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Fatte le elezioni, il "bello" deve ancora arrivare

category italia / svizzera | la sinistra | opinione / analisi author Monday April 21, 2008 21:05author by Pier Francesco Zarcone - (FdCA - a titolo personale) Report this post to the editors

L'esito delle elezioni politiche 2008 va rimarcato per il grande successo della Lega e per la scomparsa di ogni rappresentanza parlamentare della estrema sinistra più o meno di impostazione marxista. Circa quest'ultimo evento, non posso che dire due cose: missione compiuta, atteso che l'elettorato di sinistra ha finalmente fatto sbocciare quel che Prc, Pdci, sinistra Ds, Verdi, hanno seminato per vari decenni; la seconda è che obiettivamente non ci si aspettava una punizione così pesante.
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Fatte le elezioni, il "bello" deve ancora arrivare


L'esito delle elezioni politiche 2008 va rimarcato per il grande successo della Lega e per la scomparsa di ogni rappresentanza parlamentare della estrema sinistra più o meno di impostazione marxista. Circa quest'ultimo evento – essendo stato, insieme ad altri comunisti e anarchici, firmatario di un appello, pubblicato due volte da "Il Manifesto", per l'astensione punitiva di una sinistra ormai fatta da "forchettoni rossi" – non posso che dire due cose: missione compiuta, atteso che l'elettorato di sinistra ha finalmente fatto sbocciare quel che Prc, Pdci, sinistra Ds, Verdi, hanno seminato per vari decenni; la seconda è che obiettivamente non ci si aspettava una punizione così pesante.

A questo punto, da comunista anarchico libero pensatore e dotato di una certa propensione per l'eresia, non posso che rilevare tre aspetti consequenziali della nuova situazione: lo squilibrio, nell'ottica parlamentare della democrazia borghese, derivante dalla mancanza di rappresentatività politica di un settore consistente (tra elettori e astenuti) dell'elettorato; il fatto che a livello locale la sinistra sia ancora ben presente. Non ho mai condiviso e non condivido la posizione di quanti sono pronti a dire "chi se ne frega della rappresentatività politica parlamentare; tanto per quello che vale ..."; infatti, pur concordando che essa vale ben poco, piaccia o non piaccia qualcosa vale. E almeno per i seguenti aspetti: quante volte nel corso del dopoguerra ha fatto comodo (a tutti) una sponda istituzionale a cui in certi casi fare riferimento sia nel corso delle lotte, sia per ottenere quell'importante sigillo al loro esito (benché non sufficiente alla tutela concreta, dipendente sempre dalla forza dei lavoratori) che è la ricezione in ambito legislativo.

Quando si è giovani ingenuità e semplicismi possono commuovere; poi, rischiano di infastidire e basta. Il fatto è che la società e lo Stato (organismo sovrapposto alla società) non sono due realtà che si fronteggiano e si urtano; e basta. Lo Stato, invece, che si pone come monopolista assoluto della forza e del diritto, ha costituito una fitta trama di regole giuridiche che pervadono tutto il corpo sociale, trattando della vita e dell'agire umani dalla culla alla tomba. Il diritto non è solo diritto privato, al cui interno si può fare (e avere) tutto ciò che non sia proibito; è anche e soprattutto diritto pubblico, ed esso stabilisce che si può fare (e avere) solo tutto ciò che è consentito. Nulla di più. Questo vuol dire, per fare un esempio, che risultati in tema di salari, pensioni, sicurezza sul lavoro, servizi, etc. fanno parte di pretese azionabili legittimamente (anche non sempre vengono accolte) soltanto se rientranti in detta sottosfera giuridica. Altrimenti, rivendicazioni basate solo sull'azione diretta sono episodiche e ben più aleatorie di quelle legislativamente sancite.

