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italia / svizzera / storia / opinione / analisi Tuesday July 23, 2019 17:13 byLucio Garofalo

A proposito del tema della violenza, in questi giorni, a 18 anni di distanza dal 2001, vengono rievocate le drammatiche giornate di Genova, segnate dalle terribili violenze della repressione poliziesca, dall'assalto alla scuola Diaz, dalle torture nel carcere di Bolzaneto, dall'assassinio di Carlo Giuliani, ecc.

A proposito del tema della violenza, in questi giorni, a 18 anni di distanza dal 2001, vengono rievocate le drammatiche giornate di Genova, segnate dalle terribili violenze della repressione poliziesca, dall'assalto alla scuola Diaz, dalle torture nel carcere di Bolzaneto, dall'assassinio di Carlo Giuliani, ecc. Certo, bisogna citare anche le "violenze" dei black-block (e su tali vicende servirebbe ancora far luce, dato che sussistono tuttora molte zone d'ombra), violenze che sono un parto degenere di un sistema putrido ed incancrenito, capace di produrre in quantità industriale violenza, odio e distruzione, nella misura in cui ne ha bisogno come l'aria che respiriamo, per giustificare la sua esistenza. Insomma, queste vicende sono strettamente legate da un denominatore comune: la violenza. Sull'argomento vale la pena spendere almeno qualche parola per un ragionamento storico, critico e politico il più possibile rigoroso. Io ci provo, partendo dal mio punto di vista e avvalendomi delle mie capacità analitiche e delle esperienze. La violenza, intesa come un comportamento individuale, ha un suo fondamento profondo e complesso, insito nella struttura sociale. Ad esempio, nella realtà capitalista, la violenza del singolo, la ribellione giovanile apparentemente senza causa, il vandalismo, il teppismo negli stadi di calcio, o durante una manifestazione, la criminalità comune, la perversione di soggetti definiti "mostri", sono sempre il frutto marcio di una struttura sociale che ha bisogno di produrre odio e violenza. Sono la manifestazione di un contesto sociale che, per sua natura, crea conflittualità, concorre alla depravazione dell'animo umano, che in tal modo viene ad essere condizionato dall'ambiente esterno. Dunque, la violenza non è una questione di malvagità individuale, ma è un tema sociale, costituisce la facciata fenomenica dietro cui si camuffa la violenza organizzata e legale, o istituzionale, della società, dello Stato: è lo strato superficiale ed esteriore, sotto cui giace ed incancrenisce la corruzione, il male, il marciume dell'ordine costituito. In effetti, è difficile determinare la violenza come un comportamento di tipo etologico, immutabile, dell'essere umano, in quanto è la natura stessa dell'ordine sociale, il principio che genera i criminali, i violenti in quanto singoli individui, che sono spesso i soggetti più vulnerabili sotto il profilo psichico ed emotivo. La visione che attribuisce alla "cattiveria umana" la causa dei mali del mondo, è un'ingenua e volgare mistificazione culturale. Il tema della violenza è talmente vasto, complesso ed enorme, da rivestire un'importanza centrale e prioritaria nell'ambito dello sviluppo storico dell'intera umanità.

Lucio Garofalo
italia / svizzera / repressione / prigionieri / opinione / analisi Monday July 22, 2019 00:21 byLucio Garofalo

18 anni fa, il 20 luglio del 2001, Carlo Giuliani era un ragazzo di 23 anni. Era nato nel 1978, un anno di notevoli e straordinari mutamenti della società italiana anzitutto sul terreno dei diritti e delle conquiste civili...

