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Orizzonti futuri della rivoluzione siriana

category mashrek / arabia / irak | lotte sul territorio | opinione / analisi author Monday May 23, 2011 19:52author by Mazen Kalmamaz Report this post to the editors

La caratteristica principale della rivoluzione siriana sta nel suo aspetto giovanile e spontaneo, perché creato dalla strada e ad essa direttamente collegata. Si tratta di una rivoluzione senza controllo centralizzato, sorta dalla ribellione individuale, pertanto nessuno può pretendere di governarla o di condurla, ed il motivo è semplice: i giovani ribelli si sono levati spontaneamente e la partecipazione dei religiosi, specialmente quelli estremamente reazionari o di qualsiasi altra tendenza, non è visibile. [العربية ]
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Orizzonti futuri della rivoluzione siriana


Con l'avvento della rivoluzione, gli intellettuali siriani e gli analisti politici si sono divisi in due gruppi principali contrapposti in una posizione esitante che è, in realtà, e necessariamente comune ad uno o all'altro dei gruppi che si oppongono. La prima posizione vede il lampo di luce nel regime e vede nel popolo che cerca di liberarsi del regime totalitario un movimento che porta alla guerra civile, che produce discordia tra fazioni etniche, per cui solo le rappresaglie possono impedire questo esito. La seconda posizione vede il popolo siriano in grado di vivere in libertà, e degnamente, e l'unica giustificazione per le rappresaglie da parte del regime sta nella sua insistenza sul saccheggio del paese e nell'appropriazione del potere. Certamente è questa seconda visione che incoraggia i giovani rivoluzionari a scendere in piazza, e questi giovani ribelli sono convinti del loro diritto alla libertà, della loro capacità di esercitare la libertà, e che la libertà è l'unico modo per una vita migliore.

Questo spiega da solo la disponibilità dei giovani rivoluzionari a sacrificarsi e ad affrontare le rappresaglie da parte del regime, diventate ormai barbarie inimmaginabili. Infatti, l'apparato di sicurezza, composto essenzialmente da mercenari del regime che si comportano quotidianamente come delinquenti (Alcbihp) [1], infliggono umiliazioni ordinarie ai siriani fino all'uccisione, se necessaria. Inoltre il sistema utilizza i carri armati per reprimere i cittadini come a Deraa e cerca di soffocare la loro volontà fino a farli morire di fame. Anche in altri epicentri della rivoluzione quali, Duma, Homs e Damasco, la repressione si fa sentire anche se un po' mitigata, limitandosi all'uso della forza. Altrimenti, la condotta dei mercenari tende a coprire i massacri compiuti dal regime contro i ribelli ed a screditare la giovane rivoluzione siriana, con l'obiettivo di sostenere l'idea che lo slogan della libertà non è che un pretesto.

E' certo che la rivoluzione siriana è spontanea e fatta dai giovani e continua a resistere. E' vero che essa comprende diverse frazioni che rappresentano la varietà dei siriani in strada e dei giovani, ma soprattutto gli iniziatori sono stati i giovani, non influenzati da ideologie e dogmi che non conoscono il concetto di libertà, bensì da una visione realistica che implica che il regime totalitario è l'unico ostacolo verso la libertà.

La caratteristica principale della rivoluzione siriana sta nel suo aspetto giovanile e spontaneo, perché creato dalla strada e ad essa direttamente collegata. Si tratta di una rivoluzione senza controllo centralizzato, sorta dalla ribellione individuale, pertanto nessuno può pretendere di governarla o di condurla, ed il motivo è semplice: i giovani ribelli si sono levati spontaneamente e la partecipazione dei religiosi, specialmente quelli estremamente reazionari o di qualsiasi altra tendenza, non è visibile.

