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La strada per la Palestina passa per il Cairo

category mashrek / arabia / irak | imperialismo / guerra | opinione / analisi author Thursday May 26, 2011 21:19author by José Antonio Gutiérrez D. Report this post to the editors

La "Primavera araba" sta cambiando il volto del Medio Oriente e del Nord Africa in modi inaspettati. Una regione che fino a poco tempo fa era vista attraverso il velo razzista "occidentale" come endemicamente dittatoriale, ha deciso di mettersi in moto per la propria liberazione dall'autoritarismo storico. La gente in quasi tutti i paesi arabi ha iniziato a protestare per le proprie condizioni di vita e per i propri più elementari diritti, e questo crea uno scenario nel quale nulla è solido e tutto sembra malleabile, mutevole, fluido. Non c'è paura e il silenzio non sembra più un'opzione. Come è ovvio, né l'Israele né la Palestina possono restare indifferenti ai venti del cambiamento. [Castellano]
Manifesto inneggiando ad una Terza Intifada, Piazza Tahrir, Cairo. (Foto di Hossam al Hamalawy)
Manifesto inneggiando ad una Terza Intifada, Piazza Tahrir, Cairo. (Foto di Hossam al Hamalawy)


La strada per la Palestina passa per il Cairo


"Le rivolte nel mondo arabo ci danno speranza. La tirannia non durerà per tutti (...) l'eternità è una questione di tempo prima che arrivi il momento. E credetemi: l'occupazione israeliana è di gran lunga una delle peggiori tirannie della regione."
(Gideon Levy, conferenza al Trinity College di Dublino, 9 marzo 2011)

La "Primavera araba" sta cambiando il volto del Medio Oriente e del Nord Africa in modi inaspettati. Una regione che fino a poco tempo fa era vista attraverso il velo razzista "occidentale" come endemicamente dittatoriale, ha deciso di mettersi in moto per la propria liberazione dall'autoritarismo storico. La gente in quasi tutti i paesi arabi ha iniziato a protestare per le proprie condizioni di vita e per i propri più elementari diritti, e questo crea uno scenario nel quale nulla è solido e tutto sembra malleabile, mutevole, fluido. Non c'è paura e il silenzio non sembra più un'opzione. Come è ovvio, né l'Israele né la Palestina possono restare indifferenti ai venti del cambiamento.

L'importanza della resistenza palestinese nella mente politica dei popoli arabi mobilitati contro i propri tiranni, è un aspetto spesso trascurato dai mass media. Ma la resistenza palestinese è cruciale per capire la recente politicizzazione delle masse arabe; questa è una causa che ha fatto vibrare il cuore di tutti gli arabi per decenni, e ha generato un profondo risentimento verso la maggior parte dei governi arabi che hanno collaborato di fatto con Israele e sono stati complici dell'occupazione. In realtà, non è un caso che in Tunisia e Giordania, Egitto e Yemen, le proteste popolari contro i governanti fossero spesso accompagnate da rappresentazioni grafiche dei dittatori con stelle di Davide e le strisce e le stelle della bandiera americana. In tutto il mondo arabo sono state cantate canzoni che denunciano la viltà dei capi che sono stati complici dell'oppressione della Palestina. Potremmo dire che la causa palestinese rappresenta la quintessenza del dolore arabo. Ma rappresenta anche l'indice più eloquente sulle iniquità del sistema per milioni di arabi.

Quando il dittatore egiziano Hosni Mubarak è caduto l'11 febbraio, la popolazione di Gaza ha ballato e festeggiato per le strade tutta la notte, celebrando la vittoria egiziana come un proprio trionfo. E in effetti lo è stato:

"Mubarak per noi è sempre stata la mano di Israele fra gli arabi. Rovesciare Mubarak significava rovesciare un po' l'Israele, così vediamo la rivoluzione egiziana come un trionfo per i palestinesi."
Così dice Sayed Rian, un membro di Abnaa el-Balad (“I Figli della Terra”), un movimento politico di base, composto prevalentemente da palestinesi che vivono in Israele, formatosi all'inizio degli anni '70 e particolarmente attivo durante le due Intifada. Lui è originario di un piccolo villaggio vicino a Giaffa, ma vive a Haifa. Ci siamo incontrati in una sala da caffè del Cairo e abbiamo avuto l'opportunità di discutere una serie di temi che hanno illuminato i profondi cambiamenti che stanno iniziando a farsi sentire in Palestina da quando gli egiziani hanno deciso di dire "basta" e occupare piazza Tahrir, precipitando la caduta della dittatura.

