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Il comunismo anarchico e le elezioni

category bolivia / perù / ecuador / cile | movimento anarchico | opinione / analisi author Monday April 21, 2008 19:46author by José Antonio Gutiérrez D. Report this post to the editors

Questo articolo è stato scritto nel 2003 quale contributo alla discussione dell'epoca sulle elezioni locali in Cile e sulla scelta di molti compagni di impegnare ingenti risorse umane e finanziarie nella campagna anti-elettorale. Nel frattempo, vi era in corso anche un dibattito sulla nostra posizione nelle elezioni all'università, nelle scuole, nei sindacati, negli organismi di quartiere e qualcuno diceva che gli anarchici erano contro il voto sempre. Alcuni dei temi trattati in questo articolo sono ricorrenti e rimandano a questioni politiche più complesse. Questo articolo è stato pubblicato inizialmente nella rivista comunista anarchica cilena "Hombre y Sociedad", No.18-19, del 2004. [ Castellano] [ English] [ Türkçe]
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Il comunismo anarchico e le elezioni


Ogni volta che ci sono le elezioni, i muri per le strade si riempiono di scritte col nome di questo o quel candidato, di vari slogan, con promesse che col tempo sbiadiranno. La gente che passa è abituata a questo spettacolo così familiare, che si ripete ogni 2 anni: le strade si insozzano di robaccia che solo la pioggia dell'inverno spazzerà via.

E nel mucchio di candidati e slogan ci sono, naturalmente, gli immancabili slogan che invitano al non voto: in questo campo c'è quasi tutta la sinistra che si proclama rivoluzionaria. Detto questo, molta di questa sinistra invita al non voto in ragione della sua incapacità di esprimere dei candidati e non per qualche ragione politica di un certo spessore (la recente esperienza di PODEMOS è la miglior prova di come i campioni del non voto di una volta si sono trasformati in candidati di una coalizione politica nuova di zecca). Altri hanno motivazioni che vanno oltre ragioni puramente logistiche: da chi invita al non voto perché non vuole dare alcun credito alla Costituzione scritta sotto Pinochet, a coloro che si oppongono a qualsiasi forma di "potere".

Tra questi inviti, troviamo frequentemente slogan più o meno noti, stra-ripetuti, firmati con una A cerchiata. Si tratta sicuramente degli anarchici. Nessuno si può con tutta ragione sorprendere del fatto che gli anarchici abbiano questa posizione; per cui non ci si chiede quali siano le ragioni di questa posizione, salvo il solito rifiuto viscerale verso le elezioni. No, non c'è alcun bisogno di farsi delle domande: essere anarchici, infatti, pare significhi solo non avere niente a che fare con le elezioni. Di conseguenza, l'anarchismo viene spesso ridotto, se si è in malafede o in preda all'ignoranza, all'anti-parlamentarismo. Ma va detto che ci sono tanti tra coloro che si dicono anarchici i quali in effetti si riducono a fare solo questo.

Quando ci sono le elezioni, dobbiamo riconoscere in quanto anarchici che ce ne occupiamo in modo astratto, senza alcuna analisi di contesto. Il che è alquanto strano, se mettiamo in conto il fatto che gli anarchici hanno spesso usato le elezioni quale pretesto per scendere in strada a manifestare o per fare qualche agitazione... giusto per non scordarci delle buone abitudini. Comunque, la mancanza di analisi è in genere lampante: l'analisi politica viene messa da parte per un paio di formule visceralmente pre-confezionate, a favore del dogmatismo sbrigativo (che in genere è fatto di insulti alla destra ed alla sinistra). In questa situazione, si diventa autoreferenziali. E' una situazione preoccupante, perché quando la mancanza di argomentazioni e di solidità di pensiero diventano egemoniche, quando la povertà teorica diventa la norma, vi è spesso fertile terreno per l'opportunismo, per i punti di vista semplicistici e per ogni sorta di deviazione d'asporto. Ed ecco gettate le basi per una prassi erronea.

