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Economia anarchica, economia marxista ed economia partecipativa

category internazionale | economia | opinione / analisi author Wednesday July 04, 2012 23:51author by Wayne Price - opinione personaleauthor email drwdprice at aol dot com Report this post to the editors

A sostegno degli scopi anarchici e per capire come funziona il capitalismo, torna utile agli anarchici ricorrere alla teoria economica di Marx. A tal fine, si criticano qui di seguito 3 saggi sull'economia capitalista elaborati da teorici della parecon (Participatory Economics). [English]
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Economia anarchica, economia marxista ed economia partecipativa


Quando a sinistra si discute di economia, si intendono in realtà, se collegate, 2 questioni differenti. La prima attiene a quale economia potrebbe essere creata all'indomani del rovesciamento del capitalismo (chiamatelo come volete socialismo, comunismo, o anarchismo). E la seconda attiene alla natura dell'esistente economia capitalista, come funziona e quale sviluppo futuro avrà.

Per ciascuna delle due questioni mi trovo a sostenere rispettivamente le seguenti posizioni: sulla prima, che il migliore approccio teorico ad un'economia post-capitalista e post-rivoluzionaria ce lo dà la tradizione anarchica, insieme ad altre varietà, non-marxiste, di socialismo libertario (il socialismo delle gilde, l'economia partecipativa, il distribuzionismo, ecc.); sulla seconda, che il migliore approccio per comprendere il capitalismo sia la teoria marxista (più precisamente, la critica dell'economia politica fatta da Marx).

E dico questo anche se mi ritrovo d'accordo con l'intero programma dell'anarchismo rivoluzionario di classe. Ed è per questa ragione che sostengo che le due posizioni non siano reversibili. Il marxismo non deve essere usato come base per una visione della nuova società. Per la verità, vi è un aspetto del marxismo (il marxismo di Marx) che punta ad una società democratico-libertaria ed umanitaria, una società di libera associazione degli individui. e che ha attratto una minoranza verso una versione anti-statalista del marxismo. Ma ci sono anche aspetti autoritari del marxismo di Marx, quali il suo centralismo o il suo determinismo. In pratica, il marxismo in quanto movimento si è più volte rivelato autoritario, oppressivo e (per essere precisi) massicciamente omicida.

In questo mio saggio, mi concentrerò sulla seconda questione, cioè l'utilità della teoria economica di Marx e, a scopo dimostrativo, la contrapporrò alla teoria dell'economia partecipativa. Quindi non entrerò in merito alla prima questione, per la quale la teoria dell'economia partecipativa è ben nota: vedi il suo modello di società post-capitalista, gestita da una federazione di consigli nei posti di lavoro e nel territorio, con una pianificazione democratica dell'econonomia, senza un mercato e senza una pianificazione centralizzata (cfr. Albert, 2003; Hahnel, 2005). Si tratta di un argomento molto interessante, ma qui intendo discutere la visione che questi autori dell'economia partecipativa hanno del capitalismo oggi, alla luce di una visione anarchica che invece fa ricorso ad alcune intuizioni marxiste.

I fondatori della "Participatory Economics", o "Parecon", sono Michael Albert e Robin Hahnel. Inizialmente essi definivano il loro approccio come "marxismo non-ortodosso" (cfr. Albert & Hahnel, 1978). Oggi, Hahnel inscrive le sue posizioni nel "socialismo libertario" (cfr. Hahnel, 2005), mentre Albert rifiuta completamente l'etichetta di "socialismo" (cfr. Albert, 2001). Ora la Parecon viene presentata come una "visione anarchica" (p. 327).

Riprendo questo ramo del pensiero libertario non perché sia particolarmente negativo, ma per la ragione opposta: perché si presenta come relativamente forte e sviluppato e perché si è dotato di una teoria economica che la maggior parte degli anarchici o dei socialisti libertari non hanno. Vale dunque la pena prenderlo in esame. Mi concentrerò sui 3 capitoli della Parecon che sono apparsi sul libro "Anarchist Economics", edito da D. Shannon, A.J. Nocella II e da J. Asimakopoulos (2012). Si tratta di un libro eccellente per la pluralità di sguardi che presenta (fra cui un mio capitolo sull'economia anarchica post-capitalista e non sul tema qui in discussione). C'è anche un capitolo di Hahnel ed Albert, i due co-fondatori della Parecon, ed uno di Chris Spannos, che aveva già pubblicato un libro sulla parecon (Spannos, 2008).

