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Stato di polizia=stato assasssino

category francia / belgio / lussemburgo | lotte sul territorio | comunicato stampa author Thursday November 24, 2005 21:21author by Réseau NO PASARAN!author email nopasaran at samizdat dot netauthor address 21ter rue Voltaire 75011 Paris Report this post to the editors

Il capitalismo è guerra e miseria

A Clichy-sous-Bois, Ziad e Bounna, di 17 e 15 anni sono morti per le vessazioni della polizia che perseguita i giovani, moltiplicando indiscriminatamente i controlli d’identità. Poco importa sapere se fossero o no realmente perseguitati: che dei giovani abbiano così paura della polizia da rischiare la morte per scappare è dimostrazione della tensione che regna in questi quartieri tra popolazione e forze dell’ordine.


Stato di polizia=stato assasssino

Il capitalismo è guerra e miseria

A Clichy-sous-Bois, Ziad e Bounna, di 17 e 15 anni sono morti per le vessazioni della polizia che perseguita i giovani, moltiplicando indiscriminatamente i controlli d’identità. Poco importa sapere se fossero o no realmente perseguitati: che dei giovani abbiano così paura della polizia da rischiare la morte per scappare è dimostrazione della tensione che regna in questi quartieri tra popolazione e forze dell’ordine.

Da diversi anni, la pressione poliziesca si porta dietro numerosi "incidenti". Quando, nella maggioranza dei casi, i giovani reagiscono all’essere trattati come esseri sub-umani, si ritrovano sempre di più accusati di oltraggio e rivolta e condannati.

Non è solo un errore, un abuso che bisogna denunciare, ma una politica securitaria integrata che si sviluppa da più di 20 anni.

La stigmatizzatone e il disprezzo verso i giovani delle banlieu non fa che sviluppare il loro odio verso una società che lascia deperire il 20% della popolazione dentro ghetti. E questa è una precisa scelta politica ed economica, non certo dovuta al caso.

Così, accesso degli immigrati (o supposti tali) a un alloggio popolare è da trent’anni fatta sulla base di un principio segregativo dove solo certi settori del parco sociale erano loro aperti, ovviamente quelli meno richieste perché mal collocati o fatiscenti.

Ancora oggi, per i responsabili della gestione degli alloggi popolari l’arrivo di immigrati produce la certezza della svalutazione dell’area: questa domanda "squalificante" è dunque fatta slittare sulle aree già più svalutate... Peggio ancora, il dibattito sulla "mixitè sociale" ha interiorizzato e legittimato queste pratiche segregative, così bene che le aree urbane dove dovrebbero potersi stabilire queste famiglie restano loro chiusi in nome della "mixitè sociale": bisogna diversificare la popolazione degli alloggi popolari, dunque niente immigrati, e peggio ancora se poveri. L’impossibilità di decidere della propria vita esaspera le tensioni tra le persone imprigionate in uno status sociale o in un quartiere. L’ira non nasce forse dall’aver imprigionato queste famiglie in uno spazio vissuto come una zona di recinto economico, sociale e urbanistico, senza prospettive di mobilità sociale?

Ma l’apartheid sociale non nasce da oggi.

È almeno mezzo secolo che intere popolazioni, operai, immigrati che, non dimentichiamolo, hanno costruito le nostre strade e le nostre case sono parcheggiate nei ghetti.

Le rivolte sono conseguenza delle politiche liberali portate avanti da destra come da sinistra, che massacrano da trent’anni le banlieu.

Ma questa precarizzazione questa povertà ora si diffondono alla società tutta.

Noi non abbiamo firmato nessun contratto. Noi non siamo cittadini di questa società. Non abbiamo alcun interesse in comune con i capitalisti, con i padroni, con i governi che si susseguono, di destra e di sinistra liberista.

Ne i risultati di un referendum, né le elezioni regionali, né i movimenti delle pensioni o dei ferrovieri hanno cambiato lo stato delle cose. I rivoltosi hanno mostrato una cosa: occorre essere il più violenti possibili in questa società di merda per scuotere l’apatia sociale.

Questa violenza non è che la debole risposta alla violenza del capitalismo e dello Stato.