Tra questi atteggiamenti opposti, ci sono opinioni intermedie che a volte fingono neutralità (vedi il caso all'inizio della sollevazione ad esempio dello scrittore Nabil Saleh, il fondatore del sito elettronico Al-Jamal), indicando il pericolo di conflitti etnici e dell'estremismo religioso (quasi tutte persone che si vogliono mettere a metà strada tra le posizioni opposte o tra il regime e il popolo). Mi riferisco poi a quello che alcuni hanno chiamato "il pericolo di un intervento esterno", anche con esagerazione: questo pericolo non è grave e non ha alcuna realtà. Così la critica dell'imperialismo sul giro di vite da parte del regime non ha nessun significato dato che cerca di sfuggire al fatto che gli interessi imperialisti sono correlati alla esistenza del regime attuale e al suo carattere totalitario; al regime gli sarà chiesto semplicemente di riformare alcune posizioni politiche e di redarguire alcuni dei suoi che ne mette a repentaglio l'immagine. L'imperialismo non vuole la libertà per il popolo siriano, questo contrasta con i suoi interessi, però, il giorno dopo il trionfo finale della rivoluzione, l'imperialismo potrà affermare che ha sostenuto la ribellione contro il totalitarismo (l'azione esterna è stata menzionata in modo evidente in diverse dichiarazioni e, citando tra gli altri, dal manifesto dell'organo centrale di Tim e in alcune analisi del corrente Qasioun [2]). Questi atteggiamenti presi dai due poli principali del conflitto sono stati accompagnati dalla richiesta di un dialogo nazionale o anche dal tentativo di creare le premesse per questo dialogo.

E' ovvio che l'unica via d'uscita di ogni crisi è il dialogo nazionale, ma quale dialogo? La società è una combinazione di strati e di ceti sociali molto diversi, tra cui in particolare le classi più svantaggiate e le correnti politiche e intellettuali che ne sostengono la rappresentatività. Più specificamente, nel caso delle rivolte delle masse arabe e siriane, gli insorti sono rappresentati da giovani che si sono ribellati per la libertà, senza essere influenzati da nessuna ideologia, da nessun sistema di pensiero ma anche senza avere un concetto di libertà chiarito e definitivo, pur rivendicandola. Questo significa che abbiamo bisogno di un dialogo nazionale tra di noi, un dialogo che però viene annichilito dal regime con la sua partecipazione unilaterale, un dialogo che ci permetterà di iniziare una nuova vita, una nuova Siria con libertà di ispirazione, quella che la maggioranza del popolo siriano desidera oggi. All'interno di questa visione del dialogo nazionale, i tentativi del regime di interferire sembrare incomprensibili, se non si tiene conto del fatto che esso ha un enorme apparato di sicurezza e di teppisti (Alcbihp), che è pronto ad usare in qualsiasi momento per metter fine alla rivolta.

Socialmente, un regime che si fonda sulla disciplina e sulla burocrazia è marcio, e qualsiasi cambiamento (pur assumendo che la riforma del sistema è possibile) suppone che si debba togliere l'autorità e la proprietà dei mezzi di produzione per renderli disponibili per la società. Al di fuori di questa visione, ogni cambiamento è visto come una riforma vuota di ogni significato e non merita di essere chiamato riforma neanche abusivamente. Il regime sembra indisponibile al sacrificio o a permettere a chiunque di toccare Rami Makhlouf [3] o tutti gli altri padroni responsabili del degrado o dell'integrità dell'apparato repressivo; il regime è ancora disposto a distruggere tutto in Siria pur di sostenere la sua autorità e la proprietà dei mezzi di produzione. Questo è diametralmente incompatibile con un cambiamento reale, o addirittura con una riforma simbolica. Il regime non rappresenta nessuna corrente politica o intellettuale ed il livello del Partito Baath è al punto da non meritare più nemmeno il nome di partito nel senso serio della parola.