L'economia anarchica di Chris Spannos

Il saggio di Spannos si intitola "Examining the History of Anarchist Economics" (pp. 42-63). Vale la pena leggerlo, per il suo rapido passare in rassegna la storia dell'economia anarchica e dell'economia post-capitalista. Ma egli scrive anche delle cose su come funziona il capitalismo a cui è necessario rispondere.

Insiste sul fatto che "nell'opera di Marx si sottolinei prevalentemente la teoria sull'esistenza di due classi basata sui rapporti di proprietà...". (p. 47) - cioè, la borghesia (i capitalisti) ed il proletariato (la moderna classe lavoratrice). Eppure, dice Spannos, Bakunin già riconosceva l'esistenza di una terza classe, che oggi viene definita "classe professional-manageriale" o (in base al termine usato dagli esponenti della parecon) "classe coordinatrice". Si suppone che questa classe avrebbe interessi propri opposti sia a quelli dei capitalisti che dei lavoratori. Sarebbe giunta al potere, sostituendo la borghesia, nella precedente Unione Sovietica e nella Cina maoista (società che gli esponenti della Parecon definiscono "coordinatoriste", sebbene Spannos usi anche il termine di "socialismo di stato"). Queste società si suppone usino sia "la pianificazione centralizzata che i mercati" (p. 43).

In realtà, queste società hanno tentato la pianificazione centralizzata, ma sono sempre state dipendenti dai mercati. I lavoratori hanno venduto la loro forza-lavoro ai padroni; hanno prodotto beni per il consumo che sono stati venduti sul mercato e mezzi di produzione che le imprese si sono vendute reciprocamente; queste società hanno comprato, venduto e fatto prestiti sul mercato mondiale. Di conseguenza, le loro economie mostrano una tendenza alla produzione continua, all'accumulazione ed all'espansione.

L'esistenza di questo terzo strato è un fatto, ma l'analisi degli esponenti della parecon risulta superficiale. Ciò che sta al centro dell'analisi del capitalismo fatta da Marx, non è la proprietà privata e nemmeno i mercati in sé. E' invece il rapporto capitale/lavoro nel processo di produzione. (Non prendo in considerazione l'analisi di Marx sui proprietari terrieri quale terza maggiore classe insieme ai capitalisti ed ai lavoratori. Non ha influenza sull'argomento). Questa relazione è una forma particolare di sfruttamento, ben diversa dalla schiavitù o dalla servitù della gleba o da qualsiasi immaginabile nuova forma di sfruttamento. La merce costituita dalla forza-lavoro operaia viene comprata dai capitalisti che fanno lavorare gli operai il più duramente possibile per pagarli il meno possibile, ben oltre il limite in cui questi siano giunti a produrre l'equivalente in valore del loro salario: vi è dunque un guadagno padronale su ore di lavoro non retribuito nella produzione di merci. Questo surplus di produzione serve ad alimentare la continua accumulazione di capitale e l'auto-espansione del valore.

Ciò che contraddistingue i capitalisti borghesi non è la proprietà privata in quanto tale, bensì il fatto che essi siano agenti del capitale nel processo di accumulazione. "...Il capitalista non è che la personificazione del capitale e si colloca nel processo di produzione solamente in quanto agente del capitale" (Marx, 1967; p. 819).