Questa digressione per dire, anzi per ribadire ancora una volta (come spesso hanno notato compagni comunisti anarchici sudamericani) che il terreno, le modalità, l'assetto istituzionale della lotta di classe, e quant'altro, vengono stabiliti dalla classe dominante, non già dagli oppressi in lotta. Soprattutto per questi motivi una parte della vecchia CNT spagnola (oggi CGT) scelse di condurre la sua azione sindacale nel nuovo quadro giuslavorista della Spagna post–franchista, di partecipare alle elezioni sindacali e di ricevere anche i sussidi statali! Orrore, orrore, ma sta di fatto che con questa coraggiosa scelta almeno una parte consistente dell'anarcosincadalismo ispanico è uscito dall'ambito puramente testimoniale in cui, altrimenti, si sarebbe cacciato insieme al resto.

La notevole persistenza di un ceto politico (o politicante) negli organismi elettivi locali avrà il suo peso; nel senso che quanti nella sinistra marxista vorranno impegnarsi nella creazione di una sinistra rinnovata, anticapitalista, antimperialista, veramente radicale e non solo "istituzionalocentrica", dovranno fare i conti con la voglia di restare egemoni di cui i quadri dirigenti arcobalenisti sembrano essere ancora massicciamente dotati. A meno che il desiderio si mettere al sicuro poltrone e prebende non causi un certo esodo verso la palude del Pd.

A risultati ormai certi, il quotidiano del Prc, "Liberazione" ha pubblicato un terribile articolo incentrato sulle dichiarazioni di operai torinesi felicemente trasmigrati dal Prc (con precedenti passaggi attraverso Lotta Continua, Democrazia Proletaria, Pdup, etc.) alla Lega, magari sfottendo i loro compagni di lavoro rimasti legati ai partiti dei "forchettoni rossi". Tra queste dichiarazioni spiccava l'accusa alla sinistra di occuparsi solo di "froci e zingari" fregandosene dei lavoratori. Circa il travaso di voti di sinistra e operai in favore della Lega si potrebbe subito obiettare l'infondatezza di uno stupore attuale, tenuto conto del periodo non certo breve nel quale è avvenuta la sedimentazione leghista nel nord di questa ridente penisola che nel corso della sua storia moderna e contemporanea ha sempre avuto minoranze splendide e maggioranze suscettibili di essere considerate – sul piano antropologico culturale – tra le peggiori d'Europa.

All'obiezione predetta si può solo rispondere che stavolta, a colpire come una mazzata, è l'entità del fenomeno, e la sua netta espansione anche in Piemonte ed Emilia. Talché se quaranta anni fa la grande forza della sinistra (parlamentare e non) era soprattutto al nord, oggi non si capisce bene dove ancora si radichi una soggettività di massa comunista, e in quest'ottica antagonista. L'impressione di un mondo del lavoro alla deriva e senza coscienza di classe potrebbe essere deprecata – facilmente, ma altrettanto banalmente e senza penetrare il fenomeno – nell'ottica dell'astratta ragionevolezza e della coerenza. Ma il problema in termini materialistici resterebbe. Infatti, se è vero che la coscienza individuale è determinata dall'essere sociale, e quest'ultimo va a collegarsi con la trama dei rapporti economico/sociali di produzione, non pare sballato dire che questa deriva è conseguenza dell'insieme di ristrutturazioni e destrutturazioni capitaliste che hanno travolto il mondo del lavoro passando sulla testa di sindacati sempre più omologati, oltre che nell'indifferenza di fondo di Pci, Pds, Ds, e via degenerando. In mancanza di un'avanguardia degna di questo nome – e quindi fondamentalmente educatrice – ritorna la normalità del fatto che le idee dominanti siano quelle delle classi dominanti.