Anche i settari, antagonisti del fondamentalismo sunnita, non possono considerare il potere come rappresentante della sola etnia Alauita: infatti si tratta di un regime di individui. Essi si devono assumere la piena responsabilità per il saccheggio e la repressione che hanno inflitto alla Siria negli ultimi decenni, almeno dal 2000. Sono responsabili anche delle vittime che sono cadute tra i cittadini siriani dal 18 marzo, il che non significa escludere una parte, ma affermare il nucleo della rivoluzione. Che cos'è una rivoluzione se non la fine del dominio della classe dirigente e della loro proprietà sui mezzi di produzione? Al-Asad ha compreso la verità dicendo nel suo primo discorso da quando è cominciata la rivolta, che il conflitto è aperto e che lui non accetta ricatti. Le osservazioni di Bashar erano perfettamente nel giusto nel dire che la neutralità, che sta per la ricerca di soluzioni intermedie, è impossibile in questo conflitto. Il problema serio è porre fine alla repressione ed ai saccheggi ad opera del regime, cosa che lo porterà a cadere obbligatoriamente, ed ogni soluzione contraria equivale alla sconfitta della rivoluzione ed al fallimento della causa della libertà del popolo siriano.

Una sconfitta porterebbe inevitabilmente alla nascita di un'era oscura di repressione e di saccheggio ulteriore e senza precedenti nei confronti di chiunque in Siria non stia dalla parte del potere, o abbia partecipato alla rivoluzione o abbia adottato una posizione neutrale: la Siria finirebbe in una sorta di medioevo, così possiamo definire questa prospettiva. Quello che il regime vuole è instaurare la paura ed è esattamente ciò che intende fare una volta che ha distrutto la rivoluzione; i rivoluzionari ed il potere sono entrambi ben consapevoli del fatto che l'armistizio è vietato in questo conflitto, perché vorrà dire la ripresa d'iniziativa da parte della controparte. C'è la sconfitta certa come risultato per chi si ritira dalla battaglia. Nessuno può avere direttamente il polso della rivoluzione, perché essa è strettamente legata alla dimensione della strada. Istintivamente, essere consapevoli di questa realtà è capire che l'estinzione della rivoluzione può essere raggiunta solo attraverso una barbara repressione, attraverso una serie di massacri che porterebbero la Siria in una dimensione pericolosa la cui responsabilità sarebbe di esclusiva e totale competenza del regime. C'è anche il ruolo e l'importanza della campagna mediatica che incalza i giovani e castiga la loro morale.

Tornando al tema del dialogo, è sufficiente qui ricordare che si trattava di una iniziativa dei dirigenti dei servizi segreti ed aveva avuto inizio tra Samira [4], il pacifista Faiza Sara e Michel Kilo [5]; il giorno dopo questa apertura, Samira è stata licenziata perché ha avuto il coraggio di discostarsi dalla versione ufficiale della rivolta, e Kilo è stato arrestato, seguendo il destino del popolo prima "che iniziasse il dialogo nazionale". Il regime ha incontrato una certa resistenza nel mettere a tacere lo sdegno e le richieste che le iniziative di dialogo comprendessero anche le condizioni che riguardavano principalmente il regime. Nella maggior parte dei casi, questi appelli sono paragonabili al cessate-il-fuoco tra le due parti in guerra.

Curiosamente questi accordi sono stati completamente ignorati dal partito al potere, che è anche l'unica parte che tiene le armi puntate verso gli altri. Io credo che il regime abbia condotto il dialogo che voleva, i cui risultati sono chiaramente visibili, si vedono bene a Dar'a, a Duma e a Homs; e si sono visti anche nella repressione selvaggia e nella decisione presa dal regime nel mandare i suoi carri armati contro gli epicentri della rivolta. Il regime aveva spento la voce dei democratici di sinistra, forze dell'opposizione interna che avevano in precedenza controbilanciato i canali satellitari dei fondamentalisti, dei Salafiti e dei liberali; aveva messo a tacere Faiza Sara, Mahmoud Issa e alcuni leader del Partito Popolare Democratico Siriano a causa dei loro interventi sui canali satellitari; ciò potrebbe giocare un ruolo negativo, seppur limitato. Così, la più facile preda per il potere è diventata l'opposizione della sinistra democratica; e come all'epoca della repressione assoluta, solo i fondamentalisti e le istituzioni religiose in primo luogo - che non hanno sofferto relativamente di nessuna limitazione ed hanno potuto perseverare come parte dell'establishment - possono coesistere con il regime sicuritaria e con la burocrazia del regime. Infine, se è vero - come ci risulta - che il compagno Fawwaz al-Haraki, membro della corrente Qasioun di Homs, sia stato assassinato, dovrà essere subito e solennemente ammesso dal leader della corrente Qasioun in modo da non privare i comunisti di questo onore, ossia quello di essere il primo comunista siriano ad essere stato martirizzato in questa coraggiosa rivoluzione del 2011.