18 anni fa, il 20 luglio del 2001, Carlo Giuliani era un ragazzo di 23 anni. Era nato nel 1978, un anno di notevoli e straordinari mutamenti della società italiana anzitutto sul terreno dei diritti e delle conquiste civili. Basti pensare a due leggi fondamentali promulgate in quell'anno: la legge 180 del 13 maggio 1978 (esattamente 4 giorni dopo gli omicidi di Peppino Impastato e Aldo Moro), meglio nota come Legge Basaglia, che prese il nome da Franco Basaglia, fondatore ed esponente di primo piano del movimento della "Psichiatria Democratica" in Italia ed uno dei principali promotori della riforma psichiatrica, che intervenne a legiferare su una disciplina assai delicata e controversa: "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori" (in pratica, abolì l'abominio incivile e disumano dei manicomi); e la legge 194 del 22 maggio 1978, che regolamenta la interruzione volontaria di gravidanza. In altri termini, si tratta di due tra le più significative e preziose conquiste di civiltà giuridica e progresso della società italiana, su cui non sarebbe scorretto avviare una seria ed onesta disamina per vagliare e verificare i limiti e le criticità sociali prodotte da un'applicazione distorta dei succitati provvedimenti legislativi. In ogni caso, il 1978 fu un anno eccezionale ed unico per svariate e molteplici ragioni storiche, politiche, culturali, per le profonde innovazioni dei costumi e delle consuetudini di vita in Italia e nel mondo, dopo un lungo, vivace ed intenso decennio (iniziato nel 1968) contrassegnato da mobilitazioni e contestazioni di massa, da lotte e rivendicazioni politiche e sociali radicali, che furono espresse da un imponente movimento generazionale che mai si era visto di tale entità e portata, di rivolte studentesche ed operaie (in Francia, in Germania e in Italia, più che altrove). Ebbene, dopo i sommovimenti giovanili insorti nel 1968 e nel 1977, l'apice e, nel contempo, le origini del declino e del riflusso storico-politico e culturale della società italiana, coincisero e si intersecarono (temo) proprio nel 1978. Da quel momento "debuttarono" gli anni del distacco e del disimpegno civile, gli anni del ripiegamento individuale nella sfera esistenziale del privato, gli anni del cosiddetto "edonismo reaganiano": gli anni Ottanta. Sorvolo sul periodo, che in un certo senso ha assistito ad una successione di mode e di fenomeni socio-culturali all'insegna del conformismo e del consumismo di massa. Credo che bisognerà attendere proprio la fine degli anni Novanta e l'inizio del 2000 (direi fino al luglio del 2001), per poter vivere una nuova ondata di lotte, di proteste e di proposte messe in campo da un movimento sociale e politico di massa: il "popolo di Seattle", meglio noto come "movimento no-global", altrimenti denominato come "movimento dei movimenti". All'indomani dei drammatici e luttuosi avvenimenti del luglio 2001, durante il G8 a Genova, con l'assassinio del giovane Carlo Giuliani (il 20 luglio), le botte ed i massacri compiuti nella Scuola Diaz, dove la notte del 21 luglio fecero irruzione i Reparti mobili della Polizia di Stato, con il supporto operativo di alcuni battaglioni dei Carabinieri, e gli atti di tortura subiti dai manifestanti presso la caserma di Bolzaneto, temo che quella vasta ed enorme passione civile e politica si spense assieme alla vita di Carlo ed alle speranze dei numerosi attivisti, militanti e simpatizzanti che provenivano da diverse nazioni per dare vita a quel grandioso movimento di massa. L'ultimo al quale anch'io mi convinsi ad aderire, senza esitazioni, con immediata e piena fiducia, con risolutezza e con sincero entusiasmo interiori.

internazionale / storia dell'anarchismo / cronaca Monday June 17, 2019 17:15 byleo

Questo volume ci offre un capitolo piuttosto sconosciuto nel mondo libertario italiano: il ruolo dei volontari anarchici di madre lingua tedesca durante la guerra civile spagnola 1936-39.
Molto spazio viene dedicato alla rivoluzione libertaria e sociale con numerosi contributi sulla collettivizzazione. Inoltre giornalisti, scrittori e fotoreporter raccontano la rivoluzione culturale ed artistica nonché la campagna dell’alfabetizzazione. Ci siamo messi anche sulle tracce di anarchici tedeschi in esilio che sono andati in spagna in aiuto della repubblica (e avevo descritto nel mio saggio precedente: "Contro Hitler-gli anarchici e la resistenza tedesca dimenticata").

