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I Comitati Popolari in Egitto

category nordafrica | lotte sul territorio | opinione / analisi author Wednesday June 01, 2011 06:39author by José Antonio Gutiérrez D. Report this post to the editors

I comitati popolari in Egitto, come in molte altre rivoluzioni nel corso della storia (e senza andare oltre, come in altri paesi scossi dalla "primavera araba"), sono nati per svolgere un ruolo di protezione in una situazione di incertezza e di vuoto di potere, in cui le istituzioni del vecchio ordine sono crollate momentaneamente, ed in cui i comitati giungono rapidamente al punto di diventare espressione di un nuovo potere, il potere delle persone per svolgere compiti e politiche costruttive autogestite come organizzazione alternativa sociale nel processo decisionale. [Castellano]
Lienzos de los Comités Populares en la Plaza Tahrir (Imagen de José Antonio Gutiérrez D.)
Lienzos de los Comités Populares en la Plaza Tahrir (Imagen de José Antonio Gutiérrez D.)


I Comitati Popolari in Egitto


Erano circa le 8:00 della sera e la riunione era cominciata. In un quartiere affollato di Giza, un distretto a sud-ovest del Cairo che ospita 6 milioni e mezzo di persone, il Comitato Popolare stava discutendo una serie di questioni circa il costo della vita, l'aumento del prezzo di beni essenziali come la benzina ed il pane. I comitati popolari in alcuni quartieri hanno assunto il ruolo di monitoraggio dei prezzi e delle istituzioni del governo locale e la discussione ruotava sulla base di questi temi. Una donna presente alla riunione ci ha detto che una grande questione davanti a loro era quella del decentramento delle autorità, per agevolare il funzionamento dei meccanismi di democrazia diretta che esistono nei quartieri poveri.

Durante la riunione, ci siamo presi il tempo per parlare con Ahmed Ezzat, coordinatore dei Comitati popolari del Cairo. Egli mi parla della nascita dei comitati popolari, che "durante le proteste contro Mubarak, alcuni comitati popolari si sono formati in diversi distretti per proteggere la popolazione, anzittutto dagli attacchi della polizia, poi quando la polizia si è ritirata dalle strade, dagli attacchi da parte di teppisti al servizio del regime, detti baltagayyah, che volevano diffondere panico e terrore tra la popolazione. Questi comitati sono il frutto della rivoluzione, sono spontanei. Quando il popolo ha difeso Piazza Tahrir è stato qualcosa di spontaneo, come quando ha difeso il proprio quartiere. Quando la gente capisce che qualcosa è importante, allora lo fa. Alcuni comitati presto cominciarono a sviluppare un lavoro politico, al pari dei compiti di sicurezza, in alcuni quartieri. Molti di questi comitati hanno iniziato a sostenere l'occupazione di Piazza Tahrir e ad assumere un ruolo chiaramente politico".

I comitati popolari in Egitto, come in molte altre rivoluzioni nel corso della storia (e senza andare oltre, come in altri paesi scossi dalla "Primavera araba"), sono nati per svolgere un ruolo di protezione in una situazione di incertezza e di vuoto di potere, in cui le istituzioni del vecchio ordine sono momentaneamente crollate e man mano che diventavano espressione di un nuovo potere, il potere del popolo, sono giunti rapidamente a svolgere compiti politici, di carattere costruttivo e a proiettarsi come alternativa di organizzazione sociale in nuce. In questi organismi di democrazia diretta, si costruiscono le basi per un nuovo modo di relazionarsi tra gli esseri umani, come dimostra il ruolo politico senza precedenti assunto dalle donne in questi comitati e nella lotta per le strade, in cui esse hanno partecipato e discusso alla pari con gli uomini.

La compagna Mona Ezzat racconta la sua esperienza di donna in questi comitati: "Le donne erano parte integrante dei comitati popolari. Uomini e donne hanno organizzato la sicurezza dopo che la polizia si è ritirata dalle strade, hanno organizzato il traffico. Nel mio quartiere, i residenti hanno bruciato il commisariato e poi l'hanno occupato come sede del comitato, pitturata ed arredata. Molto presto sono iniziate i dibattiti politici all'interno dei comitati e ci si è cominciati a porre domande molto semplici e molto didattiche di politica. Ora, per la prima volta, posso parlare con i giovani del mio quartiere, quando di solito andavo via da casa a lavorare molto presto e tornavo molto tardi e qualche volta mi fermavo in strada, ma senza aver molto tempo da passare con loro. Ma dentro al comitato abbiamo cominciato a vederci e sono stata molto lieta di condividere con loro questa esperienza".

L'esperienza di responsabilizzazione e valorizzazione che racconta Mona è tipica dei quartieri poveri, dove i settori emarginati e impoveriti per la prima volta avevano voce in capitolo sui propri problemi. Ma anche nei quartieri della classe media, la paura dell'attesa "orda" di saccheggiatori dai quartieri popolari ha portato alla formazione di gruppi di vigilantes, la cui natura era radicalmente diversa da quelli creati nei quartieri poveri. "Durante le proteste contro Mubarak", ha detto Ahmed, "alcuni comitati, in particolare nelle zone del ceto medio, si sono formati solo per scopi di protezione e sicurezza. Quando si è passati dalla protezione alla politica, questi comitati sono scomparsi dalla cartina geografica, non avevano alcun interesse a continuare a funzionare o a lavorare, né tantomeno di volersi relazionare ed articolare con altri comitati". L'organizzazione di questi comitati è stata una necessità dettata dalle loro circostanze, ma senza trarne nessun beneficio tangibile.

