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Lotte di donne in Iraq

category mashrek / arabia / irak | genero | opinione / analisi author Monday February 27, 2006 17:36author by Solidarité Irak Report this post to the editors

Riportiamo di seguito la traduzione di un documento sulle lotte femministe delle donne in Iraq, in una situazione di guerra e di violenza patriarcale e religiosa dove alle donne è negato ogni accesso libero ad una vita pubblica per mettere in evidenza alcuni lati oscuri della vicenda irachena e soprattutto per ribadire che in ogni guerra le vittime sono sessuate e il restringimento delle libertà colpisce principalmente le donne.


Lotte di donne in Iraq
(da Solidarité Iraq)

La vittoria islamista alle elezioni del gennaio 2005 in Iraq ha messo in evidenza ciò che molte persone non si auguravano di sapere, ovvero che l'Islam politico, in questo paese non è solamente una forza di opposizione all'occupazione militare della coalizione guidata dagli Stati Uniti, ma anche una potente forza di collaborazione, pronta a mettere in atto un regime reazionario in cui le donne saranno le prime vittime. La degradazione della situazione delle donne non è cominciata nel marzo del 2003, con l'entrata delle truppe della coalizione a Bagdad; è un processo, invece, lungo, iniziato da più di 20 anni. E' un processo, tuttavia, che è stato accelerato, con il benestare delle autorità occupanti e, in Kurdistan, dei partiti nazionalisti.

Prima dell'occupazione

In confronto agli altri paesi del Medio Oriente, le donne hanno beneficiato in Iraq di un migliore status e di maggiori libertà, senza che la piena uguaglianza con gli uomini sia mai stata a loro riconosciuta. Questo non è stato un merito del carattere "laico" del movimento baas (1), come spesso si afferma: lo status delle donne è stato raggiunto prima, negli anni 50 per merito delle lotte delle donne, quindi ben prima della presa di potere da parte del partito Baas. La legge sullo status personale del 1958, che garantisce il diritto all'educazione, al divorzio, alla tutela dei figli, è stata mantenuta, ma il peso di questa legge è stato fortemente ridotto emendamento per emendamento. L'uguaglianza uomini - donne era teoricamente garantita dalla costituzione provvisoria del 1970, ed il diritto di voto è stato accordato da Saddam Hussein nel 1980. Occorre comunque notare che al "legge Irakena sullo status personale" prevedeva che, nei casi non previsti dalla legge, intervenisse comunque la Sharia (2).

Il degradarsi del livello dei diritti delle donne ha avuto inizio con la guerra Iran-Iraq, a partire dal 1980. Così si esprime la femminista irakena Houzan Mahmoud: "L'Iraq, diceva Saddam, ha bisogno che le donne restino a casa, facciano da mangiare per i loro mariti e figli, diano prova d'economizzare e non spendano troppo, devono aiutare il paese a uscirne. Tutto questo ha contribuito a violare in maniera permanente i diritti delle donne. In particolare durante la guerra tra Iran e Iraq le donne rappresentavano più del 70 % dei funzionari, ma dopo la fine della guerra, le ha rimandare a casa" (3). Le organizzazioni di donne erano interdette, fuori della Unione delle donne irakene, ovvero la branca femminile del Partito Baas.

Con la 1° guerra del Golfo nel 1991, la situazione è peggiorata, quando, per avere il sostegno dei regimi e delle organizzazioni musulmane, Saddam Hussein ha adottato uno stile più conforme ai valori islamici. Egli ha lanciato la "campagna della fedeltà", che mirava all'eliminazione delle prostitute con la decapitazione. La giornalista di Elle, Annick Le Floc'Hmoan ha consacrato a questa campagna governativa una indagine, poco prima della caduta del regime. Annick segnala che: "Souhayr Belhassen, vice presidente della Lega tunisina dei diritti dell'Uomo (affiliata alla Federazione internazionale dei diritti dell'Uomo, FIDH), e Françoise Brié, incaricata di una missione dell'Alleanza per i diritti dell'Uomo, hanno raccolto numerose testimonianze ad Amman (Giordania) e a Damasco (Siria) dai rifugiati irakeni. Costoro hanno riunito i nomi di 130 donne decapitate in pubblico l'anno prima in Iraq. Una cifra che si può, almeno, moltiplicare per due: in questo paese imbavagliato le decapitazioni sono tenute sotto una pesante cappa di silenzio" (4). Del resto, la qualifica di prostitute non è determinata dal rapporto con l'attività professionale della vittima, ma piuttosto una sorta di svalorizzazione morale: "la maggioranza delle donne uccise con esecuzioni sono donne che hanno osato criticare il regime o mogli di oppositori. Tra queste ci sono le mogli degli imam sciiti, le presentatrici televisive, i medici, le ginecologhe".

