user preferences

La difficile condizione d'esser donna

category internazionale | criminalità carcere pena | stampa non anarchica author Tuesday November 25, 2008 00:27author by GASPARE SERRAauthor email politicattiva at email dot it Report this post to the editors

Riflessione sulla condizione femminile nel mondo globalizzato

Cosa vuol dire, oggi, esser “donna”? L’universo femminile subisce ancora l’arbitrio di una impostazione socio-culturale “maschiocentrica”, a volte misogina?
Limitazioni e pregiudizi, soprusi e abusi, violenze fisiche e/o psicologiche esercitate sulle donne non sono, purtroppo, retaggi superati piuttosto l’emblema di una Società profondamente ancorata ai modelli del passato.
L’essere donna è una condizione ancora difficile per molte persone nel mondo, che faticano a liberarsi da un ormai trito maschilismo (inteso come “forma mentis”, come posizione di forza e di superiorità).
La realtà, comunque, è molto diversa se si mettono a confronto le Società dell’Occidente sviluppato (civile?) con quelle dei paesi più poveri, arretrati e in cui è assente -il più delle volte- la concezione stessa di “stato di diritto”.


LA DONNA IN OCCIDENTE:
Anche se il cammino versa la completa emancipazione femminile è ancora lungo, oggi la condizione della donna occidentale è nettamente migliorata rispetto ad un non lontano passato.
Socialmente le donne hanno conseguito significativi risultati, conquistandosi l’indipendenza e la realizzazione lavorativa. Rimangono, comunque, ancora minoranza nei posti più prestigiosi della scala sociale, subendo più dei maschi la crisi economica e la disoccupazione.
Il lavoro delle donne, che per secoli s’è svolto tra le mura domestiche, è sempre stato misconosciuto e scarsamente considerato, essendo considerato un “dovere” del quale raramente è stato riconosciuto la “faticosità” e lo stress causato dalla monotona ripetitività. Lo schema di vita della casalinga classica, però, ormai ha fatto il suo tempo!
Se la “parità” dei sessi è finanche sancita dalla Costituzione italiana e ribadita da numerose leggi, l’“equilibrio” fra i sessi (specie rispetto al lavoro) non è ancora, di fatto, raggiunto: spesso il lavoro della donna fuori dell’ambito familiare, il più delle volte necessario per far quadrare il bilancio, si risolve in un doppio sfruttamento della stessa, dentro e fuori casa, in quanto il carico domestico e la cura dei figli -e dei malati o degli anziani- continua a gravare sulle loro spalle.
In una società che non garantisce completezza dei servizi sociali ed assistenziali in favore di donne e famiglie, così, non si agevola certo il lavoro femminile: la “parità”, sulla carta assoluta, viene talvolta sostituita da una discriminazione strisciante che rende il lavoro delle donne frustante e scarsamente incentivante nelle possibilità di carriera.
Rimane molta la strada da percorrere affinché il rapporto donna-lavoro appiani le asperità che ancora oggi l’affliggono. Una seria politica “paritaria” dovrebbe puntare non alle scarne enunciazioni legislative di principio ma al miglioramento effettivo e concreto della condizione delle donne. Miglioramento, a mio avviso, che non può non dipendere da due fattori:
a- il miglioramento dei servizi pubblici offerti alle famiglie, necessari per riscattare più “tempo libero” in favore, in primis, delle madri. In tale ottica, sarebbe prioritario:
a. investire più risorse possibili per costruire asili nido pubblici nuovi e più facilmente accessibili
b. garantire il tempo pieno nelle scuole elementari
c. defiscalizzare il costo dei servizi di babby sitter
d. rendere detraibili tutte le spese medico-alimentari necessarie per la crescita dei figli
e. sostenere economicamente “il costo” della maternità (con adeguati sussidi che vadano ben oltre interventi minimi ed una tantum come gli assegni per ogni nuovo nato)
b- la predisposizione di una “effettiva” tutela legislativa del lavoro delle donne, ad esempio:
a. fissando delle “quote rosa”, imponendo ai datori di lavoro, in più settori lavorativi possibili, un’assunzione paritaria (uomo-donna) dei dipendenti
b. e sanzionando efficacemente i sempre più frequenti licenziamenti “giustificati” dalla maternità, oggi favoriti dalla condizione di precariato del mondo del lavoro: anche se non si tratta più di licenziamento in senso tecnico ma di “mancato rinnovo” del contratto di lavoro, la situazione discriminatoria di fatto non cambia!