Il numero 22/2008 del trimestrale "Cassandra" ha pubblicato un breve saggio di Michele Nobile ("Il marxismo italiano senza Capitale") che può essere utilmente preso in considerazione anche dai comunisti anarchici. Chi scrive l'ha apprezzato in modo particolare perché analiticamente chiaro su un aspetto del marxismo italiano percepito (ma non approfondito) dall'epoca della giovinezza. In estrema sintesi, questo marxismo (di cui Nobile sottolinea il finale approdo all'appoggio ai governi imperialistici di Prodi e D'Alema, senza reazioni indignate di segno marxista), per quanto riguarda le sue teste pensanti, si è chiuso in "generalizzazioni pseudofilosofiche e superficialmente sociologiche alle analisi che utilizzano concetti marxisti, che sembrano un lusso per specialisti, tanto più se fanno i conti con il capitalismo reale impiegando dati e tabelle piuttosto che Spinosa o l'illustre filosofo–sociologo di turno". Per quanto riguarda i "compagni di base" e l'indotto, vanno messi in rilievo perlomeno due fattori. Il primo è che il mondo socialista e anarchico antecedente alla Grande Guerra si caratterizzava per un aspetto qualitativo poi venuto meno nel secondo dopoguerra, cioè un interesse diffuso (e stimolato) alla formazione di una cultura personale politica e non, cosa che implica necessariamente una certa tendenza a usare poi la testa con quello che si era immagazzinato. Con l'egemonia del Pci nel mondo operaio si è assistito al radicarsi di una "cattoliczzazione" delle coscienze, nel senso del demandare al Partito la gravosa incombenza del pensiero, e ai militanti la ripetizione (quanto convinta, è un problema a parte) delle frasi fatte di volta in volta prodotte dal Partito stesso, indipendentemente dalla loro acritica contraddittorietà nel corso del tempo. Con l'esito di passare da Stalin da a Veltroni e al libero mercato capitalista. Il tutto evitando accuratamente che tra i militanti si formasse una coscienza di classe socialista. Se ne sono accorti quelli della mia generazione con lo scontro generazionale (1968 e anni successivi) proprio con i proletari "trinariciuti" del Pci che la pensavano come i più reazionari tra i borghesi.

Su questo aspetto valgono le considerazioni di Nobile riguardanti la totalità del mondo marxista italiano (vertici e basi): la riflessione critica sul ruolo e gli effetti della burocrazia comunista, politica e sindacale. Di modo che, non aver capito che questa burocrazia era un potente nemico operante dall'interno dello stesso movimento dei lavoratori da un lato ha tenuto in piedi il fideismo acritico verso il "grande partito della classe operaia" e la Cgil, insieme ai vari fideismi sul leader politico o sindacale di turno (l'ultimo è stato Cofferati; mamma mia!). Al momento del "quid" caduta l'Unione Sovietica senza che tale evento rivedesse una risposta da sinistra né dal Pds né dal Prc, è di tutta evidenza che la svolta di Occhetto doveva produrre (magari piano piano) lo stesso effetto di un annuncio papale rivelante che Cristo in realtà è morto di freddo. Se il Prc si fosse sempre coerentemente attestato quanto meno sulle posizioni di un rigoroso partito socialista di sinistra forse oggi parleremmo di un'altra cosa. Ma così non è stato. Il varo obiettivo è stato occupare posti nelle istituzioni come sottocasta.

E ora veniamo alla Lega. Qui a complicare le cose non è il mero voto a una componente del fronte berlusconiano, ma il fatto che la Lega rischi di porsi, con la sua territorialità apparentemente interclassista o sovraclassista, quale punto di riferimento rappresentativo di ceti popolari; e per lungo tempo. Oggi politologi e sociologi si esibiscono in analisi sulla Lega che a volte rivelano l'ansia di dare una mano al vincitore, tipica dell'italiano medio, ma spesso dicono cose concrete. Mi rendo conto che parlare della Lega non è facile, perché vuol dire – metaforicamente – farsi largo a colpi di machete in una selva fatta di gretto provincialismo, xenofobia becera, egoismo sociale e anche razzismo (già conosciuto dai primi immigrati dal sud all'epoca del "boom"; ma oggi i peggiori razzisti sono forse i discendenti di quegli immigrati discriminati). È solo questo la Lega, o vanno presi in considerazione (tappandosi il naso nel farlo) anche altri elementi? Che la Lega faccia leva su modi di pensare, disagi, velleità, appartenenti al mondo della realtà è chiarissimo. Fermo però restando che interessi e disagi avvertiti nella realtà del quotidiano sono almeno di tre tipi: a) concretamente esistenti e rappresentati come tali; b) concretamente esistenti, ma rappresentati in modo distorto a fini utilitaristici; c) creati propagandisticamente facendo leva su i vari episodi e rappresentati in modo distorto.