Un sintomo evidente del degradarsi della situazione delle donne, nel periodo di embargo imposto dall'ONU (1991 - 2003) fu costituito dall'impennata dell'analfabetismo di ritorno femminile. E il regime si inorgoglì, giustamente, del fatto che l'analfabetismo, che era passato dal 7 al 75% dopo la proclamazione della Repubblica, era disceso al 25% nel 2000, anche se in virtù di una squalificazione massiccia delle donne (5). Questa caduta non è imputabile solo alla politica del Regime, ma prima di tutto è stata causata dalle condizioni economiche e sanitarie che sotto l'embargo hanno fatto della pura sopravvivenza la priorità essenziale. Le vedove di guerra o le donne troppo povere per trovare un marito sono state rese sempre più fragili.

Si può giudicare questo attraverso la lettura dei risultati di uno studio sulle conseguenze fisiche dell'embargo sulla popolazione femminile, condotto nel 1998 al quale partecipò Amal Souadian, medico nutrizionista che la giornalista di Le Monde, Catherine Simon, ha intervistato nel febbraio del 2003: "Sulle 4600 ragazze e donne che la nostra équipe ha visitato, pesato e misurato con misurazioni di carattere biometrico, il risultato è stato che il 16% delle più giovani soffriva di severa malnutrizione e il 41% di malnutrizione cronica - con ripercussioni sulla loro crescita e sulla taglia che era di molto al di sotto della media. Mentre gli uomini non hanno avuto una simile situazione: a tavola padri e figli venivano nutriti meglio" (6).

Una delle più significative prese di posizione del regime di Hussein contro le donne fu la tolleranza legale dell'omicidio d'onore. Nel 1990 Saddam aveva introdotto nel nuovo codice penale l'articolo 111, che esentava dalla pena l'uomo che, per difendere l'onore della sua famiglia, uccideva una donna (7). Omicidi d'onore sono quelli che vengono chiamati così perché sanciscono il diritto di un uomo ad uccidere la propria moglie, sorella o figlia che egli supponga lo abbia tradito o che abbia avuto costumi non morali oppure che sia stata violentata. Si tratta di una pratica diffusa in tutto il Medio Oriente. Questo omicidio è il più diffuso e non obbligatoriamente mascherato da incidente domestico. "Le donne devono fare attenzione a coloro che stanno loro più vicini. Le donne che hanno relazioni sessuali prima del matrimonio lo fanno clandestinamente e vivono nella paura continua di rimanere incinte e nel terrore che le loro famiglie scoprano che non sono più vergini. I valori e la mentalità islamica impregnano ancora la società: una ragazza deve essere vergine e pura prima del matrimonio" spiega Houzan Mahmoud (8).

E' necessario notare che nel Kurdistan, autonomo di fatto dal 1991 al 2003, la legislazione baathista contro le donne ha resistito per molto, anche se c'era una più grande partecipazione delle donne nella società civile, nel governo e nelle forze peshmerga. Ufficialmente la legge sugli omicidi d'onore è stata abolita nel 2000 nella zona controllata dall'Unione patriottica del Kurdistan (UPK). Nella zona controllata dal Partito democratico del Kurdistan (PDK) più di 500 omicidi d'onore sono stati commessi solo durante il 2000 secondo le cifre fornite dallo stesso governo regionale (9) e la legge non sembra che sia stata abolita. In ogni caso i nazionalisti al potere hanno tollerato questa pratica e non hanno fatto nulla per ostacolarla. Al contrario, durante il 2000, sia i locali dell'Organizzazione indipendente delle donne, sia il centro di accoglienza che avevano creato a Solymanieh per ospitare al sicuro le donne che venivano ricercate dalla loro famiglia per essere uccise, sono stati fatti chiudere dall'Unione patriottica del Kurdistan. Aperto nel 1998 questo centro di accoglienza era stato creato grazie al sostenimento delle donne delle organizzazioni femministe europee. Più di 400 donne vi avevano soggiornato. Questa misura presa dai nazionalisti servì a rendere più debole il Partito comunista operaio dell'Iraq a cui l'Organizzazione indipendente delle donne (OIF) era legata.