Solo quando tutte le donne avranno preso coscienza dei propri diritti e della propria uguaglianza, solo quando saranno libere da obblighi imposti, solo quando non vivranno l’impegno esterno con senso di colpa verso la famiglia, si potrà veramente parlare di parità!
Ancora oggi, nella nostra Società altamente civilizzata (o presunta tale), resistono spietate forme di emarginazione e di asservimento delle donne, che a volte sfociano in veri e propri crimini come lo stupro e la violenza.
Troppe volte, ad esempio, le donne, per conquistare o mantenere un posto di lavoro, sono soggette a ricatti sessuali: la legge sulle molestie sessuali nasce proprio da alcuni casi eclatanti portati alla ribalta dalle cronache. Ma per ogni caso che fa notizia, innumerevoli altri si consumano nel silenzio e nell’umiliazione più assoluta!
Secondo l'Osservatorio nazionale stalking, tra il 2002 e il 2007 almeno il 20% degli italiani (soprattutto donne) sono stati vittime di persecuzioni: nella metà dei casi l'autore è un ex, sia lui marito, fidanzato, convivente. Su 300 crimini commessi, ben l'88% è su una donna.
Tra tutti gli abusi sulle donne, la violenza sessuale è quello più spietato, comportando danni soprattutto di natura psicologica (compromettendone l’equilibrio psichico e la capacità di relazionarsi con gli altri).
La violenza sessuale è un sopruso che offende la dignità della persona, è azione odiosa che schiaccia ogni valore, violenta non solo il corpo ma anche e soprattutto l’anima: è un’offesa all’intelligenza, alla forza, al coraggio delle donne, ridotte a mero oggetto di violenza sessuale! Tante, purtroppo, le violenze che rimangono tra le mura domestiche per il timore e la vergogna di finire in pasto al “pubblico ludibrio”, producendo frustrazioni e dolori.
Rispetto a pochi anni fa, comunque, molto è cambiato a livello di tutela penale. Basti pensare che in Itali, anche dopo l’abolizione del “delitto d’onore”, sopravvivevano pesanti retaggi del passato in base ai quali la donna era sovente giudicata moralmente -e quindi penalmente- più colpevole dell’uomo nel caso di reati implicanti il sesso: non era riconosciuta, ad esempio, la configurabilità della violenza sessuale su una prostituta o su una donna di “facili costumi”!
In questi giorni, con un d.d.l.(Carfagna-Alfano, “Misure contro gli atti persecutori”) anche l’Italia sta cercando di introdurre il reato di stalking, ovvero di “atti persecutori o molestie insistenti”, per punire chi si rende colpevole di “minacce reiterate o molestie con atti tali da creare nella vittima un perdurante stato di ansia o paura o un fondato timore per l'incolumità propria o di persona a lei cara o ancora la costringa ad alterare le proprie abitudini di vita” (art. 1). Prevista una pena da 1 a 4 anni di reclusione (che potrà aumentare se il reato è commesso dal coniuge separato o divorziato o da persona con cui la vittima ha avuto una relazione affettiva ed è inasprita -da un terzo alla metà- se la persecuzione è diretta verso un minore, se lo stalker è armato o mascherato e se la violenza è esercitata da un gruppo). Si arriva invece all’ergastolo nel caso di omicidio preceduto da stalking.
Il ddl contiene, poi, altre modifiche al codice di procedura penale e al codice civile:
- gli atti persecutori vengono aggiunti ai reati per cui “è consentita l'intercettazione di conversazioni, o di comunicazioni telefoniche”
- è previsto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa o dai suoi prossimi congiunti o conviventi per i reati consumati in ambito familiare (il giudice può vietare all'imputato di comunicare con qualsiasi mezzo non solo con la vittima ma anche con le persone a lei vicine)
- e, tra i casi in cui è possibile svolgere l’incidente probatorio, è inserito lo stalking (soprattutto nel caso di minorenni).
Si tratta di una iniziativa legislativa meritevole ma comunque segno che il legislatore, in materia di delitti sessuali (e in materia penalistica, in genere), interviene ancora una volta tardivamente e con mini-riforme frammentarie e ripetute negli anni: l’elenco dei provvedimenti adottati dagli anni ’90 ad oggi sarebbe troppo lungo!