L'apertura del valico di Rafah: l'inizio della fine del blocco di Gaza

Tutti gli opinionisti internazionale hanno intuito l'importanza che la caduta di Mubarak avrebbe avuto per la Palestina. E pochi mesi dopo quell'evento, i primi segni di questo cambiamento hanno già cominciato a manifestarsi. Il 28 aprile, il governo egiziano ha annunciato l'apertura permanente del valico di Rafah, in modo da porre fine al blocco medievale e criminale che è stato sottoposto alla Striscia di Gaza per quattro anni dalle autorità d'Israele. Secondo Sayed:
"L'apertura del confine di Rafah è di enorme importanza, al di là del calcestruzzo, dell’aspetto materiale. Riflette una profonda trasformazione: questo governo di transizione in Egitto, se vuole che la gente sia con esso, deve fare alcune concessioni. Poiché il popolo egiziano sente profondamente il desiderio di liberazione palestinese, è stato costretto a cedere. Non c’è da fidarsi troppo, ma questo passo ha un effetto positivo.

Israele ha detto apertamente, attraverso il presidente Shimon Peres, che preferisce le dittature nei paesi arabi, che le dittature arabe vanno bene per Israele. In realtà Israele teme la democrazia, perché democrazia significa la volontà del popolo e la volontà del popolo egiziano è la liberazione dei palestinesi."

L'ex capo del Mossad, Danny Yatom, ha detto qualcosa di simile quando sono iniziate le manifestazioni in Siria. Anche se non nasconde il suo disprezzo per il regime di Assad, ha detto che le manifestazioni in corso sono state fonte di preoccupazione perché minacciavano la "stabilità" della regione, aprendo una prospettiva incerta, in cui potrebbe crearsi un sistema "radicale" che sarebbe ancora meno desiderabile dal punto di vista strategico per Israele. Ha anche detto che la sua prima preoccupazione era di evitare forti proteste in Giordania, altro vicino d'Israele e con cui Israele condivide la maggior parte del suo confine, vicino al quale vive la maggior parte della popolazione israeliana. Insomma, le attuali dittature, lo statu quo, tutto cià è stato estremamente innocuo per l'egemonia israeliana. Curioso modo di pensare delle elite del paese che si vanta di essere, presumibilmente, l'unica "democrazia" del Medio Oriente!

Sayed riprende l'argomento:

"C'è un cambiamento nel discorso d'Israele; stanno cominciando a usare parole nuove mai usate in precedenza. Ora dicono che se gli arabi si stanno mobilitando per la loro liberazione non è una buona cosa, non è conveniente, che è preoccupante. Ma parlano con le parole, non con le bombe. Prima, se una voce araba parlava di liberazione la risposta delle bombe era immediata. Adesso stiamo parlando di una realtà che è cambiata: l'esercito egiziano è forte, sono circa 400.000 uomini sotto le armi, e se Israele attaccasse la Palestina a questo punto, sotto la pressione popolare di massa l'esercito egiziano non potrebbe restare un semplice spettatore, la reazione delle masse può costringere a una risposta. Questo, almeno, è quello che crediamo, anche se non possiamo avere la certezza assoluta.

La rivoluzione egiziana significa che il popolo palestinese è ora più forte. Se viene attaccato, avrà al suo fianco il popolo egiziano che tornerà a piazza Tahrir e metterà il governo tra l'incudine e il martello, costringendolo a rispondere.

Fino a poco tempo fa era impensabile che fosse aperto il valico di Rafah. La risposta naturale d'Israele sarebbe stato un bombardamento che avrebbe costretto il proseguimento del blocco di Gaza. Adesso si lamentano, ma non possono impedirlo."

I commentatori israeliani lo sanno e ci sono molte persone nei media israeliani che hanno avvertito il governo di non rischiare di precipitarsi in irresponsabili azioni militari, perché con il nuovo scenario in tutta la regione è improbabile che un attacco contro Gaza resti senza risposta. La gente per le strade nell'intero mondo arabo richiederebbe un'azione militare ed è probabile che gli Stati Uniti non riuscirebbe a fermare le sanzioni contro Israele al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel mese di marzo, mentre Israele ha condotto alcune operazioni militari a Gaza che hanno ucciso 13 palestinesi, il ministro degli esteri egiziano, Nabil el-Araby, ha avvertito Israele di non attaccare Gaza e che, in caso contrario, ci sarebbero state conseguenze. Questo è stato avvertimento sufficiente per Israele, costretto a malincuore a frenare le operazioni e mostrare più cautela del solito.

