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Sunday January 20, 2013 14:59 by Edgar Emilio Rodríguez
Nota biografica sull'autore: Edgar Emilio Rodríguez, di origine argentina è nato nel 1924, emigra nel 1946 a Rio de Janeiro, dove collabora con Manuel Pérez Fernández ed altri esiliati della CNT. Successivamente si trasferisce a Parigi, dove entra a far parte della Federación Ibérica de Juventudes Libertarias (FIJL) e si fa carico della direzione del suo organo di stampa, “Ruta”, fino a quando va sui Pirenei prendendo parte nel 1950 alla guerriglia di Marcel·lí Massana, in cui era conosciuto con il soprannome di “El Gringo”. Nel 1953, si stabilisce a Barcelona, dove è responsabile della stampa del periodico clandestino “Solidaridad Obrera”, e come tale viene arrestato dalla polizia spagnola. Dopo essere stato liberato nel 1957 ritorna in Francia, dove torna a far parte della Juventudes Libertarias. Negli anni '60 è stato tra i fondatori, a Parigi, della rivista di dibattito libertario “Presencia”, in cui ha pubblicato il seguente articolo nel numero di gennaio-febbraio 1966. [Castellano] La "eresia" del materialismo storicoContro il dogmatismo antimarxistaSpesso - se non sempre- la stampa anarchica si ribella di fronte a qualsiasi tentativo di interpretare i fenomeni sociali da un punto di vista marxista. Il marxismo - per i libertari - è diventato una sorta di orribile "babau", una specie di peccato mortale degno della scomunica più intransigente. Tuttavia, nella prassi, le organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie hanno agito ed operano, accettando - più o meno consapevolmente - la interpretazione marxista della società. La lotta di classe, l'importanza fondamentale del fattore economico, la funzione rivoluzionaria del proletariato, la necessità di modificare radicalmente la proprietà dei mezzi di produzione, tutto questo rivela un utilizzo delle tesi di Marx. Perché, dunque, indignarsi contro una teoria sociale ed economica che in parte si utilizza? Perché fingere che tutto il marxismo sia patrimonio ed appannaggio esclusivo di un partito e di una determinata strategia rivoluzionaria? C'è, forse, qualcosa di peggiore del dogmatismo marxista: ed è quel dogmatismo antimarxista, così monolitico, inflessibile e settario come quell'altro. L'anarchismo, concezione antidogmatica per definizione, dovrebbe di per sè respingere qualsiasi fanatismo, accettando gli apporti positivi della sociologia, indipendentemente da qualsiasi posizione settaria. Considerare il materialismo storico como sinonimo di abiezione mentale, opporre a Marx la filosofia della libertà assoluta (una libertà astratta, con le maiuscole, che non significa niente), dichiararsi bakuninista e lanciare anatemi contro Marx col pretesto che fosse un autoritario, si configura come un anacronismo, come una ingenuità, nonché come prova di ridigità ideologica. La cosa curiosa è che, nella prassi, si accetta il sindacalismo come sistema di lotta rivoluzionaria, si riconosce l'esistenza del proletariato come forza motrice della trasformazione sociale, cioè si riconoscono tesi di netto carattere marxista. Inoltre, la stessa storia della CNT - con la sua implacabile lotta rivoluzionaria di lunga durata - è una dimostrazione palpabile di come si pensasse alla rivoluzione da un punto di vista marxista; ne è prova il fatto di come questa implacabile lotta rivoluzionaria sia stata fondamentalmente una lotta le cui motivazioni erano principalmente economiche: non solo sul piano degli interessi immediati, ma anche sul lungo periodo. Nel 1966, dedicare del tempo a versare lacrime di indignazione per l'antagonismo ottocentesco tra Marx e Bakunin, può essere un compito piacevole per storici, eruditi e topi di bliblioteca. Per un'organizzazione che propugna la trasformazione sociale si tratta di un inutile, decadente e negativo romanticismo. Prendiamo quello che c'è di buono in Marx ed in Bakunin, senza far apparire il primo come un orco ed il secondo come un angelo. Ovviamente, sarebbe ridicolo ed assurdo assumere il marxismo in blocco, alla maniera di quei fedeli che ne fanno un comandamento. Lasciamo ad altri l'erigere altari ed il diffondere incenso. Si tratta, semplicemente, di valorizzare gli apporti di una teoria sociale la quale, benché si sia dimostrata infondata in alcune conclusioni