Marx si aspettava che sarebbe diminuito il numero dei piccoli imprenditori, dei professionisti indipendenti e delle piccole famiglie agrarie, a fronte di un'economia che fosse diventata sempre più centralizzata, concentrata e statalizzata. Ma questo processo avrebbe fatto crescere anche lo strato mediano dei dirigenti, dei burocrati e dei supervisori. "Un esercito industriale di lavoratori, sotto il comando di un capitalista, richiede, proprio come un vero esercito, ufficiali (dirigenti), e sergenti (capisquadra, sorveglianti), i quali ... comandano in nome del capitalista. Il lavoro di sorveglianza diviene la loro funzione stabilita ed esclusiva" (cfr. Marx, 1906; p. 364). Marx parla de "lo sviluppo di una numerosa classe di managers industriali e commerciali" (cfr. Marx, 1967; p. 389).

Permettetemi di ripeterlo: contrariamente a quanto sostiene Spannos, Marx descrive lo "sviluppo di una classe di managers".

I capitalisti ed i proletari sono le due classi polari proprio in ragione delle loro relazioni nel processo di produzione e non per altre ragioni. "L'economia politica di Marx non riduce la struttura di classe a quella di capitale e lavoro. Al contrario, altre classi si collocano nella relazione tra capitale e lavoro, sia come componenti essenziali sia contingenti nel modo di produzione capitalista" (cfr. Fine & Saad-Filho, 2010; p. 148).

La classe manageriale esiste per aiutare i capitalisti nell'estrazione di plus-lavoro dai lavoratori. Che possa avere conflitti con i capitalisti non costituisce una sorpresa in questa economia conflittuale e competitiva. In eccezionali circostanze, una frazione di questa classe può temporaneamente sostituire la tradizionale borghesia azionista, nel ruolo di agente del capitale, come accadde in Unione Sovietica. (Marx ed Engels pure immaginavano la possibilità di una proprietà di stato, tuttavia che una burocrazia collettiva potesse sostituirsi alla tradizionale borghesia non venne previsto da Marx bensì da Bakunin, come Spannos correttamente dice). Allora i managers (burocrati, coordinatori, e quant'altro) diventano la personificazione collettiva del capitale nel rapporto capitale/lavoro. E finché è così, la società rimane una società capitalista (di stato).

Vi è un'altra peculiarità nella teoria della parecon. Parlando di "compensazione", Spannos sostiene che "Nel capitalismo il potere contrattuale determina il reddito... I lavoratori hanno poco potere contrattuale rispetto ai capitalisti ed allo Stato...". (p. 51). Anche questa affermazione è superficialmente corretta. Si dimentica che i lavoratori vengono sfruttati!! Che una certa quantità di lavoro è lavoro non pagato che produce plus-valore per i capitalisti. Dal momento che gli esponenti della parecon respingono la teoria del lavoro-valore di Marx con tutta l'analisi che ne discende, si ritrovano a non saper spiegare da dove nasce il profitto (a meno che non assumano che il profitto provenga da un incremento della produzione di beni utili, ignorando al tempo stesso la questione del valore monetario). Perciò essi non hanno una teoria dello sfruttamento, salvo dire che i lavoratori si trovano in una debole posizione contrattuale. E se la volessimo applicare agli schiavi o ai servi della gleba delle società antiche? Venivano sfruttati o si trovavano solo in una debole posizione contrattuale?

Il socialismo liberal-libertario di Robin Hahnel

"The Economic Crisis and Libertarian Socialists" di Hahnel (pp. 159-177) è l'intervento in una conferenza in Grecia nel maggio 2010. Vi si parla della Grande Recessione e della risposta delle classi dominanti negli U.S.A. ed in Europa. Il saggio contiene il discorso originale più un breve aggiornamento.

Considerando che l'intervento è stato fatto da un socialista libertario in una conferenza "anti-autoritaria", la sensazione che se ne ricava è molto deludente. Eccetto una breve introduzione, non c'è niente che non abbia già scritto Paul Krugman o che potrebbe dire qualsiasi altro liberale keynesiano. Vi si afferma che "le cause principali" della crisi hanno a che fare con "la disuguaglianza economica" e con una "spericolata deregolamentazione del settore finanziario" (p. 161). L'unico contesto dato per questi fattori è "un costante aumento del potere d'impresa" ed un reciproco indebolimento del potere di "lavoratori, consumatori, e governi" (p. 161). Per cui pare che la Grande Recessione sia un semplice accidente. Hahnel non menziona che a partire dagli anni '70 è iniziato un lungo periodo di contrazione dei profitti nell'economia reale (cioè dove i veri beni e servizi vengono prodotti). Cosa che è stata compensata da un'espansione dell'economia finanziaria (quella di carta, chiamata da Marx "capitale fittizio"). Basta leggere i lavori di Brenner (2006), Foster & Magdoff (2009), Kliman (2012), e Mattick (2011), fra gli altri.