L'accordo Fatah-Hamas: “governo di unità nazionale” o unità nella resistenza?

L'accordo di unità tra i partiti palestinesi Hamas e Fatah, siglato questa settimana al Cairo, è un altro effetto della "primavera araba" che ha rivitalizzato lo spirito di resistenza. Questo accordo rappresenta un duro colpo allo spirit pacificatore e conciliativo che ha caratterizzato il movimento nazionalista Fatah sin dagli Accordi di Oslo nel 1993, quando si decise di creare uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele, e dalle quali è nata questa mostruosità nota come Autorità nazionale palestinese, che non è altro che un capitanato coloniale interamente nelle mani d'Israele e degli Stati Uniti. Ha anche messo tra l’incudine e il martello la leadership della stessa Autorità palestinese, attualmente nelle mani dei miti e remissivi Mahmud Abbas (Abu Mazen) e Salam Fayyad, che si caratterizza per le stesse pratiche collaborazioniste con l'imperialismo di Ben Ali, Hosni Mubarak, Ali Saleh, ecc., per la stessa sfacciata corruzione, per lo stesso atteggiamento repressivo verso il dissenso.

Per capire la portata di questo accordo, basta fare una breve rassegna delle tensioni tra le due fazioni da quando Hamas ha vinto le elezioni con una maggioranza schiacciante dell'Autorità palestinese nel 2006. Immediatamente, gli Stati Uniti, Israele e l'Unione europea hanno iniziato a fare tutti i tipi di obiezioni contro questo risultato democratico indesiderato, che ha mandato al governo dei "terroristi" che non riconoscevono "Israele". Nel 2007, Fatah tentò un golpe contro Hamas, golpe che è stato sponsorizzato da Israele e Stati Uniti e guidata da un mercenario di nome Mohammed Dahlan. Questo tentativo di golpe e tutta la strategia di destabilizzazione e di isolamento di Hamas, si è conclusa con l'espulsione del Fatah nel giugno 2007 dalla Striscia di Gaza, lasciandolo al "controllo" dell'Autorità palestinese nella sola Cisgiordania.

Più recentemente, la natura infida dell'Autorità palestinese, e di Abbas in particolare, è testimoniato dalla pubblicazione da parte di Al Jazeera a gennaio di una serie di documenti classificati che hanno rivelato come fosse disposto a fare ogni sorta di concessione su Gerusalemme, a sacrificare il diritto al ritorno dei rifugiati e a continuare la "collaborazione" in materia di sicurezza con Israele; è stato anche rivelato la sua complicità (insieme a Mubarak) nella criminale "Operazione Piombo Fuso" – gli attacchi d'Israele a Gaza nel dicembre 2008 e gennaio 2009, che hanno lasciato almeno 1.400 palestinesi morti, un terzo dei quali bambini.

In mezzo a una crescente pressione popolare, Abbas non aveva altra scelta che passare all'unità nazionale con Hamas, rompendo l'impasse della resistenza raggiunta nel 2007, per non trovarsi di fronte a una nuova Intifada, questa volta contro di lui e la sua corrotta Autorità palestinese, che ha già vissuto una giornata di forti proteste a marzo. La caduta di Mubarak e le strizzatine d'occhio del governo di transizione di Hamas in Egitto, hanno aperto uno spazio propizio per ulteriori negoziati e un accordo. Ovviamente, questi negoziati non piacevano affatto all'Israele. Bibi Netanyahu ha fatto una velata minaccia ad Abu Mazen: "Pace con Hamas o pace con Israele. L'uno o l'altro: la pace con tutti e due non è possibile". Ma Abbas, anche se avrebbe preferito mille volte di più la pace con Israele (una pace che avrebbe portato con sé notevoli vantaggi economici), non aveva altra scelta che fare la pace con Hamas se voleva evitare l'esposizione al tumulto dalle caratteristiche libertarie nel mondo arabo. In un passaggio retorico, Abbas si è appellato all'Israele di scegliere tra "la pace o la colonizzazione."