Il 14 luglio 2000, le forze armate dell'UPK erano entrate nel centro di accoglienza e nei locali dell'OIF e avevano arrestato le militanti, confiscati i beni e gli archivi e chiuse le stanze. Dodici donne e cinque bambini vi vivevano in quel periodo, tutte compresi i bambini vennero tratte in prigione. L'indomani un uomo assassinò sua sorella avendo appreso che non correva più il rischio di essere messo sotto accusa dalle guardie armate dell'OIF e dal Partito comunista-operaio. E qualche giorno più tardi, una vecchia residente del centro, Nasreen Aziz, fu uccisa da suo fratello (10).

Dopo l'occupazione

Nonostante le pretese ufficialmente ostentate dai dirigenti americani di aver instaurato la democrazia e liberato le donne in Iraq, e contrariamente alle attese miste alla diffidenza della popolazione, con l'occupazione da parte delle forze coalizzate dal marzo 2003, la situazione è lontana da essere migliorata. Il caos instaurato dalla guerra tra le forze di occupazione e la guerriglia urbana ha reso la vita delle donne ancora più difficile. Il velo, considerato prima come un fastidio, diventa una necessità per le donne che vogliono uscire da sole senza troppi rischi. Oltre agli insulti gli islamisti sono ricorsi alla violenza per costringerle arrivando a lanciare il vetriolo sul viso di alcune donne.

Le violenze sessuali si moltiplicano, i rapimenti e le vendite delle donne ugualmente, secondo una tariffa fissa: 200$ per una ragazza vergine, la metà se non lo è.

Ma soprattutto, il consiglio interinale del governo messo in campo dagli occupanti che ha tentato, sotto la pressione delle organizzazioni islamiste partecipanti (11), nel febbraio 2004, di rimpiazzare la legge sullo statuto personale con la sharia. Questi partiti, legati al regime islamico dell'Iran (al-Dawa, Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq) (12), condividono con i loro oppositori della resistenza religiosa il progetto di stabilire uno stato islamico in Iraq, anche se hanno scelto un'altra tattica per raggiungere quello scopo.

Tra le discussioni sulla futura costituzione dell'Iraq, lo stabilire la sharia è stato l'obiettivo principale degli islamisti, il loro unico programma sociale. La "risoluzione 137" del Consiglio di governo provvisorio - dove siedono solo 3 donne su 24 partecipanti - ha offerto loro questa soddisfazione sullo statuto delle donne (13), anche se Paul Bremer, rappresentante dell'amministrazione USA, sembrava essere ostile a questa. Suscitò la riprovazione della popolazione irakena. Nonostante il pericolo più di 24 organizzazioni di donne organizzarono manifestazioni e ottennero il ritiro della risoluzione 137 e questo meno di un mese dopo la sua proclamazione.

Tra le organizzazioni c'è l'Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq, fondata nel giugno 2003 da Yanar Mohammed. Questa architetta di 43 anni, femminista, cintura nera di karatè, viveva in esilio in Canada da molti anni dove militava per il diritto delle donne nel medio-oriente. Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, decide di tornare in Iraq e partecipa alla fondazione dell'organizzazione, che centra la sua azione sull'aiuto alle donne rifugiate, soprattutto nel quartiere povero di Huda a Bagdad, e l'organizzazione dei centri di accoglienza per le donne minacciate di omicidi d'onore o vittime di violenze coniugali. Con i suoi discorsi veementi in difesa dei diritti delle donne contro la sharia, lei ha ricevuto minacce di morte da parte dell'Armata dei compagni del profeta, una organizzazione pro-talebana d'origine pakistana, e questo la obbliga a circolare armata o a girare con delle guardie del corpo. Una campagna internazionale di sostegno, ben collegata tra le associazioni femministe del mondo intero, fa conoscere la sua situazione e le dona una nuova e più ampia portata.