Con una dozzina di testimonianze dirette i volontari anarchici e della sinistra rivoluzionaria ci accompagnano al fronte, nelle giornate sanguinose del maggio 1937 di Barcellona, nella repressione comunista e nelle prigioni staliniane in Spagna, di nuovo in esilio, nei campi in Francia e nei campi di concentramento tedeschi.

Esistono molte pubblicazioni sulla guerra civile spagnola, soprattutto sul fronte. Ma la storiografia si è molto occupata delle brigate internazionali e meno dei combattenti anarchici stranieri in Spagna. Inoltre nella ricca produzione di scrittori spagnoli e stranieri su questa guerra spesso viene ancora oggi “dimenticato” che la rivolta di Barcellona del 1936 fu l'inizio di una rivoluzione sociale senza precedenti.
Molto spazio viene dedicato alla rivoluzione libertaria e sociale con numerosi contributi sulla collettivizzazione. Inoltre giornalisti, scrittori e fotoreporter raccontano la rivoluzione culturale ed artistica nonché la campagna dell’alfabetizzazione. Ci siamo messi anche sulle tracce di anarchici tedeschi in esilio che sono andati in spagna in aiuto della repubblica (e avevo descritto nel mio saggio precedente: "Contro Hitler-gli anarchici e la resistenza tedesca dimenticata").

Con una dozzina di testimonianze dirette i volontari anarchici e della sinistra rivoluzionaria ci accompagnano al fronte, nelle giornate sanguinose del maggio 1937 di Barcellona, nella repressione comunista e nelle prigioni staliniane in Spagna, di nuovo in esilio, nei campi in Francia e nei campi di concentramento tedeschi.
Esistono molte pubblicazioni sulla guerra civile spagnola, soprattutto sul fronte. Ma la storiografia si è molto occupata delle brigate internazionali e meno dei combattenti anarchici stranieri in Spagna. Inoltre nella ricca produzione di scrittori spagnoli e stranieri su questa guerra spesso viene ancora oggi “dimenticato” che la rivolta di Barcellona del 1936 fu l'inizio di una rivoluzione sociale senza precedenti.

Desideriamo presentare con questo volume un capitolo piuttosto sconosciuto nel mondo libertario italiano: il ruolo dei volontari anarchici di madre lingua tedesca che lottarono a Barcellona e al fronte.
I volontari stranieri che si unirono alla CNT- FAI fanno parte dei ‘doppi perdenti’ della guerra civile spagnola perché, non soltanto persero la guerra, ma anche la battaglia contro le forze antirivoluzionarie nel campo repubblicano.

Ci mettiamo quindi sulle tracce degli anarcosindacalisti tedeschi della FAUD che dopo la consegna del potere a Hitler nel 1933 dovevano fuggire all’estero. Con lo scoppio della guerra civile spagnola la maggior parte dei componenti dell’organizzazione estera andò in Spagna in aiuto alla Repubblica e della CNT-FAI.
Non ci occupiamo soltanto degli eventi al fronte, ma soprattutto della rivoluzione libertaria e sociale. Presentiamo le testimonianze preziose di Augustin Souchy sulla collettivizzazione; inoltre giornalisti, scrittori e fotoreporter raccontano la rivoluzione culturale ed artistica nonché la campagna dell’alfabetizzazione.

La partecipazione alla rivolta di Barcellona non è stato solo un atto di solidarietà nei confronti dei loro compagni spagnoli: erano confrontati con il loro nemico diretto: i membri tedeschi dell'organizzazione esteri del partito nazista.
Accompagniamo -con una dozzina di testimonianze dirette- i volontari anarchici e della sinistra rivoluzionaria al fronte, nelle giornate sanguinose del maggio 1937 di Barcellona, nella repressione comunista e nelle prigioni staliniane in Spagna, di nuovo in esilio, nei campi in Francia e nei campi di concentramento tedeschi.

Leonhard Schäfer si occupa da tempo dell’anarchismo tedesco. Ha scritto articoli sul periodo libertario in Germania e sulla Repubblica dei consigli della Baviera. Inoltre ha pubblicato saggi sul poeta anarchico Erich Mühsam e sulla resistenza libertaria e di sinistra contro il nazional-socialismo.