Tra le argomentazioni che si incontrano per "giustificare" la posizione anarchica di rigetto delle elezioni, troviamo al primo posto quelle di natura "morale". Che poi sono quelle più deboli... visto che si riferiscono alle qualità personali degli individui che si presentano candidati (sono dei ladri, menzogneri, etc.), e quindi possono essere ritorte contro, dato che non affrontano i veri temi politici. Se i politici siano ladri oppure no (e la maggior parte di loro, infatti, lo è) non è l'argomento più rilevante; questo tema può essere usato al massimo come arma tra candidati rivali, ma non va alla radice della questione.

Altre volte, vi è un punto di vista grossolano sul problema, sulla base di considerazioni astratte, in cui il "metodo" (votare) viene confuso con le istituzioni in cui si esercita. Perciò, tutti i tipi di elezioni (in un'assemblea, nel sindacato, in un club sportivo, come in quelle presidenziali, ovviamente) appaiono in fondo tutte uguali, e "l'impurità" sta nell'atto stesso di votare. Noi anarchici non ci contaminiamo con nessun tipo di elezioni, per cui possiamo continuare ad essere "puri"... Come prendere delle decisioni, come eleggere dei delegati e dei rappresentanti, qualsiasi cosa che sia in particolare una questione di carattere pratico, non è stata mai chiarita adeguatamente da coloro che fanno i puri (ci vuole sempre il consenso? Dobbiamo scegliere gente a caso?!). C'è da supporre che ci sia qualcosa di "male", qualcosa di impuro, una essenza corruttrice nell'atto stesso di votare, indipendentemente dal contesto. Il votare, in quanto strumento, assume una dimensione magica e malvagia nella mente mitologica di alcuni anarchici che cadono in un certo tipo di "feticismo del voto".

L'anarchismo, innanzi tutto, non ha niente contro il voto in quanto strumento o in quanto metodo per decidere su questioni pratiche una volta che le diverse posizioni in campo siano state esposte e dibattute, oppure nel caso dell'elezione di delegati o rappresentanti. Ciò che è veramente importante è il contesto in cui lo strumento viene usato[1]. Gi anarchici non sono, per definizione, contro le "elezioni" in quanto strumento; se nelle elezioni locali o nazionali noi invitiamo a non votare è a causa del contesto in cui il voto viene esercitato e cioè all'interno della struttura dello Stato, che così può legittimare la sua dominazione su tutti noi che siamo esclusi dalle decisioni e che siamo per coincidenza la stessa gente che è esclusa dal banchetto degli affari. Quando noi invitiamo a non votare in questo tipo di elezioni, quello che stiamo chiedendo veramente è di lottare contro lo Stato ed il capitalismo e non contro le "elezioni" in quanto evento. La nostra opposizione, dunque, non è rivolta tanto contro il voto, quanto contro l'intero apparato dello Stato.

Il che ci porta alla radice del problema: è la gestione del sistema che è sbagliata? Oppure è necessario superare l'attuale sistema in modo rivoluzionario? Ed è questo, precisamente, il tema centrale per cui le elezioni borghesi ci mettono sempre da parte, mentre ripuliscono la brutta faccia del capitalismo.

Un altro effetto perverso delle elezioni borghesi è quello di creare una sorta di dissociazione proprio nella nostra esistenza; le elezioni creano uno spazio finto ed artificiale ad hoc per la politica, per la condivisione del potere. Questa è esattamente la logica che sottende lo Stato. Ed è su questo piano che dovrebbe insistere una critica radicale anarchica su questo modo di concepire la politica: perché nella nostra concezione, il potere dovrebbe essere esercitato dalle persone in prima persona, nei propri spazi, in tutti gli aspetti della nostra vita, e non solo in "spazi detto-fatto".

