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George Floyd: Una Morte di Troppo Nella “Terra dei Liberi”

category nord america / messico | migrazione / razzismo | opinione / analisi author Tuesday June 16, 2020 02:40author by José Antonio Gutiérrez D. Report this post to the editors

L'omicidio di Floyd non è un episodio isolato. Lo scorso anno la polizia americana uccise 1099 persone, una parte considerevole delle quali era nera. Il 99% di queste uccisioni è rimasta impunita, un tasso allarmante, che nel continente americano è paragonabile solo a quello della Colombia, a dimostrazione del fatto che la violenza poliziesca – lungi dall'essere un'anomalia – è accettata dall'establishment statunitense, democratico o repubblicano che sia. [Castellano] [Türkçe] [English]
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George Floyd: Una Morte di Troppo Nella “Terra dei Liberi”

Alla fine la gente si è stancata dell'autoproclamata “terra dei liberi”. Il brutale omicidio di George Floyd, torturato e condotto a morte per asfissia in 10 minuti in pieno giorno, è diventato la scintilla che ha fatto partire l'incendio nella prateria. Per la polizia la vita di Floyd valeva molto meno di uno schifoso assegno da 20 dollari contraffatto. Le proteste sono scoppiate in tutto il paese, dovendo affrontare violenze indicibili da parte del governo e minacce dal presidente Donald Trump, che ha promesso di utilizzare armi contro i manifestanti. Pensiamo per un secondo cosa sarebbe accaduto se, diciamo, Maduro in Venezuela o Rouhani in Iran avessero fatto ricorso a questo linguaggio palesemente minaccioso e a queste azioni repressive: di certo ci sarebbero state sanzioni economiche, incontri straordinari del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, discorsi sull'intervento militare o addirittura bombardamenti “intelligenti” per proteggere i “poveri cittadini” dai macellai delle istituzioni. Magari anche un finto presidente come Guaidò sarebbe già stato riconosciuto dal G7.

Michelle Bachelet, l'ipocrita responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, deplora l'uccisione di Floyd ma non ha usato termini altrettanto forti per condannare la violenza contro i manifestanti. Le sue parole impallidiscono rispetto al lessico da lei stessa usato per la questione venezuelana; mentre Almagro dell'OAS, pronto a sollevare un polverone ad ogni flatulenza di Maduro, è rimasto silente. Non è evidente che nell'ordine mondiale esistono delle regole per i paesi ricchi e altre regole per il resto del mondo?

L'omicidio di Floyd non è un episodio isolato. Lo scorso anno la polizia americana uccise 1099 persone, una parte considerevole delle quali era nera. Il 99% di queste uccisioni è rimasta impunita(1), un tasso allarmante, che nel continente americano è paragonabile solo a quello della Colombia, a dimostrazione del fatto che la violenza poliziesca – lungi dall'essere un'anomalia – è accettata dall'establishment statunitense, democratico o repubblicano che sia.

Con l'avvicinarsi delle elezioni, i democratici sentono odore di voti nel fumo delle rivolte. Ma chi tra i dem ha qualche autorità morale per lamentarsi del razzismo e della violenza? Obama? Il primo presidente in fatto di espulsioni e l'uomo che ha presieduto la repressione razziale a Ferguson? L'uomo che ha versato lacrime di coccodrillo per l'omicidio di Eric Garner nel 2014, in circostanze quasi identiche a quelle di Floyd, senza intraprendere alcuna azione reale? I Clinton? Che iniziarono la costruzione del muro con il Messico, affamarono e bombardarono l'Iraq, armarono, supportarono e finanziarono i loro cari jihadisti di Al-Quaeda che macellarono il popolo siriano? Sanders? Che nonostante tutto il suo discorso “socialista” non è in grado nemmeno di affrontare l'establishment del suo stesso partito? E' tempo di chiamare la gang democratica per ciò che sono: una frode. Fanno parte del problema, non sono la soluzione e l'unica cosa che interessa loro sono le prossime elezioni. Non scuoteranno mai le fondamenta del razzismo strutturale e della violenza poliziesca, come hanno dimostrato ogni volta che sono saliti al potere.

La violenza di classe e razziale negli Stati Uniti è un problema strutturale, che richiede una radicale trasformazione delle istituzioni. Nessuna scorciatoia può essere utile. L'omicidio di Floyd sta facendo a pezzi il mito farsesco della “terra dei liberi”, della terra della “tolleranza” costruita da migranti liberi, amorevoli ed eguali – una delle narrazioni preferite dai dem durante le proteste anti Trump del 2016. La brutta faccia del razzismo strutturale (che precede Trump di almeno due secoli) è ora rivelata, sprigionando il fetore di un paese costruito sul genocidio di milioni di nativi e sulla schiavitù. Un paese costruito sulle deportazioni di massa di coloro che la pensavano diversamente durante il Red Scare del 1920. Un paese che ha linciato migliaia di persone di colore e di sindacalisti. Un paese nel quale un hooligan della supremazia bianca come John Wayne è venerato come un eroe mentre dei veri artisti sono stati banditi e censurati durante il maccartismo. Un paese il cui cosiddetto sistema giudiziario, che uccide tante persone quante qualsiasi altra tirannia, ha nel suo putrido armadio gli scheletri di Haymarket, di Sacco e Vanzetti, dei Rosenberg e molti altri assassinati dopo processi farsa che altro non erano se non linciaggi legalizzati.

Le persone hanno tutte le ragioni per essere arrabbiate, Non si tratta solo di Floyd. Si tratta di oltre duecento anni di oppressione e ferocia. Coloro che chiedono che le proteste rimangano “civili” e innocue, che deplorano il “vandalismo” molto più di quanto facciano con il razzismo, non sono altro che difensori ipocriti dello status quo. I veri vandali sono coloro che pensano che indossare una divisa blu dia diritto di mutilare, torturare ed uccidere a proprio piacimento. Il motivo per il quale la gente ha preso le strade non deve essere dimenticato: come ha osservato Albert Camus, dovremmo disprezzare meno gli atti di rivolta degli oppressi e di più la violenza delle istituzioni(2). E' giunto il momento di mettere in discussione e cambiare le istituzioni, le strutture della violenza, profondamente radicate nello stato e in un modello economico che il questo momento sta condannando a morte milioni di persone per la fame causata dalla disoccupazione.

Il sistema è il problema, non questo o quel poliziotto, non questo o quel presidente, non questo o quel partito. Richiede una profonda trasformazione delle istituzioni politiche che sono il prodotto di questo retaggio di brutalità, segregazione, esclusione, guerra, militarismo, invasione e imperialismo. Trump ha denunciato la presenza di “anarchici professionisti” tra i manifestanti: pollici in alto per loro, meritano una standing ovation. Speriamo che aiutino le masse in rivolta a immaginare un paese diverso, costruito dal basso, in pace con il resto del mondo e in conflitto permanente contro l'ingiustizia. Un paese libero da razzismo, sessismo e sfruttamento della classe operaia. Una vera alternativa in un momento in cui il mondo è gravemente minacciato a causa delle azioni degli Stati Uniti come potenza mondiale. La gente che oggi è nelle strade possiede le risposte, mentre le elite repubblicane e democratiche non conoscono nemmeno le domande.


(1) https://mappingpoliceviolence.org/
(2) John Foley: “Albert Camus: from the Absurd to Revolt” (London Rouledge, 2008, pag. 49)

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