ed in alcune ipotesi - alla pari della infallibilità dei pontefici - si conferma come un solido bagaglio per la rivoluzione. Si può dire quello che si vuole, ma l'affermazione fondamentale del marxismo rimane: l'economia (nel suo significato più ampio, cioè, la struttura economica della società) è il substrato su cui si erige tutta la superstruttura esteriore. Pretendere di cambiare quest'ultima senza modificare il substrato, comporta il limitarsi ad una riforma senza nessun contenuto vitale. Abbattere un governo, conservando al tempo stesso la struttura economica che lo teneva in vita, equivale ad un cambio aneddotico senza radici. La rivoluzione, quindi, consiste fondamentalmente nel modificare la proprietà dei mezzi di produzione, modificazione indispensabile per poter creare una nuova superstruttura. Il materialismo storico non è, come erroneamente si è giunti a credere o a sembrar di credere sulla stampa anarchica, "proprietà privata" dei partiti comunisti. Tanto peggio per quest' ultimi se son caduti nell'infantilismo di difendere una specie di religione marxista. E tanto peggio se poi si emettono scomuniche in nome di principi sacrosanti. Il marxismo adorato in ginocchio, con santi, vergini e martiri, è tanto retrogrado quanto può esserlo l'adorazione cieca e testona di Bakunin, San Francesco o Robespierre. In realtà succede che i discepoli generalmente superino i maestri in ridigità e dogmatismo. Il caso di Marx non è l'unico, e basterebbe citare in questo senso l'esempio di tanti freudiani, più fanatici dello stesso Freud, e quello dei tanti tolstoiani, più intransigenti dello stesso Tolstoi. Anche se una caratteristica fondamentale del genio è la "capacità di esagerare", si verifica nel tempo una nuova deformazione da parte di discepoli, di adoratori ed ammiratori, i quali spinti ad emulare la fonte della loro ispirazione, tendono a mostrarsi ancor più puri ed ortodossi del loro maestro. Ma veniamo sul terreno della prassi e cerchiamo - a rischio di provocare scandalo all'interno di un anarchismo malato di lirico romanticismo - una interpretazione della situazione spagnola dal punto di vista del materialismo storico. La prima conclusione è che il franchismo non viene semplicemente definito dall'esistenza di Franco, né dall'esistenza del movimento falangista, né dalla influenza preponderante del clero. Tutti questi fattori ne sono semplicemente gli effetti e non le cause. Ciò che definisce e che caratterizza essenzialmente l'attuale regime spagnolo è una determinata struttura economica - lo ripetiamo, nel suo senso più ampio -, la quale ha permesso che si potesse edificare su di essa una superstruttura politica, religiosa, sociale ed anche culturale. Se si riconosce questo assunto, è evidente che il regime di Franco non potrá essere modificato - in profondità, che è ciò che conta davvero - se non a costo di una profonda trasformazione economica. Ebbene, qual è la classe che dovrebbe svolgere il ruolo principale in questo cambiamento? Il proletariato ed i contadini. C'è forse un'altra classe, oltre quella operaia e contadina, suscettibile di dare l'impulso necessario ad una rivoluzione "veramente rivoluzionaria"? Il fatto che esista la CNT è la miglior prova di questa capacità - oggettiva - del proletariato e dei contadini. La CNT, che a malincuore ha fatto sempre del marxismo, è la dimostrazione palmare che la rivoluzione non può essere fatta da nessuna altra classe se non queste due. Oppure c'è qualcuno che ha ancora la sufficiente innocenza per pensare che sia possibile fare le rivoluzioni - le vere rivoluzioni - appoggiandosi alla borghesia? O c'è qualcuno che candidamente speri che una classe sia capace di tradire i suoi propri interessi per amore del prossimo o per puro idealismo? Vale la pena ricordare che le condizioni oggettive di una rivoluzione sociale non sempre coincidono e si fondono con le condizioni soggettive. Quindi è erroneo accusare il marxismo di fatalismo. Il marxismo, al contrario, difende la necessità di creare le condizioni soggettive per la rivoluzione, partendo naturalmente da quelle oggettive. In quanto alla Spagna, il fatto di riconoscere la funzione oggettivamente rivoluzionaria delle classi operaia e contadina non deve farci dimenticare che per il momento siamo ben lungi dal darsi le condizioni soggettive che necessitano