Perché il potere della borghesia, benché ideologicamente esso stesso lo neghi, benché esso stesso si manifesti ideologicamente solo in certi spazi artificiali, in barba alla sua tendenza ideologica alla "libera volontà", riesce a penetrare in profondità nelle nostre vite, si insinua in ogni aspetto della nostra esistenza. Ed è per questo che il potere popolare deve agire nello stesso modo, informando la nostra vita, completamente.

Perciò, le elezioni ci allontanano dai nostri problemi concreti (dandoci l'illusione di poter risolverli) e generano uno spazio per quella forma del "politico" che è alieno dalle masse. Eppure, senza accorgersene, molti anarchici cadono in questa trappola al pari del resto della sinistra riformista che spende gran parte della sua attività nell'angusto ambito di questo "politico", incurante del lavoro di base oppure strumentalizzandolo a fini elettorali. In questo modo, si finisce col validare la concezione borghese della politica. Molti anarchici agiscono nello stesso modo nell'atto stesso di opporvisi: si fanno vedere, al pari dei candidati, solo in tempo di elezioni per dire alla gente di non votare. Ed invece di contare i voti, contano la gente che non vota o che annulla, come se ciò avesse qualcosa a che fare con la lotta e con la vera organizzazione.

Proprio come i candidati alle elezioni, anche questi anarchici hanno la loro opinione elettorale: cioè il non votare. Ma così essi contribuiscono alla riduzione dell'ambito di ciò che è politico per lo Stato, impegnandovisi molto più che non in un intervento reale di base, in un lavoro quotidiano, per rafforzare la classe e gli attori sociali con un prospettiva rivoluzionaria. La nostra azione degrada così in uno spettacolo ad hoc negli spazi previsti dalla borghesia per fare politica.

Questo significa allora mostrarsi indifferenti rispetto alle elezioni? Significa forse non prendere posizione? Niente affatto. Abbiamo sicuramente bisogno di avere una chiara posizione contro la macchina democratico-borghese, e quindi, contro ogni forma di oppressione e di povertà; ma è necessario essere chiari quanto più è possibile. NON SERVE che ci sia molta gente che non vota; l'efficacia della propaganda anarchica dovrebbe essere misurata non dalla gente che non va a votare, bensì dalla nostra influenza sul grado di combattività e di organizzazione delle masse popolari. Il sistema è già screditato; il nostro lavoro vero è quello di mostrare, tramite la propaganda ed i fatti, che il sistema dovrebbe e deve essere cambiato.

La nostra propaganda dovrebbe puntare, prima di qualsiasi altra cosa, sul rafforzamento delle lotte e dell'organizzazione delle persone; l'organizzazione e la lotta popolare sono le armi migliori contro lo Stato ed il capitale e contro le loro basi. Questo comporta che gli anarchici passino dall'attivismo alla militanza (cosa che implica, ovviamente, un lavoro più coordinato e sistematico, che tende a dar continuità ai differenti attori della lotta popolare, laddove l'attivismo non va spesso oltre il contingente).

Da quanto detto, possiamo concludere che la frivola concezione implicita nell'affermazione "noi siamo anarchici perché noi non abbiamo niente a che fare con le elezioni", non è che una versione grossolana ed immiserita dei concetti di base dell'anarchismo. La nostra politica NON discende dal fatto che noi si partecipi o no alle elezioni, ma è la nostra non partecipazione al voto che deriva dalla nostra politica. E la questione cruciale è precisamente come si costruisce il potere popolare.

Non partecipare alle elezioni borghesi non può essere considerato uno dei principi della militanza rivoluzionaria anarchica, ma dovrebbe derivare naturalmente da una strategia di costruzione nel cuore della classe lavoratrice.

Oggi è necessario più che mai sapere come costruire un percorso per coloro a cui ci rivolgiamo per partecipare alla lotta contro il sistema, è necessario andare oltre un certo anarchismo naif, a volte infantile, segnato dal dogmatismo e da una fraseologia viscerale.