A monte ci sono due profili (naturalmente collegabili): uno storico/politico e l'altro economico/sociale. Per quanto riguarda il primo, potrebbe essere non inutile ricordare che nell'Europa occidentale esistono almeno tre Stati con dosi variabili di artificialità nella loro genesi, nel senso di essere stati formati aggregando con la forza militare (e poi con il dominio economico e politico) precedenti realtà prive di volontà unitaria di massa; e si tratta di Gran Bretagna, Spagna, Italia. Riguardo a quest'ultima la conquista del sud è stata una conquista coloniale a vantaggio del nascente capitale settentrionale. La sconfitta del federalismo democratico di alcuni (pochi) risorgimentalisti ha rappresentato il via libera a uno Stato unitario ma per lo più negli ordinamenti giuridico, militare e poliziesco; il senso di appartenenza oltre gli stadi di calcio è sempre stato evanescente (tanto che per un minimo di unificazione linguistica si è dovuto aspettare la Rai del secondo dopoguerra). Al nord – quanti sanno che fino al 1860 la minor parte del Pil della penisola e delle isole era prodotto al sud? – è andato tutto bene finché crisi e riaggiustamenti capitalistici non hanno fatto sentire sempre più come peso un sud devastato anche dalle classi dirigenti locali, specialiste in sperpero e rapina. E qui si innesta il secondo elemento.

Le trasformazioni capitaliste successive alle grandi stagioni di lotta degli anni '60 e '70 hanno favorito quegli egoismi locali di cui la Lega si è fatta rappresentante, con la specificità che – a mano a mano che aumentava il vuoto di interesse/azione delle sinistre nel nord quell'originario fenomeno un po' folklorico, che faceva indignare e sorridere insieme, ha avuto la possibilità e capacità di radicarsi territorialmente facendo una prassi che potrebbe definirsi di "sindacalizzazione" politica di interessi in loco sentiti come concreti, quotidiani, magari un po' spiccioli; senza dubbio privi di riferimento con grandi idealità e assunti e gestiti al di fuori di qualsiasi problematica di classe. Si potrebbe parlare di una politica "tradeunionista", che va sul concreto immediatamente visibile, spesso e volentieri presentato in modo distorto o, peggio, fabbricato all'origine. Due esempi: il problema – tanto dibattuto quanto poco sceverato – della "insicurezza"; e il problema, che viene collegato al primo, dell'immigrazione. Che riguardo a essi la Lega si appoggi sui peggiori istinti di una popolazione che già era di destra anche quando votava Pci, è fuori discussione, ma la cosa più grave è che certe esteriorizzazioni, becere e negative, nel sentire comune siano ormai inquadrate nella categoria delle esigenze reali. I discorsi che supportano tutto ciò vengono sviluppati con una chiarezza e semplicità che li rende accessibili (eccome!) alle incolte masse italiche oltre tutto poco abituate (fin dall'epoca scolare) a pensare intelligentemente (dal latino "intus legere", leggere dentro, quindi capire). Ci si può domandare con rabbia se davvero sarebbe stato tanto difficile alla sinistra contrapporre dei ragionamenti altrettanto semplici, ma basati su un concreto almeno un po' più effettivo.