Edizioni Erranti 2019

www.edizionierranti.org

internazionale / lotte indigene / cronaca Monday January 28, 2019 22:42 byGianni Sartori

Un breve aggiornamento su alcuni recenti episodi inerenti alla questione palestinese, tra repressione di Stato e lotte popolari


ORDINARIA AMMNISTRAZIONE IN PALESTINA

(Gianni Sartori)

Altri due manifestanti palestinesi hanno perso la vita venerdì scorso per mano dei soldati israeliani. Il primo è stato abbattuto (ma si registrano anche numerosi feriti) nel corso delle ormai abituali manifestazioni settimanali al confine della Striscia di Gaza. Qui - il 25 gennaio - circa 10mila palestinesi si erano radunati per manifestare e alcuni di loro avrebbero lanciato non meglio specificati “proiettili” contro i militari appostati sulla linea confinaria.

L'altro palestinese, un ragazzo di 16 anni, è stato ucciso in Cisgiordania dove i soldati avevano aperto il fuoco contro un gruppetto di adolescenti. Stando alla ricostruzione ufficiale, questi ragazzi avevano lanciato dei sassi verso i veicoli israeliani transitanti sulla strada 60. Nella medesima circostanza – appare francamente eccessiva la definizione di “scontro” - altri due giovanissimi palestinesi sono rimasti feriti.

Da segnalare, forse in sintonia con quanto si applica nei confronti dei volontari anti-Isis e pro-curdi italiani, la repressione esercitata da Madrid su chi solidarizza con un altro popolo oppresso da decenni. Assieme ad altri due militanti, Angeles Maestro Martin, responsabile dell'associazione Red Roja, aveva organizzato una colletta a favore dei palestinesi. Una prima parte della modesta cifra raccolta era stata consegnata a Leila Khaled - figura storica, icona quasi, della resistenza - in occasione di un giro di conferenze nella penisola iberica. Il ricavato di una seconda colletta veniva invece consegnato direttamente all'Autorità nazionale palestinese.

L'accusa nei confronti degli esponenti di Red Roja (che dovranno presentarsi in tribunale il 5 febbraio) è piuttosto grave: “finanziamento del terrorismo”.

Addirittura.

Proseguono intanto, anche in Europa, le iniziative a favore della scarcerazione di Ahmad Sa'adat, segretario generale del FPLP (Fronte popolare per la Liberazione della Palestina). Dal 15 al 22 gennaio varie manifestazioni, sit-in e cortei si sono svolti in una quindicina di paesi. A Berlino, Goteborg, New York, Baltimora, Copenaghen, Bruxelles, Tolosa, Tunisi, Atene, Alicante, Milano, Dublino, Nottingham, Buenos Aires, Manchester...

A sostegno dell'esponente palestinese detenuto da 17 anni si sono espressi vari partiti e organizzazioni. Oltre ad altri prigionieri politici come il comunista libanese George Abdallah.

grecia / turchia / cipro / repressione / prigionieri / opinione / analisi Monday January 28, 2019 22:39 byGianni Sartori

La manifestazione del 16 febbraio a Roma: un appello per la liberazione di tutti i prigionieri politici in Turchia e per la difesa dell'esperienza rivoluzionaria in Rojava


16 FEBBRAIO: LIBERARE TUTTI!

Venti anni or sono Ocalan veniva rapito in Kenia e rinchiuso nell'isola-carcere di Imrali (non vi ricorda Robben Island ?). Grazie anche alla dabbenaggine di Massimo D'Alema e Fausto Bertinotti che prima gli avevano garantito l'asilo politico – successivamente concesso, ma dopo che ormai era stato sequestrato – per poi cacciarlo fuori dall'Italia (su richiesta si presume di Clinton) consegnandolo di fatto ai suoi aguzzini.

Dal 2011 al leader curdo viene negata la possibilità di incontrare i suoi avvocati e dal 2015 versa in un isolamento pressoché totale.

