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Sunday May 15, 2011 23:47 by Mark Weisbrot - New York Times
A volte c’è scompiglio nei mercati quando il governo di un paese minaccia di fare del suo meglio per i suoi cittadini. Sembra essere questo il caso dell’Europa nell’ultima settimana, quando la rivista tedesca Der Spiegel ha scritto della minaccia del governo greco di uscire dall’euro. Il quale viene da due giorni di caduta, come peggio non gli capitava dal dicembre 2008. [English] Esponenti del governo greco e della UE negano, ma la minaccia da parte greca di scaricare l’euro gira da tempo, e ci si dovrebbe preparare alla sua messa in opera. Per quanto un passo del genere possa costare alla Grecia nel breve termine, è molto improbabile che il prezzo da pagare possa essere più grande dei numerosi anni di recessione, stagnazione ed alta disoccupazione che le autorità europee stanno prospettando alla Grecia. L’esperienza dell’Argentina alla fine del 2001 è alquanto istruttiva. Per oltre 3 anni e mezzo l’Argentina ha sofferto di una delle più profonde recessioni del 20° secolo. Il valore del peso argentino era fissato con quello del dollaro USA, così come la Grecia ha l’euro come moneta nazionale. L’Argentina ebbe un prestito dal Fondo Monetario Internazionale e tagliò la spesa mentre povertà e disoccupazione volavano. Fu tutto vano, dato che la recessione continuava ad acuirsi. Allora l’Argentina dichiarò insolvibile il suo debito estero e si sganciò dal dollaro. La maggior parte degli economisti e la stampa economica predissero anni di sicuro disastro. Ma l’economia del paese si contrasse solo di poco più del 25% dopo la svalutazione ed il default; poi ebbe una crescita del 63% nei 6 anni successivi. Più di 11 milioni di persone, in un paese di 39 milioni di abitanti, uscirono dalla povertà. Nel giro di 3 anni l’Argentina era tornata ai livelli di produzione pre-recessione, nonostante avesse perso più del doppio del suo prodotto interno lordo, proprio come la Grecia in questa attuale recessione. Ma per la Grecia , anche se le cose dovessero andare bene, il FMI prevede 8 anni prima di tornare ai livelli di PIL pre-crisi. Il che pare essere una proiezione abbastanza ottimistica – dato che lo stesso FMI ha ripetutamente abbassato le proiezioni a breve termine per la Grecia da quando la crisi è iniziata. La principale ragione della rapida ripresa dell’Argentina stava nel fatto che il paese si era finalmente liberato delle politiche fiscali e monetarie che avevano soffocato la crescita. Lo stesso potrebbe valere per la Grecia se dovesse uscire dall’euro. La Grecia riceverebbe una impennata dall’effetto svalutazione sulla sua bilancia commerciale (come accadde per l’Argentina nei primi 6 mesi della ripresa), dato che le sue esportazioni diventerebbero più competitive e le importazioni più onerose. La stampa ha sempre messo in guardia contro un forte aumento del debito greco in seguito a svalutazione se il paese dovesse uscire dall’eurozona. Ma il fatto è che Grecia non potrebbe pagare il suo debito, così come l’Argentina non pagò i 2/3 del suo debito estero dopo la svalutazione e la dichiarazione di inadempienza. Il Portogallo ha appena concluso un accordo col FMI che prevede altri 2 anni di recessione. Nessun governo dovrebbe accettare questi accordi punitivi. Un politico responsabile dovrebbe dire alle autorità europee che esse hanno il denaro per sostenere la Grecia con politiche anticicliche (come gli stimoli fiscali), anche se l’UE non sta scegliendo questa strada. Dal punto di vista dei creditori, che è quello che le autorità europee sembrano aver adottato, un paese che abbia accumulato troppo debito deve essere punito, di modo da non incoraggiare “cattivi comportamenti”. Ma punire un intero paese per gli errori del passato commessi dai suoi dirigenti politici, se da un lato può soddisfare moralmente qualcuno, dall’altro riuscirà a malapena a gettare le basi per una politica più sana. C’è anche l’idea che la Grecia — come pure l’Irlanda, la Spagna ed il Portogallo — possano riprendersi con una “svalutazione interna”. Il che significa aumentare la disoccupazione fino ad un punto di caduta tale dei salari da rendere il paese più competitivo a livello internazionale. I costi sociali di una simile scelta, tuttavia, sono estremamente alti, ammesso che funzioni. In Grecia la disoccupazione è raddoppiata (siamo al 14,7%), in Spagna è più che raddoppiata (siamo al 20,7%) ed è più che triplicata in Irlanda (siamo al 14,7%). Ma la ripresa non si vede ancora. Possiamo star certi che le autorità europee offrirebbero alla Grecia un accordo migliore qualora dovesse farsi concreta la minaccia di una fuoriuscita dall’eurozona. Infatti, ci sono già indicazioni in questo senso in risposta alla minaccia circolata la settimana scorsa. Ma la questione di fondo è che la Grecia non si può permettere di fare nessun accordo che sia di impedimento alla sua crescita e che le impedisca di uscire dalla recessione. I prestiti che prevedono quelle che gli economisti chiamano politiche “pro-cicliche” –cioè tagli alla spesa pubblica ed aumento delle tasse a fronte della recessione- dovrebbero essere esclusi dal tavolo delle trattative. Il tentativo di strizzare la Grecia è fallito. Se è tutto qui quello che le autorità europee hanno da offrire, allora è giunto il tempo per la Grecia , e forse anche per altri paesi, di dire addio all’euro.
Mark Weisbrot
Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali
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