alla rivoluzione. In effetti si produce a volte il paradosso di una classe "oggettivamente non rivoluzionaria" che sembri soddisfare a volte le condizioni soggettive. Ma questo caso non dovrebbe far sollevare false illusioni: gli intellettuali, gli studenti, la piccola borghesia, sono e saranno incapaci di concretizzare un malcontento occasionale in un movimento autenticamente rivoluzionario. Nonostante tutto l'idealismo che possano proclamare, nonostante le affermazioni più liriche che possano pronunciare a favore della libertà. Mi rendo conto che nel leggere queste parole, la maggior parte dei compagni proromperanno in esclamazioni di scandalo. Parleranno di forza dell'idealismo, si emozioneranno invocando "il potere dello spirito", lanceranno anatemi contro "il vile materialismo". Ma, forse involontariamente, come quel personaggio di Molière che parlava in prosa senza saperlo, i compagni seguiranno ad agire nella convinzione - fortunatamente, dico io - che solo la classe operaia e quella contadina possano dare impulso alla rivoluzione. Ci possono essere - e ci sono - idealisti che "tradiscano" gli interessi della loro classe. C'è di che esserne felici, e Marx non ignorava questo fatto. Ma questo non esclude che, nell'analizzare i fenomeni sociali, si giunga alla conclusione che, in generale, l'uomo si comporti come un individuo che appartiene ad una classe. E, non ce lo dimentichiamo, tale conclusione, di evidenza indiscutibile, è marxismo puro. Anche se non ci piace. Anche se provoca le proteste degli idealisti che declamano e si attribuiscono una "bontà innata". Anche se provoca indignazione in coloro che si commuovono di fronte alla pretesa onnipotenza dell'ideale. Si può essere idealisti, lo ripeto - e dobbiamo rallegrarcene -; ma la società umana non si muove in base all'idealismo. Come al solito le eccezioni confermano la regola. E dunque che fare? Accettare il marxismo (chiariamoci: varie tesi marxiste) ci obbliga a convertirci allo stalinismo, a candidarci alla camera dei deputati, a far parte della "Čeka", oppure a prendere i voti di una chiesa con tanto di riti, orazioni e decaloghi che suppongono dogmi di fede? Niente di tutto ciò. Accettare l'apporto del marxismo significa mettersi nelle condizioni di analizzare oggettivamente - senza pregiudizi idealisti né illusioni romantiche - la realtà sociale. Per giungere alla conclusione che non si possono fare rivoluzioni appoggiandosi a forze motrici che non sono rivoluzionarie, o che pure animate di buona volontà siano del tutto carenti sul piano del realismo. Tutto considerato, vi è in tutto questo una buona dose di buon senso. Un buon senso che, di certo, ha caratterizzato in generale la situazione della CNT nei suoi lunghi anni di lotta in Spagna. Si negava il marxismo, si considerava l'idealismo come un principio "trascendente" e onnipotente, si affermava che il materialismo era un peccato di lesa maestà, si sosteneva che il fattore economico era una motivazione "inferiore"... tuttavia, di fatto, si agiva chiaramente in maniera materialista (così come dovrebbe essere) basandosi sulla lotta di classe e sulla realtà economica per avanzare lungo il cammino rivoluzionario. Se l'anarchismo fosse stato semplicemente una teoria kropotkiniana o se fosse consistito solamente di una serie di teorie bakuniniste, allora accettare il marxismo avrebbe comportato, nei fatti, una eterodossia degna di condanna. Però, fortunatamente, le cose non stanno così. L'anarchismo è una sintesi di teorie e di apporti che esige, prima di tutto, una atteggiamento aperto e critico: per poter fare proprio tutto ciò che è utile, per accettare le conclusioni positive di qualche pensatore, qualunque sia la sua etichetta, senza rifiutare sistematicamente il contributo che possa venire dagli "eretici". Anarchismo marxista? Sì e no. La posizione critica a cui si faceva riferimento sopra significa il rifiuto di tutti i dogmi monolitici: sarebbe assurdo (quanto antilibertario) postrarsi davanti a Marx così come lo sarebbe condannarlo enfaticamente; adorarlo come scomunicarlo. ...A meno che, certo, si preferisca seguitar nell'approvare il pensiero marxista mentre comporaneamente lo si neghi. Che è, in fin dei conti, ciò che noi anarchici abbiamo fatto finora.
Edgar Emilio Rodríguez
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