Mi spiego meglio. Sembra – se non mi sbaglio – che la maggiore incidenza statistica dei reati oggi riguardi (mafie a parte) la c.d. microcriminalità, gli stupri, le rapine in ville, ma che molti altri gravi reati siano in calo. A parte la statistica, c'è il fatto innegabile che in certe zone degradate stare attenti non basti. Non mi addentro più di tanto non essendo un esperto di questa materia, ma lo sono di un'altra. Conseguenze del degrado, microcriminalità e quant'altro avrebbero dovuto essere l'obiettivo di una vigorosa campagna delle sinistre contro chi causa o mantiene il degrado, e soprattutto contro una macchina della giustizia che in Italia fa schifo per lentezza e contenuti delle decisioni, il tutto riducibile a concetto di "incertezza della pena". Un brutto discorso? Forse, ma nei primi classici dell'anarchismo il discorso della punizione sociale esiste, e oggi siamo ben lungi dalla società libertaria, e si devono fare i conti con le ineliminabili conseguenze patologiche della società borghese E questo profilo riguarda anche la dibattuta questione dei nomadi. Qui sicuramente toccherò il massimo dell'eresia. Ma una cosa è certa: in Romania il nomade non opera come accade in Italia, perché altrimenti ne paga le conseguenze. Molto meglio venire in Italia. E la cosa fa ancora più rabbia se si pensa, per dirne una, che nella Barcelona anarchica del 1936 erano in azione le pattuglie di controllo dei sindacati che svolgevano anche una funzione anticrimine di tutto rilievo. Qui ci troviamo di fronte a una situazione assimilabile a quella dell'automobilista romano abituato a parcheggiare in seconda fila fregandosene delle esigenze degli altri: la vera colpa è di costui, o dei vigili che non gli fanno portare via l'auto? Nella catena causale della trasgressione l'automobilista è l'ultimo anello, ma ad essere davvero determinante è il notorio comportamento omissivo dei vigili. È molto più facile prendersela con chi viola la norma a valle trascurando di attaccare chi non fa il proprio dovere (per il quale è pagato con soldi dei contribuenti) consentendo la violazione delle norme. Invocare inasprimenti di pene soddisfa a mo' di placebo istinti forcaioli diffusi, ma non cambia nulla, se il male sta nell'arbitraria applicazione delle regole (cioè vengono applicate a volte sì e il più delle volte no; non si sa mai quando se ne abbia l'applicazione, per cui in una previsionalità statistica costa meno violare). Metà della popolazione di Isernia (almeno fino a qualche tempo fa) era composta di zingari stanziali: bene, ma in genere per l'integrazione degli zingari nella società stanziale non si è fatto mai nulla. Meglio lasciarli a marcire in accampamenti immondi e dedicarsi ad attività poco lecite, in modo da avere un'utile testa di turco; ma per le destre, non per le sinistre. Le quali, se invece di attaccare in modo chiaro ed evidente le cause di certi fenomeni, si limitano alla difesa delle teste di turco, e non si rendono visibili per l'essere promotrici di politiche sociali e strutturali (casa, sanità, servizi, etc), non si devono poi stupire se le persone normali (quelle cioè che non abitano i ville o complessi edilizi blindati e custoditi) finiscano col sentire come un problema l'insicurezza da criminalità spicciola. Basta che a delinquere siano degli immigrati, e il gioco è fatto, per i rimestatori, e poi è normale che ci sia la difficoltà a scrollarsi di dosso la taccia di pensare più agli emarginati che delinquono che non al resto della popolazione.

Immigrazione: sarebbe stato tanto difficile impegnarsi con tutte forze, massicciamente e capillarmente, per fare capire ai lavoratori certe realtà, perché ben sappiamo come i discorsi sentimentali funzionino poco, poiché il capitalismo (e le situazioni di dominio in genere) ben sa suscitare a proprio vantaggio le guerre fra poveri. Di modo che è di scarso effetto (anche perché cozza contro l'infondata considerazione che di sé ha l'italiano medio) stupirsi perché un paese che ha riempito le Americhe di immigrati analfabeti (certo non per colpa loro) e diffusori di mafie, oggi con un tasso di natalità bassissimo, veda in un'immigrazione in senso contrario (oltre tutto più acculturata) un pericolo mortale, tale da mettere in pericolo una "identità" che fa ridere, perché frutto di evoluzioni storiche e commistioni etnico/culturali. Qui entrano in gioco anche fenomeni di psicologia sociale, ed è noto che chi ha conosciuto al sferza poi tende a usarla sugli altri. Sul piano materialistico, invece, ci sarebbe stato da lavorare eccome. Ma dove e quando c'è stata una campagna di sinistra per dimostrare _ non solo affermare – che i lavoratori stranieri servono per i contributi pensionistici, per il fatto che molti lavori sono rifiutati dagli italiani (certo, meglio un call center che raccogliere pomodori!), che quando ditte del nord cercano lavoratori dal sud non si presenta nessuno, che molti stranieri sono in possesso di mestieri e professionalità che tra gli italiani si sono perdute, che se e dove ci siano casi di stranieri che "rubano" il lavoro agli italiano bisogna dare la colpa agli ispettori del lavoro le cui omissioni rendono possibile un vasto mercato del lavoro al nero che rende più conveniente l'immigrato, specie se irregolare; e via dicendo.