Erano i settori popolari che avevano qualcosa da guadagnare da questa esperienza di potere popolare, che ha dato loro lo spazio politico da cui partire per articolare le loro richieste direttamente e con cui poter prendere il controllo dei propri quartieri. In questo senso, i settori popolari non sono stati disposti ad abbandonare i loro comitati, che infatti continuano ad esistere. Secondo Ahmed, "dopo la caduta di Mubarak, i comitati cominciarono a entrare in contatto tra loro per organizzare una piattaforma comune e lotte comuni per la democrazia, per la giustizia sociale e contro la corruzione. Alcuni comitati ancora portano avanti il lavoro di protezione nei loro distretti, come ad Alessandria, ma procede anche il lavoro politico. In una fabbrica, per esempio, il padrone ha cercato di rubare le macchine ed il comitato le ha recuperate. Bouzaid, un famoso imprenditore, ha cominciato ad accaparrarsi la benzina per rivenderla a prezzi astronomici. Il Comitato ha organizzato le proprie forze per indurlo a ridurre il prezzo di vendita da £40 a £5".

Questi comitati esistono in diverse città e in molti quartieri d'Egitto. E' difficile sapere esattamente quanti sono, in quanto non tutte sono coordinate e le forze che le compongono sono molto dipersi, cosa che ci conferma Ahmed: "Ci sono alcuni comitati molto deboli e altri molto forti, e altri ancora in mezzo. Non c'è alcuna uniformità tra i diversi comitati. Il comitato di Alessandria, per esempio, riunisce circa 5.000 persone attive. Ma ci sono centinaia di comitati, come a Imbaba, che ora hanno solo una decina di persone".

A metà di marzo, quando si è votato nel referendum sulle riforme costituzionali, la piattaforma dei comitati popolari ha adottato una posizione molto chiara, quale riflesso del dibattito politico sviluppato nel loro seno per un mese e mezzo. "I comitati di Giza, del Cairo, di Dar el-Salam, Imbaba, Bazatin, al-Jamaliya, tra gli altri, hanno partecipato a un dibattito sulla riforma costituzionale. La conclusione era che non dovevamo sostenerela e abbiamo cominciato a fare pressioni per il NO. Noi crediamo che si deve cambiare tutto, non solo questo o quell'articolo". Il referendum è stato perso, in parte a causa delle speranze e delle aspettative che molte persone ancora hanno verso il governo di transizione, ma man mano che il tempo passa, sempre più gente si rende conto che le riforme costituzionali non sono sufficienti ed occorre un cambiamento più profondo.

Ahmed ci dice quali sono le priorità attuali del suo comitato: "Al momento, stiamo promuovendo due campagne: una per l'elezione diretta dei governatori [amministratori dei governatorati, o regioni - ndt.], contro la nomina dall'autorità centrale. E un'altra è la creazione di un sindacato dei disoccupati che lotti per la giustizia nei servizi pubblici. Questo perché i poveri ed i ricchi ricevono una diversa qualità del servizio e noi crediamo che ci debba essere giustizia".

Queste sono le lotte immediate, a breve termine, ma egli è convinto che i comitati continueranno a svolgere un ruolo importante e fondamentale per i cambiamenti rivoluzionari che stanno nascendo nella società egiziana:

"Riteniamo che nel giro di circa 2-5 anni, questi comitati continueranno ad espandersi con l'aiuto delle mobilitazioni operaie. Vi è una profonda crisi, che colpisce tanto il regime quanto l'economia internazionale, che pone il movimento sociale contro il neoliberismo e contro i capitalisti nella lotta per rivendicazioni di base, quali i diritti fondamentali, i servizi pubblici, i salari. Dobbiamo costruire organizzazioni popolari per portare avanti questa lotta popolare, quindi non solo i comitati di quartiere, ma anche sindacati indipendenti, sindacati dei contadini. Se la popolazione non si organizza in una ampia rete di organismi che rappresentano i loro interessi in questa lotta che si annuncia lunga e che richiederà organizzazioni forti e non effimere, non vinceremo".

Ahmed va al cuore di uno dei problemi fondamentali di tutte le rivoluzioni, dalla Francia del 1789 ad oggi, e cioè che la mancanza di modalità in cui creare il potere collettivo, in cui le persone possono discutere direttamente, cioè le forme permanenti e non temporanee della democrazia partecipativa e diretta, insieme all'inerzia degli eventi, ci riporta alla vecchia maniera di fare politica e quindi si ripristina il vecchio ordine:

"Il nostro concetto di democrazia è quello di una democrazia popolare dal basso, ecco il perché della nostra campagna per l'elezione diretta delle autorità locali, contro la loro nomina dall'alto, e questo deve avvenire in tutti gli uffici pubblici, nelle università e nei distretti. Ma la democrazia la vediamo anche come una deliberazione costante del popolo, tramite il comitato dei cittadini, lo spazio dove tutti possono parlare, decidere e partecipare. È l'espressione del potere che abbiamo acquisito nella nostra lotta e che non siamo disposti a cedere".

Finché persisterà la volontà di non cedere le zone di libertà conquistate e di non buttare via le espressioni del potere popolare costruite, siamo certi che qualunque sia la difficoltà in cui versa la popolazione di oggi e anche se temporaneamente dovesse imporsi la controrivoluzione, l'ultima parola, alla fine, l'avrà il popolo dal basso.

José Antonio Gutiérrez D.

27 maggio 2011

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

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