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intervista
Thursday February 04, 2010 22:22 by José Antonio Gutiérrez D.
intervista sulla situazione in Haiti Il 28 gennaio 2010, abbiamo potuto fare un'intervista telefonica con Camille Chalmers, economista e segretario della Plateforme Haïtienne de Plaidoyer pour un Développement Alternatif (Piattaforma haitiana in difesa di uno sviluppo alternativo - PAPDA) a Port-au-Prince. Questa è la trascrizione dell'intervista che si è svolta in circostanze difficili. Crediamo che le opinioni espresse da Chalmers possano aiutare a comprendere meglio ciò che veramente accade in Haiti; offrono uno sguardo che è in contraddizione con la versione ufficiale dataci dai mass media, ma che ci dà un'idea ben precisa di quale tipo di solidarietà serve alla popolazione haitiana, solidarietà che - da parte nostra - non deve mancare. [English] [Castellano] Che cosa pensa delle manifestazioni di solidarietà della gente del mondo con il popolo haitiano? Questa solidarietà internazionale è molto toccante. Haiti come paese è isolato sin dal 1804 e, ora che è di nuovo davanti agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, abbiamo un'opportunità per stabilire legami che saranno più numerosi e più forti, al di là degli appelli alla carità. Facciamo appello perché si crei una rete internazionale di solidarietà nello stesso spirito delle brigate internazionali dei sandinisti, una rete che possa aiutarci nei compiti della ricostruzione, ma anche ad uscire dalla crisi sociale. Parliamo di quel tipo di solidarietà da una persona ad un'altra, non quella usata dagli Stati per poter dominare la gente. Ci parla della situazione attuale riguardo all'occupazione statunitense? Quello che fanno gli USA, la militarizzazione di Haiti con la motivazione patetica di aiuti umanitari, è inaccettabile. Fa parte di una strategia che mira alla militarizzazione dell'intera regione caraibica, un modo per affrontare il risveglio popolare nell'America Latina e minacciare la repubblica bolivariana di Venezuela. Non si tratta di un'azione isolata. C'è la base militare installata dall'imperialismo USA a Curaçao, con la complicità del governo dei Paesi Bassi. Ci sono le basi militari in Colombia. E ora abbiamo visto questa risposta militare ad un problema fondamentalmente umanitario. Ma gli USA dicono che si tratta di missione "umanitaria". Lei che ne pensa? Dobbiamo dire le cose come sono, perché l'imperialismo porta avanti nei media internazionali una campagna propagandistica di menzogne senza fine. Questa presenza militare statunitense non ha portato alcun sollievo alla catastrofe umana che viviamo; al contrario, ha ritardato gli aiuti umanitari di paesi quali il Venezuela, Cuba, di alcuni paesi europei, dei paesi CARICOM (Comunità Caraibica), privilegiando la militarizzazione di Haiti. Quello che succede qui in Haiti è davvero scandaloso. In realtà si cerca il controllo geopolitico dei Caraibi ed è un vero oltraggio che si sfrutti senza vergogna una situazione talmente dolorosa per il popolo haitiano a tale scopo. Cosa pensa lei dei progetti della comunità internazionale per la "ricostruzione" di Haiti? Un altro scandalo. La comunità internazionale ha escluso il movimento popolare haitiano e le sue organizzazioni dal processo decisionale per trovare soluzioni alla crisi. Dimostra il carattere reazionario e antipopolare delle misure che vogliono imporre per ricostruire il nostro paese. Ad esempio, c'è il prestito del FMI: un prestito, non un contributo che corrisponde all'enormità della tragedia umana; un cinico prestito da strozzini, legato a condizioni che servono a facilitare un ambiente più favorevole per l'investimento in Haiti da parte delle compagnie transnazionali. Qual è il ruolo della gente in questa crisi? Di fronte a questa farsa umanitaria che giustifica la militarizzazione ed alla comunità internazionale che intende ricostruire Haiti secondo i propri interessi e non secondo quelli del popolo haitiano, la nostra gente dimostra grandi capacità. Ci si è organizzati per affrontare la crisi, si pratica la solidarietà in un modo estremamente toccante. Qui puoi vedere la gente che condivide tutto quello che ha, che vive sulla strada ma condivide i vestiti, il cibo... tutto ciò che si ha viene condiviso con chi sta intorno. La nostra gente rifiuta la militarizzazione; non la vuole. Non può che sucitare ira il vedere quante armi sono state inviate al posto del cibo, dei medicinali e dell'acqua potabile. Ma è proprio in mezzo a queste persone che si auto-organizzano che si forgerà il progetto alternativo di cui abbiamo bisogno. Qualcosa che non ci dà più del solito, ma qualcosa di realmente alternativo e popolare.
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