Forse mi sono distratto; ma non mi ricordo di nessuna controinformazione di sinistra alla propaganda leghista. A tutto questo si aggiunga che a volte l'azione della Lega non è priva di effetti di tutela immediata. Non posso dimenticare che quando si dibatteva della riforma delle pensioni con secondo governo Berlusconi – argomento che egoisticamente mi interessava molto, per cui seguii il dibattito con attenzione spasmodica – a seguito di certe prese di posizione della Lega dissi ad alcuni amici che, se riuscivo ad andare in pensione fatti i 35 anni di contributi, forse lo dovevo anche al "compagno Bossi"! E poiché stavolta la situazione economica è tale da fare dire allo stesso Berlusconi che verranno adottate misure impopolari, mi domando che succederebbe se la Lega riuscisse a contenerne la portata, e farsi bella a tutela del salario. Una catastrofe ulteriore, con ulteriori difficoltà di rimonta.

Un'ultima chicca: il costante e devastante aumento dei prezzi, con particolare riguardo ai prezzi della benzina e dei generi alimentari. Ci si lamenta e c'è "mister Prezzi". Però non ho sentito nessuna denuncia delle sinistra sul fatto che con il sistema liberista dell'Unione Europea non è possibile calmierare i prezzi, perché il dio–mercato a fissarli; e quindi mi manca una campagna decisa e di massa contro i trattati che stanno alla base di questa Europa dei mercanti e dei finanzieri. Sarà un problemaccio per tutte le componenti di sinistra realizzare (e sicuramente non a tempi brevi) un radicamento sociale e combattivo tale da scalzare la presenza leghista, e più in generale una mentalità di destra che da tempo è ultra maggioritaria in questo paese. Si parte da zero, e questo vale un po' per tutti. Ma da uno zero più assoluto di quando nacque il movimento dei lavoratori nel secolo XIX: all'epoca almeno c'era la speranza diffusa, e un soggetto sociale chiaro e netto, che davvero nel socialismo vedeva il "sol dell'avvenire". Fare sì che alle masse operaie e lavoratrici gliene importi di nuovo qualcosa sarà un'impresa titanica che, se non coniugata con vere lotte sociali attraverso cui far comprendere le questioni strutturali, sarà a rischio di fallimento. Chiaramente, il mero fervore attivistico non è sufficiente: possiamo sperare nella sinergia che verrà da crisi economiche, energetiche, alimentari e finanziarie che incombono all'orizzonte? Non c'è a stare allegri. Si comincia a parlare di insufficienza della produzione alimentare mondiale in rapporto alle esigenze della popolazione del pianeta; la crisi idrica viene dimenticata, ma esiste; le ondate migratorie aumenteranno. Ma esiste una costante storica: nell'immediato è la destra più estrema ad avvantaggiarsi delle grandi crisi economiche. Staremo a vedere.

Una cosa però dovrebbe essere oggetto di riflessioni fin da adesso: non si può escludere che dalla situazione attuale derivi, almeno virtualmente, un aumento degli spazi per l'azione e la militanza dei comunisti anarchici; ma le nostre forze e risorse sono notoriamente quelle che sono, e un salto qualitativo/quantitativo – auspicabile – non è però certo; e se dal mazzolato popolo della sinistra emergeranno con serietà progetti e tentativi per la ricostituzione di qualcosa di nuovo, che non riproduca gli errori del ceto politico sconfitto dalla tornata elettorale del 2008, non è difficile prevedere che esso assorbirà energie ed entusiasmi di quanti vogliano ancora impegnarsi in una militanza difficile e con esiti tutt'altro che immediati. Qui infatti è tutto, proprio tutto da ricostruire. Ciò premesso, varrebbe la pena valutare convenienza e possibilità di alleanze – tattiche, in via preliminare – con forze marxiste in qualche modo inquadrabili nella categoria gueriniana del marxismo libertario. Non credo che – oggi meno che mai – da soli andremo lontano.


Pier Francesco Zarcone

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