Gli omicidi d'onore non sono scomparsi con l'occupazione. Amel - nome dato dalla giornalista de l'Humanité venuta a intervistarla - vive sotto la protezione dei suoi compagni del Partito comunista-operaio d'Iraq. Da anni, la sua famiglia la cerca per ucciderla. "La mia famiglia è molto unita, molto attaccata ai valori della tribù e della religione, racconta tranquillamente, un giorno, mi sono innamorata di Ali, il mio vicino. Eravamo molto giovani all'epoca. Era una bellissima storia" spiega. Il giovane uomo aveva chiesto la mano d'Amel diverse volte alla sua famiglia, secondo l'usanza. Ma lui è sciita, invece la famiglia di lei è sunnita. Ad ogni modo, lei aveva già 15, Amel era già stata promessa in matrimonio a un cinquantenne. "Quando ho visto i miei genitori intenzionati a darmi in sposa a lui, mi sono rifiutata energicamente, svelando di essere innamorata di un altro. Mi hanno rinchiusa, insultata e pestata". Insieme, hanno deciso di fuggire in Kurdistan, dove non correvano il rischio di finire vendicati. Ma dopo il ritorno dell'autonomia del Kurdistan dall'Iraq, nel marzo 2003, lei non è più al sicuro. Sua sorella è stata ripudiata dal marito perché questa storia macchia il suo onore...

I rapimenti di ragazzine sono ugualmente aumentati. Sembra servano ad alimentare il mondo della prostituzione, come è noto verso lo Yemen, ma non lo si può dimostrare. Impiegata in una stamperia, Zubaïda ha raccontato al corrispondente de Le Monde a Bagdad, Rémi Ourdan, il tentativo di rapimento di cui è stata vittima: "Sei uomini, in due macchine, hanno provocato una specie di incidente per far uscire il mio compagno dalla nostra macchina. Durante la discussione fuori, uno di questi si è messo al volante e ci voleva rapire, io e la macchina. Fortunatamente il mio compagno ha tolto le chiavi dal cruscotto e la polizia è arrivata". Da allora, non esce più se non in compagnia del suo revolver di piccolo calibro nascosto nella borsetta.

Erede dell'Organizzazione delle donne indipendenti, l'Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq (OLFI) crea centri di accoglienza per le donne vittime di violenze o minacciate di omicidio d'onore. La riuscita dipende molto dall'aiuto internazionale, dato dalle associazioni femministe americane. Il primo centro è stato aperto a Bagdad nell'autunno 2003, sotto la responsabilità di Layla Muhammad, e anche un secondo a Suleimaniah, nel Nord. Questo è spesso vittima di vessazioni e minacce da parte dell'unione patriottica del Kurdistan (UPK), che invia le sue forze di sicurezza a visitare i locali dell'OLFI e sottopone le militanti a interrogatori per conoscere le loro tendenze politiche.

Questa minaccia dell'UPK, membro dell'Internazionale socialista, non deve stupire. Riflette prima di tutto il conservatorismo patriarcale della società kurda, nella quale le donne devono lottare con ardore per farsi strada e far evolvere le mentalità. Ma da questo punto di vista, l'UPK è generalmente considerato più avanzato che il suo principale concorrente, il Partito democratico del Kurdistan (PDK), proprio per la posizione che le donne hanno conquistato al suo interno. Ma i nazionalisti de l'UPK non hanno dimenticato l'insurrezione del marzo 1991, nel corso della quale, approfittando dell'indebolimento del potere centrale, i consigli operai avevano preso in mano l'organizzazione della vita sociale, con il sostegno attivo dell'estrema sinistra. (14) Ma dal mese di aprile 1991, appena i bombardamenti degli americani finirono per lasciare a Saddam Hussein il piacere di riprendere la situazione in mano, le truppe nazionaliste che stazionavano sui monti, s'impossessarono delle città e organizzarono una contro-offensiva per bloccare le truppe baathiste. A causa di ciò si ebbe un esodo massiccio della popolazione urbana, che non voleva ritrovarsi nel centro della battaglia. Approfittando della situazione, i due grandi partiti nazionalisti, l'UPK e il PDK, ripresero in mano l'amministrazione, ristabilirono il loro ruolo di dirigenti nelle fabbriche e minarono i consigli operai. Per questo episodio, videro sempre malamente l'estrema sinistra, le cui forze si unirono per formare il Partito comunista-operaio d'Iraq. La storia delle relazioni tra queste due formazioni e l'UPK è piena di incidenti, fino ad arrivare alla tortura dei militanti comunisti-operai, come Amnesty International ha rivelato.