Le sue proposte-presumibilmente dirette ai socialisti libertari ed agli antiautoritari--risultano meramente di sinistra liberale. Egli chiede una maggiore regolamentazione delle banche, delle imprese e un massiccio stimolo economico. Ma se c'è un declino di lungo termine nel capitalismo, la borghesia farà con le unghie e con i denti contro ogni programma liberale del genere, ed in particolare contro ogni stimolo finanziario che faccia fare passi avanti al destino della classe lavoratrice e dei poveri. Ed anche se dovesse partire un programma del genere, la tendenza discendente di lungo termine potrebbe essere solo temporaneamente modificata, ma non invertita verso una nuova prosperità.

Hahnel non dà alcun suggerimento per una programma socialista libertario di transizione. Non chiede un intervento poderoso per grandi lavori pubblici, sotto il controllo dei lavoratori e delle loro comunità locali. Non chiede che i lavoratori occupino le fabbriche e le aziende che chiudono o che restano "aperte" solo licenziando la maggior parte dei dipendenti, non chiede di occupare e gestire queste imprese, in coordinamento con altre aziende ed uffici pubblici autogestiti. Non chiede il ripudio del debito nazionale e l'espropriazione dei grandi affaristi. Nel mentre che la crisi peggiora (e peggiorerà ancora), tali proposte potrebbero dimostrare la praticabilità di un programma rivoluzionario anarchico. Ma non è il caso di Hahnel.

Hahnel ha scritto un libro di economia nel 2002, che ha il grande pregio della chiarezza. Il suo approccio teorico è quello di un keynesiano di sinistra che si rifà a Sraffa. Non ne parlo qui, dato che richiederebbe una recensione adeguata. Ma ad un certo punto egli trova il modo per rigettare il concetto di Marx sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. (Il che è coerente con il fatto che egli ignori i 4 lunghi decenni di declino della produzione capitalista reale.) Senza entrare nel dettaglio, questo è proprio l'errore che era stato indicato da Kliman nel 2007. (vedi nota a piè pagina)

La strategia porosa di Michael Albert

A mo' di "Postfazione" al volume, il capitolo di Albert si intitola "Porous Borders of Anarchist Vision and Strategy" (pp. 327-343). Egli inizia con una difesa della parecon quale "sufficiente visione rivoluzionaria anarchica" (p. 327). Non intendo occuparmene qui per cui non mi addentro. Non parla affatto di come funzioni il capitalismo, di come noi si possa giungere ad una nuova società, o come il capitalismo tenda a farci arretrare.

Allora entra nel merito di una "Strategia anarchica". Dice che ci vuole flessibilità nel pensare ad una strategia, opponendosi a quegli anarchici che chiedono uno specifico orientamento strategico. Ad esempio, alcuni anarchici credono che sarà necessaria una rivoluzione per rovesciare lo Stato e le altre istituzioni del capitalismo. Che ci sarà bisogno che la classe lavoratrice abbia un ruolo centrale in questa rivoluzione, in alleanza con altri gruppi oppressi. Che, in vista di ciò, questi anarchici incoraggino le azioni di massa e di lotta dei lavoratori ed altri contro i capitalisti e contro lo Stato ovunque sia possibile. Questa è la strategia con cui mi ritrovo d'accordo. Credo che essa provenga da una storica analisi anarchica sulla società capitalista, insieme all'analisi economica di Marx sul capitalismo.