Dalle violenze poliziesche che bersagliano i poveri, i giovani, gli immigrati, alla violenza della precarietà e dell’isolamento dovuto alla sparizione dei servizi pubblici, dall’ostentazione dei media a quelle del governo, noi siamo immersi senza requie in un ambiente antisociale. I giovani delle banlieu lo gridano a pieni polmoni: questa società non offre alcuna speranza. Anche quelli che vanno a scuola sanno che non serve a molto: tutto il sapere accumulato è ben poco utile in una società consumistica, peggio, non gli permetterà al massimo che farsi sfruttare in un McDonalds (a fianco a francesi bianchi!). Allora, effettivamente, l’esempio dei fratelli maggiori e delle sorelle) non li invita certo a giocare il gioco legale!

Il governo ha riesumato la legge del 3 aprile 1956 per ristabilire l’ordine, decretando lo stato di emergenza. Dando il potere agli agenti locali, ai prefetti, alla polizia, indurisce lo scontro verso l’apartheid sociale: la classe popolare, lavoratrice o no, è sempre quella pericolosa, le deve essere riservato un trattamento particolare. Altrettanto per la pretesa uguaglianza dei diritti: per chi si ribella, manganelli e pallottole di gomma rappresentano l’assurdità e l’aspetto illusorio del dialogo tra le classi.

Peggio ancora, applicare questa legge si inscrive nella dinamica di etnicizzazione dei rapporti sociali, perseguita da parecchi anni a livello mondiale e che in Francia si innesta su un immaginario colonialista che qualcuno trova utile riapplicare. Questa legge infatti fu applicata solo in due occasioni, in Algeria e in Nuova Caledonia: utilizzarla oggi permette di assimilare la situazione d’oggi alle guerriglie separatiste condotte da minoranze etnico-culturali, (con la conseguente mistica dei "territori perduti della Repubblica" così cara ai nostalgici).

Il messaggio è chiaro: le banlieu sono delle colonie, se non di diritto almeno di fatto: la composizione etnica della popolazione rimane il criterio più convincente per descriverla, e censirla contribuisce a renderla sempre meno capace di integrarsi.

La prova altrettanto convincente di questa gestione dei quartieri differenziata in funzione dell’origine presunta della popolazione è il tentativo di creare, attraverso l’aspetto religioso e il CFCM (Consiglio francese di culto mussulmano, organo della Consulta islamica francese, introdotta nel 1999, ndt) una rete di controllo sociale affiancata a quello governativo.

L’importante è che l’ordine regni, anche se significa dare i giovani in pasto ai religiosi; allo stesso tempo, contraddittoriamente, agitare il "pericolo islamico" che avranno creato dove prima non c'era niente, e così permettere di rafforzare la repressione.

Dalla legge del febbraio 2005 sui meriti della colonizzazione ai discorsi e alle pratiche contro i migranti passando per la criminalizzazione dei giovani dei quartieri che bisogna ripulire dai rompiballe, gli immigrati sono diventati il bersaglio numero uno del governo Villepin, il nemico interno che permette di saldare la maggior parte della popolazione attorno almeno a un criterio comune: l’origine. E il Partito socialista non risponde a tono, cosa che dimostra chiaramente che, di fronte alle necessità di governo farebbe esattamente lo stesso.

D’altronde, non era forse il PS che, al congresso di Villepinte del 1997 aveva tentato di fare della sicurezza una priorità di sinistra, scivolando sullo stesso terreno del Fronte Sociale? Julien Dray, portavoce dl PS e favorevole a una politica di tolleranza zero, ha assicurato il sostegno a Sarkozy durante la discussione sulla legge sulla sicurezza pubblica interna (LSI) del marzo 2003, sarebbe bene non dimenticarlo. Per tutti i partiti capitalistici la guerra tra razze è certo molto meglio della lotta di classe... dividere per meglio regnare!

La possibilità di instaurare il coprifuoco non può che rimandarci a periodi oscuri della nostra storia.

È per questo che il Fronte Nazionale e gli altri gruppi di estrema destra applaudono a quelle misure? O, più semplicemente, perché sanno che la gente preferisce sempre l’originale alla copia? I rivoltosi vanno certamente a spingere una parte della popolazione, fortemente incoraggiata dalla logica securitaria del governo, esasperata nel vedere andare in fumo i magri frutti del proprio lavoro, nelle braccia dell’estrema destra.

La rete di intervento No Pasaran sarà presente, a viso scoperto, come abbiamo sempre fatto. Ma non possiamo limitarci a questo. La questione sociale deve essere messa al centro degli sforzi, e questo presuppone lo smetterla con quest’individualismo di merda che separa operai e disoccupati, precari, impiegati nel pubblico o nel privato, vecchi e giovani, e con le logiche comunitarie che non fanno che il gioco dei padroni inquadrando la popolazione secondo l’origine etnica, culturale, sessuale, tutto, tranne l’appartenenza di classe!