Questo tipo di violenze esistono ugualmente nella zona controllata dal Partito democratico del Kurdistan, senza essere una cosa ufficiale: la militante femminista Sakar Ahmed, dirigente a Erbil del braccio locale dell'OLFI, è stata picchiata dai suoi due fratelli, mentre stava scrivendo un libro sugli omicidi d'onore. Suo padre ha approvato il gesto dei figli, considerando la violenza contro una donna un affare strettamente privato.

L'Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq non si limita alla creazione di case d'accoglienza e alla lotta contro gli omicidi d'onore; anche se alcuni aspetti ricordano quelli delle ONG tradizionali, ma rifiuta nettamente la distinzione tra azione sociale e azione politica. Al contrario, considera la partecipazione politica delle donne come essenziale alla rinascita di una società civile in Iraq. Questa partecipazione non è fatta a qualsiasi prezzo: infatti, per le elezioni di fine gennaio 2005, le principali dirigenti dell'OLF hanno chiesto di astenersi, considerando come illegittime queste elezioni tenute in un clima di violenza e di oppressione. Appello seguito da pochi, anche tra coloro che si avvicinano maggiormente alle loro idee, per paura - confermata poi, di una vittoria dei partiti religiosi sciiti. Yannar Mohammed, in un articolo pieno di ironia intitolato "Gustiamo la democrazia irachena", racconta i dubbi delle sue amiche militanti di Bagdad, che non sono tutte come lei membro del partito comunista operaio. Ma nel giorno stesso delle elezioni, tutte hanno potuto constatare che c'erano pressioni ufficiali contro gli astensionisti, che sono stati minacciati di essere cancellati dai registri di distribuzione alimentare (che servirono per redigere la lista elettorale); e pressioni islamiste contro coloro che erano andati a votare. Una sorella di un amica, infermiera, le ha segnalato che all'ospedale dove lavora, circa trenta persone sono arrivate con il dito tagliato - lo stesso dito in cui viene messo il segno dopo aver votato.

Già durante l'assemblea di preparazione per il trasferimento dei poteri si era discusso del ruolo delle donne ; ma come fa capire Yannar Mohammed, "Dal punto di vista dell'amministrazione americana, ci hanno portato la liberazione. Ciò che dicono, ma noi abbiamo visto solo un mascheramento. Fanno intendere di aver portato al 25% la rappresentanza delle donne nelle assemblee politiche e dicono che noi abbiamo guadagnato il diritto ad essere rappresentate. Ma queste donne che fanno parte del 25% non parlano nemmeno di diritti di donne. La maggioranza non sono delle militanti conosciute, neanche dei gruppi più reazionari (....) Naturalmente, non vogliono nessuna deputata che si esprima per l'uguaglianza tra uomini e donne, o di laicità che implica questa uguaglianza".

Nel momento in cui è stata rapita, la giornalista italiana Giuliana Sgrena, che lavorava per il giornale Il Manifesto, lei aveva appena passato diversi giorni in compagnia di militanti dell'OLF in Iraq e aveva visitato le case d'accoglienza. Curiosamente, Florence Aubenas (giornalista francese di Liberation) stava preparando ugualmente un articolo sulla situazione delle donne in Iraq. È come se il soggetto non dovesse essere tirato fuori...

Ma se gli attacchi contro le giornaliste sono stati particolarmente mediatizzati, non sono che un aspetto della lotta contro le donne che esercitano un mestiere pubblico. Così, l'assassinio, in pieno Ramadan, della ballerina Hinadi, vero nome Ghedaa Saad Hassan, di 27 anni, vedette del gruppo el-Portoqala, attuato da una gang islamista che giudicava "pornografica" i suoi video clip, perché evocavano l'amore tra uomini e donne, è un evento significativo della mentalità dei gruppi religiosi.