Le correnti an-Nour e Qasioun sono maggioritarie tra i comunisti: i seguaci della prima sono costretti alle alleanze dei loro dirigenti con il regime, mentre i secondi sono relativamente liberi dai vincoli di questa coalizione. Qasioun nega ogni coinvolgimento dei suoi membri alla rivolta, ma questa negazione è un tentativo da parte dei suoi dirigenti di non turbare il regime, in quanto è ancora possibile salire sul treno della rivoluzione, se il trionfo di quest'ultima fosse imminente.

La posizione appena descritta è condivisa dalla maggior parte dei dirigenti comunisti e dalla sinistra siriana ed ha i suoi vantaggi e svantaggi. Da un lato si priva la rivolta di avvantaggiarsi dell'esistenza di una sinistra forte, e si dà al regime, che è anche preoccupato per la repressione della rivoluzione, una certo approccio morbido nel rapporto con la sinistra siriana (parlando con il linguaggio rivoluzionario di oggi: il fronte del regime con la sinistra siriana). Ma questo non esclude che in un secondo momento il potere, dopo aver schiacciato la rivoluzione, faccia fuori chi ne era alla guida e si poneva al di fuori della linea rossa consentita alle frazioni di sinistra ed a qualsiasi élite politicizzata. D'altra parte, il declino dei dirigenti della sinistra spingerà larghe masse di giovani verso un dibattito costante con i leader fondamentalisti, ma solo sulla causa della libertà, e non più sui tabù dei fondamentalisti e dei religiosi, bensì in quanto libertà dei siriani e della società. Inoltre, lo smarcarsi dei leaders della sinistra da una partecipazione diretta ed effettiva alla rivoluzione, permetterà ad una nuova sinistra comunista di crescere con tutti coloro che credono in un radicale cambiamento sociale per mezzo della rivoluzione sociale e socialista, per rinnovare le relazioni sociali basate sull'appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei produttori e sull'autogestione attraverso i consigli popolari.

Non si tratta dunque di riprodurre il "socialismo" baathista, quel modello a strati di capitalismo di Stato burocratico. Come nella concezione del compagno martire Fawwaz al-Haraki, il socialismo deve essere iniziatore della partecipazione alla rivoluzione da un lato e, dall'altro, deve stabilire un dialogo con i giovani rivoluzionari e fornire una via d'uscita dal dogmatismo classico del pensiero della sinistra siriano e imboccare la strada della libertà, della rivoluzione comunista e del pensiero socialista. Normalmente i dirigenti comunisti e della sinistra - attraverso i loro discorsi ideologici e le loro azioni - sono tenuti a studiare le basi della rivoluzione, individuare i modi per preparare la rivoluzione sociale, agire come scintilla per lo scoppio della rivoluzione e assicurarne il trionfo. Purtroppo al contrario dobbiamo notare come questi dirigenti di oggi fanno tutto il contrario: giustificano il totalitarismo e mantengono il dominio della classe sfruttatrice.

Mazen Kalmamaz
Anarchico siriano

01 maggio 2011

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali


Note:
1. Manigoldi e dipendenti del regime per spezzare l'opposizione: Vedi http://www.youtube.com/watch?v=RboOnSrunFw e http://socyberty.com/society/phenomenon-alcbihp-meanings-and-connotations/
2. Correnti marxiste siriane.
3. Dignitario del regime siriano, cugino del presidente Bashar al-Asad e intermediario esclusivo tra il regime e le imprese multinazionali.
4. Samira al-Massalma, ex direttrice della televisione ufficiale siriana, licenziata dopo aver risposto a un'intervista a una televisione satellitare araba.
5. Intellettuali difensori del concetto di "società civile" in Siria, imprigionati nel 2008.

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