LA DONNA NEL RESTO DEL MONDO:
Se si allarga l’orizzonte oltre l’Occidente, scopriamo che spesso parole come emancipazione, libertà, parità sono conquiste ancora inimmaginabili: i traguardi di civiltà e diritti che la donna occidentale moderna ha saputo conquistare, per molte donne nel mondo rimangono mete inarrivabili!
Esempio tragicamente noto è quello delle donne afghane, “donne ombra” trattate peggio delle bestie, trasportate nelle carriole o nei cofani delle auto, costrette a trascorrere gran parte della loro esistenza in case-gabbia di fango con le finestre oscurate da vernice scura perché non siano viste dall’esterno. Dall’età di nove anni costrette a coprirsi coi “burka” (mantelli coprenti dalla testa ai piedi), le donne afghane vedono trasformata la loro vita in un inferno solo per colpa della mania misogina dei Talebani! Nel 2001, nel pieno della guerra in Afghanistan, le cronache impazzavano di casi di donne di Kabul picchiate a morte da folle di fondamentalisti per aver mostrato casualmente un braccio mentre guidavano oppure lapidate a morte per aver cercato di lasciare il paese con un uomo con cui non era imparentate! Secondo l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza”. Ma che libertà hanno le donne afghane se non possono nemmeno mostrare il proprio volto?
Ma l’Afghanistan non è una realtà isolata:
- in Arabia Saudita le donne hanno diritti limitati, tanto da non poter uscire se non accompagnate da un parente stretto;
- in Bangladesh Amnesty International da tempo denuncia il dramma delle “donne sfigurate”: ragazze torturate al volto (con l’acido solforico) per aver rifiutato un matrimonio combinato o per aver respinto uno spasimante;
- in Pakistan è comunemente accettata la pratica degli “omicidi d’onore”: ogni anno centinaia di donne vengono torturate a colpi d’ascia o bruciate vive per aver disonorato la propria famiglia avendo avuto una storia illecita, per aver sposat uomini scelti liberamente o divorziato da mariti violenti o, più semplicemente, per aver subito uno stupro;
- in Africa ogni anno più di duemilioni di ragazze devono subire l’infibulazione per impedire rapporti sessuali prematrimoniali (operazione spesso causa d’infezioni mortali o infertilità) e sono ridotte in condizioni di schiavitù, nonostante “nessun individuo può essere tenuto in stato di servitù e schiavitù” (secondo l’art. 4 della Dichiarazione);
- in Asia la donna senza dote può essere uccisa dal marito;
- in tutto il mondo milioni di donne vengono perseguitaste, violentate e picchiate, tanto che la violenza maschile è la principale causa di mortalità per le donne tra i 18 e i 44 anni (sebbene per l’art. 5 della Dichiarazione “nessun individuo può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”).
Nel 2002 ha suscitato un clamore internazionale la triste vicenda della giovane nigeriana Safya Hussaini Tungar Dudu, che ha rischiato di esser lapidata per la “colpa” di aver concepito un figlio al di fuori del matrimonio, anche se a causa di una violenza sessuale! Safya, infatti, si trovava nella sua capanna quando è stata aggredita con un coltello alla gola da un anziano amico del padre, Yacubu. Rivolgendosi alla polizia per chiedere che Yacubu si assumesse le sue responsabilità, è scattato il processo, l’assoluzione del violentatore e la condanna della giovane donna per adulterio da parte di una corte locale nigeriana, con conseguente condanna alla lapidazione, da eseguire subito dopo il periodo di allattamento del piccolo. Safya, per la legge islamica datata 1400 anni fa (la Shari’a), non è la vittima di uno stupro bensì una donna impura, contaminata, peccatrice, adultera! L’unica salvezza per Lei sarebbe stato il riconoscimento da parte di Yacubu della violenza e la volontà di sposarla per riparare “al danno”, cosa che alla fine si avvera. Safya se l’è così cavata con meno della lapidazione: sposando il suo violentatore, di trent’anni più vecchio! Ha comunque ricevuto 100 frustate nella schiena, quelle previste per una donna non sposata che abbia rapporti sessuali. Per tutto questo, come se non bastasse, Safya ha dovuto dire grazie non solo al suo violentatore (che ha deciso di ammettere lo stupro e di sposarla) ma anche al suo precedente marito che, avendola provvidenzialmente ripudiata prima della violenza, ha evitato che si configurasse giuridicamente l’adulterio (una donna non sposata non può essere adultera). In caso contrario, niente avrebbe potuto sottrarla alla condanna a morte!
Safya è divenuta un simbolo della lotta per il riscatto dalla schiavitù e dall’umiliazione in cui versano tantissime donne. Quello che allarma, però, è proprio che nel mondo esistono milioni di Safie e di Nigerie!
Le donne sono troppo spesso trattate come esseri “subumani”, spesso nel nome del fondamentalismo islamico. L’espressione violazione dei diritti umani, in questi casi, non è più adeguata a descrivere sufficientemente la realtà, trasformatasi in una galleria degli orrori, in un mondo nel quale violenza, odio, irrazionalità la fanno da padroni!
Per anni l’Occidente ha ignorato tutto questo. Associazioni di donne come la RAWA sono state lasciate sole. L’unico merito della guerra in Afghanistan è stato quello di spingere il mondo dell’informazione a denunciare apertamente, per la prima volta agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, il dramma di queste realtà dimenticate. Il più grande demerito nostro, però, è stato aver cancellato tutto dagli occhi dopo pochi mesi, lasciando nuovamente milioni di donne nel mondo (milioni di Safye) nella loro misera solitudine…
L’unico arma che le Democrazie occidentali possono usare, allo status quo, è quella di una forte pressione internazionale da esercitata sui paesi più arretrati (dal punto di vista dei diritti umani). L’esempio della natura remissiva e compiacente dei rapporti tra l’Occidente e la Cina (potenza economica emergente ma paese che, al contempo, fa spregio del rispetto dei diritti civili minimi più essenziali), dimostra, però, l’opposto: come la strada verso una “globalizzazione dei diritti umani” sia piena di insidie e difficoltà, la prima delle quali è rappresentata dagli interessi economici di lobby e dei potentati spesso pronti a vender la loro coscienza al tavolo delle trattative commerciali!

Related Link: http://spaziolibero.blogattivo.com
This page can be viewed in
English Italiano Deutsch
© 2005-2024 Anarkismo.net. Unless otherwise stated by the author, all content is free for non-commercial reuse, reprint, and rebroadcast, on the net and elsewhere. Opinions are those of the contributors and are not necessarily endorsed by Anarkismo.net. [ Disclaimer | Privacy ]