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Libia: la morsa della dittatura e le bombe dell'imperialismo

category nordafrica | imperialismo / guerra | comunicato stampa author Monday March 28, 2011 19:49author by Federazione dei Comunisti Anarchici - FdCAauthor email fdca at fdca dot it Report this post to the editors

I popoli arabi, il proletariato arabo sembrano essersi affacciati finalmente alla post-modernità. Dopo secoli di dominazione e di violenza esercitati dall'Impero Turco prima, dal colonialismo poi ed infine dalle dittature che si sono perpetuate dalla seconda metà del secolo scorso, questi popoli, questo proletariato escono dalla loro solitudine e sfidano il potere che li opprime e che nega loro tanto la libertà quanto la dignità nella vita di tutti i giorni. [English] [Ελληνικά] [العربية ] [Nederlands]
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Libia: la morsa della dittatura e le bombe dell'imperialismo


I popoli arabi, il proletariato arabo sembrano essersi affacciati finalmente alla post-modernità. Dopo secoli di dominazione e di violenza esercitati dall'Impero Turco prima, dal colonialismo poi ed infine dalle dittature che si sono perpetuate dalla seconda metà del secolo scorso, questi popoli, questo proletariato escono dalla loro solitudine e sfidano il potere che li opprime e che nega loro tanto la libertà quanto la dignità nella vita di tutti i giorni.

La coscienza di essere sfruttati, di essere esclusi dalla ricchezza dei loro dittatori e dei loro clan, di vivere nella mancanza di libertà e di diritti si è trasformata rapidamente in coscienza di poter contare sulle proprie forze, di potersi auto-organizzare in comitati popolari espressione dell'ascolto e del contributo di tutti, di poter sfidare le polizie e gli eserciti, di poter far cadere i dittatori e creare non pochi problemi alle potenze imperialiste che li appoggiavano. A dispetto di tutti coloro che, per razzismo più o meno consapevole o per malafede, descrivevano o hanno cercato di rappresentarci questi popoli come "costituzionalmente" incapaci di distinguere tra religione e politica.

Ormai sono lotte di mesi partite da Tunisia ed in Egitto, e diffusesi in tutto il mondo arabo, anche dove l'imperialismo occidentale riteneva salde le proprie roccaforti, e non aveva nessun bisogno di cambiare cavallo. Dopo anni di dure lotte sindacali represse nel sangue, e ignorate dai media quando non era possibile ricondurle a sussulti integralisti, le istanze di libertà e modernità vengono gridate a gran voce, cadono gli alibi dei nemici esterni, le piazze smettono di bruciare bandiere amerciane e gridare al nemico sionista e cominciano a contestare le proprie gerarchie, le borghesie nazionali che in questi decenni si sono arricchite succhiando sangue alle classi lavoratrici, le monarchie più o meno illuminate ma sempre eterodirette, senza cedere però alle sirene panarabiste e fondamentaliste. Difficile la rincorsa normalizzatrice, anche se sappiamo bene le capacità trasformiste dei quadri dirigenti, sempre pronti ad autorigenerarsi: checché se ne dica le lotte proseguono.

In ogni paese arabo del Medio Oriente e del Nord Africa la tensione è altissima, la soggettività popolare finalmente si esprime e questa sfida ai regimi scatena la loro più dura repressione.

Che in questo contesto di instabilità generale, per la prima volta causato dalle ribellione popolare e non solo dalle male arti mediatiche, qualche Stato europeo approfitti per pestare nel mortaio e portare acqua al proprio mulino, per cercare di recuperare in Medio Oriente sfere di influenza messe a a rischio da improvvidi tentativi di sostegno a regimi ormai arrivati alla frutta, spiega l'interventismo francese nel caso della Libia, che nonostante si fosse ritagliata un ruolo di tutto rispetto nello scacchiere diplomatico mediterrano accollandosi il ruolo di gendarme a difesa delle coste europee, rimaneva difficilmente gestibile per le capacità del Rais di presentarsi come rappresentante dell'Unione Africana e ultimo paladino del terzomondismo, forte anche delle grandi capacità finanziarie.

E così ben vengano strumentalizzazioni e manovre da grande gioco tra le varie fazioni libiche, è facile trovare generali disposti a passare dalla parte degli insorti in cambio della promessa di un posto al sole in Cirenaica. E così facendo, se qualcuno si toglie di mezzo una delle pedine meno gestibili dell'area (che per di più si è scelto alleati inaffidabili e poco credibili come il governo italiano), tutto l'Occidente può mettere una pesante ipoteca sui futuri assetti dell'area, delegittimando la rivolta popolare da un lato e dando contemporaneamente una prova di forza dall'altro. Questo spiega il balletto indecoroso sul comando dell'operazione, tra NATO e Alleanza dei Volenterosi, il tentativo italiano di barcamenarsi in un'operazione in cui diventa giocoforza barattare i grandi interessi italiani in Libia (gas e petrolio fondamentalmente sotto controllo ENI) con la parziale messa in sicurezza delle sponde per arginare gli sbarchi dei disperati finora trattenuti da Gheddafi e dal rais utilizzati come potente mezzo di ricatto e di sopravvivenza.

In questo contesto di movimentazione e tentativi di salvaguardia e ridefinizione di grandi interessi (tra risorse naturali, finanziarie e di controllo dei flussi migratori) queste rivolte aprono una crepa negli assetti imperialistici dell'area per come si erano costruiti finora.

A noi attivisti rivoluzionari interessano le potenzialità di rivolta e di autorganizzazione espressa da popolazioni che escono dalla rivendicazione identitaria clerico-fondamentalista per rivendicare l'accesso ai diritti fondamentali e alla redistribuzione delle ricchezze. Crollato lo spauracchio dell'integralismo, finora ultizzato per mantenere il controllo politico sociale, la potenze occidentali sono costrette a ricorrere all'intervento armato a tutela non dei rivoltosi, come vorrebbero apparire, ma delle fazioni concorrenti alla gestione, per conto dell'Occidente, delle risorse rimaste scoperte. Dopo un decennio di guerre contrabbandate come iniezioni di democrazia, che hanno invece rafforzato interessi occidentali e potentati locali fondamentalisti, ora che maggiori spazi di democrazia e laicità vengono conquistati con la lotta in questi paesi, gli aerei che partono dalle nostre basi e le navi che partono dai nostri porti portano un atroce carico di morte e un tragico monito: la libertà e la giustizia sociale non sono negli orizzonti del capitalismo.

Sta nelle lotte, da quella e da questa sponda del Mediterraneo, l'unica possibilità di costruire una società più giusta e più libera.

Per questo il nostro sostegno ai comitati popolari e ai compagni e alle compagne che a costo della propria vita e della loro libertà lottano nelle piazze e nelle strade di Bengasi, della Siria, del Bahrain, dell'Arabia Saudita e di tutto il Medio Oriente e il Nord Africa.

Per questo il nostro irriducibile no alla guerra e all'intervento militare con il suo ineludibile seguito di devastazione e di immiserimento in Libia, e alla crudele repressione normalizzatrice in corso negli altri paesi.

Federazione dei Comunisti Anarchici

28 marzo 2011

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