Sayed, come la maggior parte dei palestinesi che conosco, non nasconde il suo ottimismo, anche se rimane cauto:

"Né Fatah né Hamas ha cambiato nulla, per cui ho un cauto ottimismo, ma credo che questa alleanza farà rallentare i negoziati con l'Israele, perché Israele non negozierà mai con Hamas. Un altro effetto di questo accordo sarà che frenerà la collaborazione di Fatah con Israele. Questo accordo è ovviamente un prodotto della “Primavera araba”. Il popolo palestinese, ovviamente, rispetta e sostiene questa partnership perché capisce che si tratta di un passo avanti. Mubarak ha rappresentato un ostacolo per l'alleanza, che è possibile perché il sistema che abbiamo ora non può favorire Fatah."
Sayed mi confessa che lui odia sentire la parola "pace". Non perché è una persona di natura violenta, ma perché sente che il discorso di pace e di trattativa ha servito come pretesto per ulteriori saccheggi, depredazione e violenza sistematica contro il popolo palestinese.
"Mi da fastidio sentir parlare di pace quando questo non significa che ci sia anche giustizia sociale. La pace che l'Israele e gli Stati Uniti vogliono è una pace con sangue e fiori sulla tomba della resistenza. Non è più tempo per parlare di pace: è il momento di parlare della resistenza. I palestinesi negoziano perché si sentono deboli. Negoziare i confini del 1967 è un insulto, visto che parliamo solo del 22% del territorio originario della Palestina. Senza nemmeno parlare del problema dei profughi e il loro diritto al ritorno. Nessuno vuole questo tipo di pace."
E infatti questo tipo di pace è insostenibile, anche per l'Autorità palestinese, sempre più disposta a soddisfare tutte le esigenze sempre più capricciose d'Israele e degli Stati Uniti che non a servire la causa della liberazione palestinese. L'ultimo round degli interminabili negoziati non è andato da nessuna parte: si sono interrotti alla fine del 2010 perché Israele non era disposto a congelare la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania, nonostante il fatto che Abbas era pronto per ogni tipo di concessione.

Anche se il discorso del governo di "unità nazionale" è un antidoto alla conflagrazione fratricida che consumava le fazioni palestinesi (l’accordo Hamas-Fatah è stato firmato da altre 11 organizzazioni della resistenza palestinese), non possiamo ignorare che questa unità è stata raggiunta sulla base degli accordi del 1967, sull'accettazione della futura esistenza di due Stati settari, uno palestinese e uno ebraico, e di questo guscio vuoto denominato "Autorità palestinese", il cui unico ruolo è quello di amministrare la miseria palestinese, sotto la vigilanza di Israele-USA. Questa "unità", ma diventa una unità organica nella resistenza, potrebbe presto diventare un ostacolo per la lotta di liberazione palestinese.

Questa occasione dovrebbe servire perché si torni a ripensare il progetto rivoluzionario per la Palestina e perché i settori popolari cerchino l'unità nella resistenza, oltre gli accordi sovrastrutturale. E' difficile sapere cosa accadrà, soprattutto con la rottura dei negoziati con Israele e con il progetto di Abbas di lanciare lo Stato palestinese a settembre. La verità è che, per ora, questa unità consente uno spazio politico per una mobilitazione dal basso, nelle piazze, e probabilmente perché questo processo sia accompagnato da una terza intifada contro l'occupazione israeliana.

Niente di tutto ciò sarebbe possibile senza la "Primavera araba", che ancora una volta dimostra che non si può dissociare il destino del popolo palestinese dal destino del resto dei popoli della regione.

Secondo Sayed, "La prima cosa che succederà è che, adesso che esiste una pressione dal basso del popolo palestinese che sa di essere e si sente più forte, non si riconosceranno più gli accordi precedenti. Questo porterà l'Israele a chiudere le porte ai negoziati, il ché innescherà la resistenza. George Habash, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ha dichiarato che la strada verso la Palestina cominciava nelle varie capitali del mondo arabo. È per questo che appoggiamo incondizionatamente la libertà di tutti i popoli arabi, perché sappiamo bene che così la strada per la nostra liberazione sarà un po' più breve."

José Antonio Gutiérrez D.
6 maggio 2011

Articolo scritto per Anarkismo.net

Traduzione a cura di elledì

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