Dobbiamo metterla giù con tutta chiarezza: per i comunisti anarchici non c'è spazio nelle elezioni borghesi, perché la nostra dimensione naturale è la costruzione del potere popolare, la resistenza e la lotta in ben altri ambiti - nei nostri quartieri, nelle università, nelle scuole e dei luoghi di lavoro.

E che dire su altri tipi di elezioni?

Proprio a causa della summenzionata mancanza di una seria riflessione sulle questioni di metodo e di posizionamento politico, c'è spesso una attitudine negativa da parte degli anarchici verso "qualsiasi tipo di elezioni". Come se la nostra critica fosse rivolta allo stesso atto del votare, indipendentemente dal suo contesto e dal suo contenuto! Ed ecco nascere la confusione quando si giunge alla differenza che esiste tra partecipare allo Stato e partecipare alle organizzazioni sociali e popolari (sindacati, organismi di quartiere, e così via). La presenza anarchica in queste ultime non solo è positiva, ma è necessaria se vogliamo garantirci un certo livello di influenza nel processo di costruzione sociale di lungo termine.

La nostra assenza da questi spazi ha significato, storicamente, lasciare la porta aperta al riformismo e ad ogni sorta di autoritari. E' necessario che gli anarchici abbiano un impatto concreto negli spazi in cui siamo. E' certamente vero che la nostra attività non può essere limitata alla lotta per le posizioni di rappresentanza nelle organizzazioni sociali, come fanno altri raggruppamenti politici; la nostra attività deve svolgersi soprattutto alla base. Ma è anche vero che troppo spesso snobbiamo le possibilità di ottenere posizioni di rappresentanza perché crediamo che sia sufficiente la nostra presenza nelle assemblee. Crediamo che sia questo il nostro punto di forza: tuttavia, è necessario che il lavoro alla base sia espresso anche ad ogni livello delle organizzazioni in cui stiamo intervenendo, e questo non deve essere visto come un allontanarsi dai nostri principi purché siano chiare un po' di cose:

1. Il partecipare alla competizione elettorale per le posizioni di rappresentanza deve essere l'espressione di un lavoro precedente fatto alla base, realmente, che dia consistenza e legittimità alla nostra partecipazione. Senza questo lavoro di base, senza iniziare a costruire dal basso, la contesa per le posizioni di rappresentanza assume lo stesso valore della logica verticistica che esiste in altri settori politici.

2. La nostra partecipazione non deve essere, in nessun caso, come quella di altri gruppi; dobbiamo sempre sospingere un progetto di democratizzazione interna non limitata agli spazi di rappresentanza, ma anche spinta dal basso - rafforzandola con la prerogativa dell'ultima parola sulle questioni cruciali. Questo significa implementare in pratica principi democratici quali le assemblee, la verifica della delega, percorsi organizzativi dal basso, etc.

3. Mai confondere la tattica con la strategia: l'egemonia politica nelle organizzazioni sociali, popolari o di massa, non è un fine in sé. Essa è importante solo finché ci aiuta a spingere verso veri cambiamenti che vadano ben al di là dei confini dell'organizzazione stessa, fino a spingersi al livello del protagonismo popolare, fino ad essere una minaccia per la società capitalista. In breve, non dobbiamo preoccuparci di vincere le elezioni sindacali per il bene del sindacato, ma perché questo ci può aiutare nell'accumulazione di una forza rivoluzionaria. Lo scopo finale non è indugiare nella lotta per le riforme, lotta che noi non trascuriamo affatto, ma aprire la strada per i cambiamenti rivoluzionari verso la liberazione degli oppressi e degli sfruttati.

4. E non è per niente meno importante un'etica strettamente libertaria: noi non possiamo rendere neutre le nostre idee, rendere neutro il nostro programma. Non è certo perché diventiamo rappresentanti di una organizzazione che dobbiamo mettere la sordina alle nostre idee. Ma non possiamo neanche imporle a nessuno. La lotta per le nostre idee ci darà l'egemonia se vinceremo alla base, nelle assemblee, senza abusare del nostro peso di rappresentanti.