Al contrario, Albert sostiene che, "...non vi è praticamente nulla che possa costituire un impegno strategico, positivo o negativo, che possa porsi come pietra miliare e perciò non superabile in ogni tempo ed in ogni spazio, come un a priori" (p. 338). Ad un certo livello si tratta di un luogo comune (se dallo spazio esterno gli alieni invadessero il pianeta, tutte le scommesse sarebbero finite), ma quello che intende dire Albert è che egli rifiuta certe specifiche idee strategiche espressione degli anarchici rivoluzionari su posizioni di lotta di classe. Più specificatamente, egli è stato influenzato dalla "Rivoluzione Bolivariana" di Hugo Chavez in Venezuela. Albert vuole rivolgersi agli anarchici quando egli è uno statalista filo-Chavez.

Egli denuncia in particolare coloro i quali dicono che "le elezioni presidenziali sono del tutto verboten per gli anarchici" (p. 338). In passato Albert ebbe a sostenere che la sinistra avrebbe dovuto votare per Jesse Jackson del Democratic Party e, nel 2008, che i Verdi non avrebbero dovuto opporsi ad Obama negli "swing states" (stati con esito elettorale in bilico, ndt). A volte, dice, ci potrebbero essere politici candidati a fare il presidente che sono relativamente buoni (presumibilmente pensa a Chavez) e che meriterebbero di essere sostenuti. In tutto questo Albert non parla mai della questione di classe. Diversamente da Bakunin ed altri anarchici, Marx voleva che gli operai votassero, ma che votassero per un partito operaio - un partito che avesse rotto con la politica borghese. (Bakunin non era d'accordo e, secondo me, la storia gli ha dato ragione). Marx non avrebbe voluto il voto per partiti filo-capitalisti, filo-imperialisti, come il Partito Democratico in USA, né per i partiti nazionalisti che sostengono il capitalismo nelle nazioni oppresse, come in Venezuela. Ma questa questione di classe non ha importanza per Albert.

Ancora più sorprendente quando scrive che in certe circostanze potrebbe essere giusto "usare l'esercito per la disciplina e se necessario per sostituire la polizia" (p. 341), di nuovo con riferimento al Venezuela. Si sta parlando dell'esercito esistente in uno stato esistente. Non si sta parlando di un esercito che si è scisso tra ufficiali reazionari ed ufficiali auto-organizzati, ammutinati, soldati-lavoratori (in un simile caso, gli anarchici potrebbero realmente usare la parte ribelle dell'esercito contro la polizia e contro i corpi speciali).

Quello che manca del tutto è dunque un'analisi di classe dello Stato. Gli anarchici rivoluzionari ritengono che lo stato esistente sia un'istituzione capitalista del tutto oppressiva, che non può essere riformata in niente altro. Questo non vuol dire che non si possano fare vertenze con lo Stato e che esso non possa fare nulla di buono per la gente (sempre per i suoi scopi). Ma rimane lo stato dei capitalisti, dei burocrati e dei politici. Per quanto formalmente democratico , esso è ancora ciò che Marx definì come "dittatura della borghesia".

Perciò deve essere rovesciato e smantellato completamente. Deve essere sostituito con qualcos'altro: con una federazione non-di-stato di consigli di lavoratori e di assemblee di quartiere, associate con una classe operaia armata e con altre persone oppresse. (Di nuovo, tutto ciò è coerente con una interpretazione democratico-libertaria del marxismo, se non pure con le versioni riformatrici del marxismo-leninismo.) Qui c'è una lunga storia che sostiene queste concezioni (cfr. Price, 2007; 2010). Le idee di Albert sullo Stato e sulle elezioni sono invece lontanissime dalla corrente principale della tradizione anarchica.

Per inciso, Marx considerava Bolivar come una sorta di autoritario falso leader dei movimenti di liberazione nazionale in America Latina (cfr. Draper, 1992). Per un'attuale analisi anarchica sulla politica di Chavez, vedi Uzcategui (2010).