Non si contano più le violenze contro le ragazze che portano i jeans, o che vanno dal parrucchiere - piuttosto che nascondere i capelli sotto un velo. Secondo l'OLFI, hanno abbandonato l'università più di mille studentesse dall'inizio della campagna di controllo delle facoltà da parte degli islamisti. A Massul, la presidente dell'università di diritto, Layla Abdula al-Adj Said, è stata uccisa da una pallottola, poi decapitata, nello stesso momento del marito. Abul Iman Monem Younis, direttrice del dipartimento di traduzione, ha subito la stessa sorte, così come un'altra decina di donne che lavorano in esercizi pubblici: medici, veterinarie, funzionarie...Le traduttrici che lavorano per le aziende sono particolarmente colpite. Come scrive l'OLFI, "il semplice fatto di essere una donna è diventato un rischio mortale". L'apice dell'orrore è stato raggiunto quando il Consiglio dei Mujahidin di Falluja al momento dell'assalto americano, ha autorizzato i combattenti della fede a sposare ragazze di dieci anni, prima che i GI le violentassero. L'autenticità di questa informazione è comunque messa in dubbio dall'ambiente vicino alla resistenza che contesta raramente i dati forniti dall'OLFI.

Le violenze che subiscono le donne sono rivelatrici della situazione globale dell'Iraq ; è senza dubbio la chiave di lettura più pertinente della realtà attuale. La misoginia, o per riprendere il termine usato dall'OLFI, lo "sciovinismo maschile" attraversa, in diverse forme, anche l'opposizione, partiti alleati americani e movimento di resistenza. Lo stato iracheno non ha i mezzi per mettere fine alla violenza endemica, di cui l'attività dei gruppi mafiosi ha ben più responsabilità che la guerriglia urbana, mentre la società civile atomizzata dal vecchio regime totalitario pena a darsi i mezzi per lottare contro questa. E anche se ne avesse i mezzi, è d'accordo fondamentalmente con i principi ideologici di questa violenza, come mostra l'assenza di una vera reazione e invece la presenza di un'ostilità forte verso le donne nel governo nazionalista kurdo il cui controllo della situazione è ben più importante che nel governo centrale. Le forze politiche e sociali del paese, spinte dall'esercito di occupazione a dover modernizzare l'Iraq, si dimostrano completamente incapaci di farlo. È significativo il fatto che il solo spazio di libertà delle donne, in cui uscire senza velo non sia troppo pericoloso, dove la violenza è proibita, sono i pochi quartieri controllati dal Partito comunista-operaio d'Iraq, che ha fatto dell'uguaglianza tra uomini e donne la punta di diamante del proprio programma e della sua attività politica. Al di là della sua definizione politica, delle teorie che sviluppa, è diventato il partito della libertà sessuale e dell'uguaglianza fra i generi.

Traduzione a cura della Commissione di etiche e politiche di genere della FdCA

Note:

1. Il movimento guidato da Saddam Hussein, che ha preso il potere nel paese dal 1980, n.d.t.
2. Lucy Brown and David Romano, "Women in Post-Saddam Iraq: One Step Forward or Two Steps Back?", http://upload.mcgill.ca/icames/iraqwomen.pdf.
3. Intervistata da Yves Coleman, pubblicata su Ni patrie, ni frontières.
4. Annick Le Floc'Hmoan, "Iraq, le pays où les femmes sont décapitées", 2003.
5. Lucy Brown and David Romano, Women in Post-Saddam Iraq: One Step Forward or Two Step Back?, cit.
6. Catherine Simon, Femmes de Bagdad, Le Monde del 7 febbraio 2004.
7. Lucy Brown and David Romano, Women in Post-Saddam Iraq: One Step Forward or Two Step Back?, cit.
8. Intervista con Yves Coleman, pubblicata in Ni patrie, ni frontières.
9. Domanda posta al senato da parte di M. Ferguson a M. Downer, ministro degli affari esteri e del commercio:
http://www.dfat.gov.au/qwon/1999_2001/001102_f.html.
10. Soheila Sharifi (2000), Attacks on the Independent Women's Organisation and the Women's Shelter in Iraqi Kurdistan, Medusa.
11. Reuters, "Irak : Annonce du futur gouvernement sur fond de violences", disponibile sul sito: http://www.aloufok.net/article.php3?id_article=127.
12. Juan Cole (2004), " Les partis religieux chiites comblent le vide en Irak du sud ", http://www.alencontre.org/page/Irak-USA/irak60.htm.
13. Reuters, " Irak : Vers une réintroduction subreptice de la charia ", http://www.solidariteirak.org/article.php3?id_article=48.
14. Intervista con MJUAYAD Ahmad, anziano responsabile di Corrente comunista, oggi membro dell'ufficio politico del Partito comunista operaio d'Iraq, dicembre 2004.

author by nestor - Anarkismopublication date Tue Feb 28, 2006 00:33author address author phone Report this post to the editors

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