Dobbiamo finirla, tutte e tutti, con al pratica del separatismo, ciascuno per sé, ciascuno per la sua comunità, dove i nemici sociali e politici comuni spariscono. Perché i giovani non hanno più prospettive, e a loro non resta che l’autodistruzione. Come in una logica suicida, se la prendono con quello che hanno più vicino: persone, istituzioni (scuole, ecc.) beni materiali (macchine, ecc.).

Devono essere proposte delle convergenze, radicate in tutte le lotte e tutte le riunioni, e dobbiamo fare il massimo per rovesciare le logiche corporative e individualistiche. La divisione in rivendicazioni categoriali ci riduce all’impotenza sociale. Non saremmo a questo punto se legami e convergenza fossero stati creati, invece che distrutti. Il movimento sociale è a mal partito, raddrizzare il timone non sarà possibile che a patto che molte persone se lo augurino, cosa che sfortunatamente non è il caso, visto che ciascuno è arrampicato sulla sua pianta, imprigionato in un vittimismo concorrenziale, in cui lo Stato può continuare a giocare il suo ruolo di provvidenza e affermare la sua legittimità. Non attendete il via libera delle vostre strutture, organizzazioni o sindacati per riunirci. Oggi l’assegno di disoccupazione viene rinegoziato e i diritti dei disoccupati saranno ancora ridotti, i conflitti a Marsiglia tentano bene o male di resistere per difendere i diritti collettivi, i clandestini rifiutano di restare nella miseria più nera...

L’autoisolamento e l’ignoranza dell’altro fa si che questi movimenti spesso tentati dal corporativismo non sbocchino in movimento sociale. Ma stabilire delle convergenze è anche integrare nelle azioni e nei testi quello che fanno gli altri, è sostenere gli scioperanti nella propria zona, è aprire e gestire degli spazi collettivi. Non dobbiamo restare con gli occhi spalancati su queste rivolte, sul lato spettacolare, come dei conigli ipnotizzati dai fari.

È anche perché non c’è abbastanza da fare, lavoro militante quotidiano e aperto sugli altri che siamo a questo punto. Le resistenze si fanno tutti i giorni, con la militanza regolare nelle reti e nei posti, con la resistenza nei quartieri, la rivitalizzazione culturale e sociale autonoma dai poteri pubblici, la riappropriazione dello spazio pubblico e delle nostre vite.

Solo questo lavoro a monte permette di dare un senso comune alle lotte, alle rivolte e agli scioperi, di formare alla fine un vero fronte sociale. Noi dobbiamo trovare delle convergenze forti a partire dalle rivendicazioni sociali che ci riuniscono, da dove si venga, qualunque cosa si faccia, per moltiplicare le azioni e le manifestazioni comuni:

  • ritiro del decreto del 1955 e delle leggi di sicurezza nazionali comincate con le leggi Perben, Sarkozy, Chevénement;
  • soppressione di tutte le forze di repressione. A partire dalla BAC (le cosiddette Brigate anti criminalità);
  • reddito garantito per tutti, per separare il reddito da un lavoro sempre più raro e sempre più alienante;
  • gratuità e accesso universale ai servizi pubblici (energia, salute, trasposti, educazione): dobbiamo avere voce in capitolo sulle scelte del servizio pubblico e avere tutti accesso a tutti i servizi;
  • democratizzazione della vita sociale e politica. Democrazia, vale a dire autorganizzazione e autogestione; la politica non deve essere lasciata nelle mani dei partiti e dei notabili che scuotono la testa. Dobbiamo finirla con questo regime aristocratico dove le nostre opinioni non hanno alcun peso. Dobbiamo organizzarci e dare impulso a una democrazia diretta, che coinvolga tutti gli spazi della nostra vita, dal quartiere al paese, con il controllo dei mandati e un reale potere di decisione sull’avvenire della società.
Politicizza le tue inquietudini, inquieterai i politici!
Il capitalismo non crollerà da solo: aiutiamolo!
Autonomia per tutte e tutti!


Réseau NO PASARAN
10 novembre 2005

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio relazioni internazionali

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author by nestor - Anarkismopublication date Thu Nov 24, 2005 21:23author address author phone Report this post to the editors

The original article in French:

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