Recentemente gli è stato concesso un brevissimo incontro di pochi minuti con il fratello a seguito delle proteste di centinaia di prigionieri politici in sciopero della fame (e in particolare della deputata di HDP Leyla Guven).

Perché tanta ferocia nei suoi confronti?

Perché un prigioniero suscita ancora tanta paura?

Evidentemente (così come avvenne con Antonio Gramsci, Nelson Mandela, George Jackson, Patsy O'Hara, Bobby Sands... ) nemmeno le dure condizioni carcerarie hanno potuto ”impedire al suo cervello di funzionare” (per citare quanto Mussolini auspicava per l'esponente comunista rinchiuso nella prigione di Turi).

Screditare Ocalan, impedirgli di interagire con il suo popolo, svalorizzare quanto ha saputo elaborare – i principi teorici del Confederalismo democratico alla base della rivoluzione in Rojava - nella prospettiva di una risoluzione politica dei conflitti mediorientali (in primis, quello tra il popolo curdo e lo stato turco)...

Questo lo scopo – neanche tanto malcelato – della dura, repressiva politica carceraria adottata nei suoi confronti.

Nel nord della Siria gli scritti di Ocalan hanno fornito le basi teoriche e pratiche sia per la resistenza alle aggressioni dello Stato islamico, sia per la costruzione di un esperimento sociale di natura libertaria, inter-etnico, basato sulla parità di genere, laico ed egualitario.

Una speranza per le popolazioni del Medio Oriente (e non solo), ma anche una potenziale minaccia per i regimi autoritari, sessisti, razzisti (nei confronti delle minoranze, sia etniche che religiose), talvolta apertamente integralisti. Con una mai sopita vocazione al genocidio e all'etnocidio.

Regimi a cui rivolgere l'epiteto di nazi-fascistoidi non sembra proprio una esagerazione.

Non è un caso che in questi ultimi anni la repressione

si sia inasprita, sia in Turchia che in Iran (tanto per citarne un paio di stati autoritari). In Turchia il numero dei prigionieri politici (sia curdi che turchi, militanti della sinistra democratica e rivoluzionaria) ha raggiunto e superato quota 260mila. Molti di loro vengono sottoposti ad angherie, maltrattamenti, torture. E sempre più si diffonde la pratica dell'isolamento e della deprivazione.

Ma la violenza statale non si esercita solamente nei confronti delle popolazioni più o meno indocili, non rassegnate e non addomesticate (come appunto i curdi o i palestinesi).

Si scatena anche nei confronti di Madre Terra, delle foreste (vedi gli incendi devastanti nel Bakur provocati dai militari turchi), della fauna e delle acque. Emblematico il sequestro (come definirlo altrimenti?) del Tigri e dell'Eufrate – autentico “patrimonio dell'Umanità” - irregimentati con una miriade di dighe causando la sommersione di insostituibili tesori archeologici (vedi Hasankyef). Per non parlare delle catastrofi umanitarie come quella innescata dalle devastanti operazioni dell'esercito turco nella città di Afrin.

Per porre un confine a tutto questo, alla morte elargita a piene mani da dittatori, autocrati e fanatici in armi, la richiesta di scarcerazione per Ocalan e per tutti i prigionieri politici rimane un passo fondamentale, ineludibile. Il potenziale ruolo di Ocalan è sicuramente paragonabile a quello svolto a suo tempo da Nelson Mandela. Con la medesima autorevolezza, il leader curdo potrebbe traghettare (o meglio: dovrebbe poter traghettare) sulle sponde di un sistema autenticamente democratico le martoriate popolazioni ancora sottoposte a inique, ingiuste e inutili sofferenze.

Il suo contributo è necessario, indispensabile, insostituibile.

Anche per questo è fondamentale partecipare massicciamente alla Manifestazione nazionale del 16 febbraio 2019 a Roma (ore 14, Piazza della Repubblica).

Libertà per Ocalan e per tutte e tutti i prigionieri politici
Difendiamo il Rojava per la libertà e la pace in Medio Oriente

Gianni Sartori

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