Conclusione

Il mio scopo era quello di dimostrare perché la teoria economica di Marx sia più utile per gli anarchici quando serve per capire come funziona il capitalismo. L'ho fatto criticando 3 recenti saggi di autori esponenti della Parecon. Loro hanno sviluppato la propria teoria dell'economia capitalista insieme ad una visione dell'economia socialista libertaria. Con questa breve analisi penso di aver mostrato che, se da una parte questi autori hanno delle intuizioni, dall'altra la loro teoria economica si rivela alquanto debole, perché si rivela superficiale e limitata nell'analisi dell'economia attuale, dei rapporti di classe, dello Stato capitalista, dell'attuale crisi. Le conclusioni programmatiche che essi ne traggono risultano liberali e riformiste. Non vi è alcuna alternativa per gli anarchici se non usare la teoria economica marxista nel perseguimento della nostra visione e dei nostri fini.

Nota: L'errore è il modello che egli usa per rifiutare la teoria del caduta del tasso di profitto mentre i valori monetari (i prezzi) restano invariati nonostante un aumento della produttività. In realtà, l'aumento della produttività provoca il decremento dei prezzi (merci che costano meno, o - in caso di inflazione - perché i loro prezzi crescono più lentamente del tasso generale). Questo è ciò che ci aspetteremmo seguendo la teoria del valore-lavoro, quando le merci vengono prodotte con meno lavoro.

Wayne Price

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.


Riferimenti:

  • Albert, Michael (2001). "Is Socialism Still on the Agenda?" New Politics. VIII, No. 2. Pp. 123-137.
  • Albert, Michael (2003). Parecon: Life after capitalism. NY: Verso.
  • Albert, Michael, & Hahnel, Robin (1978). Unorthodox Marxism; An Essay on Capitalism, Socialism, and Revolution. Boston MA: South End Press.
  • Brenner, Robert (2006). The Economics of Global Turbulence: The Advanced Capitalist Economies from Long Boom to Long Downturn, 1945-2005. London UK: Verso.
  • Draper, Hal (1992). "Karl Marx and Simon Bolivar: A Note on Authoritarian Leadership in a National Liberation Movement". In Socialism from Below (E. Haberkern, Ed.). Atlantic Highlands NJ: Humanities Press.
  • Fine, Ben, & Saad-Filho, Alfredo (2010). Marx's "Capital" (5th Edition). London UK: Pluto Press.
  • Foster, John Bellamy, & Magdoff, Fred (2009). The Great Financial Crisis: Causes and Consequences. NY: Monthly Review Press.
  • Hahnel, Robin (2002). The ABCs of Political Economy. London UK: Pluto Press.
  • Hahnel, Robin (2005). Economic Justice and Democracy. NY: Routledge.
  • Kliman, Andrew (2007). Reclaiming Marx's "Capital": A Refutation of the Myth of Inconsistency. London UK: Lexington Books.
  • Kliman, Andrew (2012). The Failure of Capitalist Production: Underlying Causes of the Great Recession. NY: Pluto Press.
  • Marx, Karl (1906). Capital; A Critique of Political Economy (Vol. I); The Process of Capitalist Production. NY: Modern Library.
  • Marx, Karl (1967). Capital: A Critique of Political Economy (Vol. III); The Process of Capitalist Production as a Whole. NY: International Publishers.
  • Mattick, Paul, Jr. Business as Usual: The Economic Crisis and the Failure of Capitalism. London UK: Reaktion Books.
  • Price, Wayne (2010). Anarchism & Socialism: Reformism or Revolution? Edmonton, Alberta, Canada: thoughtcrime ink.
  • Price, Wayne (2007). The Abolition of the State: Anarchist & Marxist Perspectives. Bloomington IN: AuthorHouse.
  • Shannon, Deric; Nocella, Anthony J., II; & Asimakopoulos, John (2012). The Accumulation of Freedom: Writings on Anarchist Economics. Oakland CA: AK Press.
  • Spannos, Chris (2008) (Ed.). Real Utopia: Participatory Society for the 21st Century. Oakland CA: AK Press.
  • Uzcategui, Rafael (2010). Venezuela: Revolution as Spectacle (C Bufe, trans.). Tucson AZ: See Sharp Press.

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