Questi quattro punti, crediamo, siano di grande importanza per sviluppare una linea corretta in relazione alle elezioni nelle organizzazioni sociali. Alcuni anni fa, la mancata elezione di un nostro compagno sindacalista ad un incarico superiore nella confederazione nazionale del lavoro (CUT) si è rivelata un esempio eccellente di come una meravigliosa occasione di poter lavorare nel movimento sindacale sia andata sprecata. Inizialmente c'era stato un lavoro di base, non importa quanto insufficiente, con diversi sindacati ed associazioni che erano interessati a creare un nuovo tipo di sindacalismo. Ma poi non abbiamo saputo sviluppare una tattica coerente alla forza disponibile e quel compagno è rimasto isolato, senza poter porre il problema di una nuova forma di sindacalismo e senza contribuire, in conclusione, alla costituzione di una corrente che potesse sfruttare al momento quel processo di aggregazione di forze che era già iniziato e che aveva avuto uno dei suoi momenti più interessanti nella nascita della Multisindical, il Primo Maggio del 1998.

Invece, l'attuale partecipazione dei libertari nella guida degli organismi di quartiere e studenteschi è un buon esempio di come le lotte per questi spazi, se accompagnate da un precedente lavoro di base, da un progetto di democratizzazione, da uno specifico programma di rivendicazioni e di lotte e da uno stile di lavoro politico eticamente libertario, non possono che rafforzare l'influenza libertaria sui quartieri popolari e far crescere il livello di organizzazione e di lotta delle persone. Tutto ciò ci aiuta anche a costituire reti più ampie per la convergenza di coloro che, con le lotte popolari, contribuiscono a forgiare un progetto libertario, di cui l'esistenza del Frente de Estudiantes Libertarios (FeL) è una parte integrante.

Non possiamo accettare la posizione di chi dice che la competizione nelle elezioni sindacali ed in quelle studentesche (per legittimare spazi creati dalle stesse persone in lotta - benché talvolta fatti degenerare dai burocrati - ma che non hanno niente a che vedere con la natura borghese della macchina statale) comporti in sé il nostro scivolare verso la "corruzione". Questa paura di venire "corrotti" dal "potere" (!) in questo caso non è giustificabile, e non può accadere se noi restiamo fermi sulle quattro idee suindicate. Contro la "corruzione" servono solo coerenza politica, uno stile libertario nel lavoro politico e l'esistenza di un chiaro meccanismo di partecipazione. L'eredità della generazione anarcosindacalista degli anni '50, che portò alla creazione della CUT, con Ernesto Miranda alla testa di quel gruppo, è lì davanti a chiunque voglia sapere, al pari del lavoro della nuova generazione di comunisti anarchici impegnata negli organismi sindacali, studenteschi e nel territorio.


José Antonio Gutiérrez D.

(scritto nel Settembre 2003, pubblicato in Hombre y Sociedad, No. 18-19, secondo trimestre, 2004)

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali


Note:

[1] Qualcosa di simile accade col dibattito intorno alla "democrazia"; tanto inchiostro è stato versato sulla questione per dibatterne in astratto indipendentemente dal concetto che sta dietro la parola. Questa situazione in qualche modo riflette il dialogo tra due sordi, l'uno che dice di sì alla democrazia e l'altro che dice di no, senza chiedersi l'un l'altro che cosa ciascuno intenda veramente per democrazia. Ovviamente, la domanda popolare di democrazia a volte suona molto simile a quella democrazia borghese che si erge sulle contraddizioni di classe. E quando la stampa rivoluzionaria attacca la "democrazia", è un modo per svelare l'oppressione nascosta dietro il concetto del consenso politico quale democrazia dei ricchi.

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