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Da Movimento contro il Muro a movimento contro l'Apartheid

category mashrek / arabia / irak | lotte sul territorio | altra stampa libertaria author Wednesday February 20, 2008 18:28author by Claudio Strambi Report this post to the editors

Anarchici Contro il Muro: dalle azioni di avanguardia all'azione integrata con i comitati popolari

Sembravano dei giovani romantici e scontenti del ceto medio israeliano, quando cominciarono nel 2003 a fare azioni dirette contro quel Muro dell'Apartheid che cominciava ad alzarsi minaccioso nella Cisgiordania occupata.


DA MOVIMENTO CONTRO IL MURO A MOVIMENTO CONTRO L'APARTHEID


Gli Anarchici Contro il Muro: dalle azioni di avanguardia all'azione integrata con i comitati popolari di villaggio.


Sembravano dei giovani romantici e scontenti del ceto medio israeliano, quando cominciarono nel 2003 a fare azioni dirette contro quel Muro dell'Apartheid che cominciava ad alzarsi minaccioso nella Cisgiordania occupata.

Quando uno di loro, Gil Namaty, fu colpito quasi a morte da una pallottola sparata dall'esercito israeliano, conquistandosi le prime pagine dei giornali nazionali, qualcuno cominciò a capire che "quei ragazzi" facevano sul serio.

Ma loro hanno sempre tenuto alla larga il vittimismo, anzi hanno sempre detto "noi siamo dei privilegiati, a noi ci fanno le carezze rispetto a quello che fanno ai palestinesi".

Stiamo parlando degli "Anarchici contro il Muro" alleanza politica composta di anarchici e pacifisti israeliani venuta alla ribalta persino nelle cronache di alcuni giornali italiani.

Poi ci fu il campo di Mas'ha (estate 2003) in cui i giovani ribelli israeliani e gli attivisti internazionali cominciarono ad entrare in relazione con la popolazione palestinese dei villaggi intono al percorso del Muro.

Da allora tanta strada ha fatto il movimento di Azione Diretta Congiunta (Palestinesi, Israeliani e Internazionali insieme).

Ben presto sia spontaneamente, sia incoraggiati dalle azioni dei compagni israeliani, le popolazioni di diversi villaggi della Cisgiordania hanno cominciato ad entrare in movimento tramite i loro "comitati popolari di villaggio", manifestando quotidianamente, quotidianamente bloccando i lavori di costruzione del Muro, cercando di riprendersi le proprie terre espropriate, resistendo giorno dopo giorno alla brutale violenza dell'esercito israeliano.

Oggi siamo di fronte ormai ad un vero e proprio Movimento contro l'Apartheid, non più un Movimento contro il Muro.

Sono ormai qualche decina i villaggi coinvolti in termini di massa nelle manifestazioni, nelle azioni dirette, negli scontri, nelle grandi assemblee popolari.

La presenza degli Anarchici contro i Muro e delle altre forze della sinistra radicale israeliana è divenuta sempre più una presenza di semplice supporto sia fisico (barriere umane), che tecnico-politico (l'uso dei mass media), che culturale (il confronto nelle assemblee). Ma l'ossatura del movimento è ormai quella dei comitati di villaggio.

Inoltre il Movimento comincia a coordinarsi tra i vari villaggi per azioni comuni e non affronta più solo il problema Muro, ma sta dirigendo la sua attenzione su altri aspetti importanti dell'Apartheid. Primo tra tutti il sistema delle autostrade accessibili solo agli israeliani (312 chilometri di autostrade complessivamente nella West Bank) che oltre ad essere una vergogna dal punto di vista morale, rendono la vita impossibile ai palestinesi aumentando i livelli di miseria e di sofferenza. Queste autostrade riservate ai cittadini israeliani attraversano le terre abitate dai palestinesi costituendo, insieme ai check points, e al Muro un reticolo di barriere che impedisce la libera circolazione degli individui, separa i palestinesi tra di loro e soprattutto mette in ginocchio l'economia gettando nella miseria più nera decine di migliaia di persone. Senza contare la militarizzazione del territorio dietro cui passano abusi, torture, sopraffazioni d'ogni tipo.

Negli ultimi mesi del 2007 si è intensificata la mobilitazione congiunta in particolare contro la 443 che è una delle principali autostrade dell'Apartheid. L'ultima notizia in questo senso che abbiamo al momento in cui scriviamo è di una manifestazione che si è tenuta nei primi giorni di gennaio organizzata dai 7 comitati di villaggio palestinesi e da varie organizzazioni israeliane tra cui "Anarchici Contro il Muro". La manifestazione è stata, come spesso accade, brutalmente aggredita dall'esercito con lacrimogeni, bombe assordanti e sparo di pallottole di gomma registrando 7 feriti tra i manifestanti e 3 fermati e rilasciati dopo "interrogatorio".

Il movimento contro l'Apartheid, negli ultimi mesi, ha sicuramente acquistato forza dalla vittoria, sia pure solo formale, ottenuta dal villaggio di Bil'in. Dopo circa 3 anni di lotta continua con manifestazioni settimanali, costantemente attaccate con violenza dall'esercito, una sentenza della Corte Suprema Israeliana il 4 settembre 2007 ha affermato che il Muro nel territorio d Bil'in era "illegale" e ha intimato lo spostamento dello stesso con relative restituzioni delle terre ai contadini palestinesi. L'applicazione di tale sentenza è tutt'altro che scontata, tuttavia grande è stato l'effetto sul piano simbolico.

Per altro, proprio ai primi di gennaio, si sono verificati scontri tra coloni israeliani e abitanti di Bil'in perché i coloni hanno piazzato due roulotte sulle terre che dovrebbero essere rese agli abitanti del villaggio in seguito alla sentenza della Corte Suprema. (1)

Spunti di riflessione generale

Il Movimento contro l'Apartheid israelopalestinese, movimento sviluppatosi con il contributo fondamentale di una forza libertaria, meriterebbe a mio parere un livello di riflessione più attenta e approfondita di quanto avviene oggi nell'anarchismo italiano e non solo.

In particolare credo che andrebbero sviluppati due filoni di riflessione che ovviamente sono tra loro intrecciati.

1) La pratica dell'autorganizzazione di villaggio congiunta alla presenza politica e fisica della sinistra radicale israeliana ha gettato le basi per l'emergere in Cisgiordania di una alternativa sociale e politica rispetto allo scoraggiante quadro politico palestinese.

La scena politica palestinese è infatti attualmente caratterizzata da due grandi opzioni politiche che in modo diverso rappresentano, per le classi subalterne palestinesi, una sciagura nella sciagura.

Da un lato la corrotta classe dirigente di Al Fatah sempre più apparato burocratico fatiscente tenuto in piedi solo dal fiume di finanziamenti provenienti dalle potenze imperialiste occidentali e anelante briciole di autorità su Bantustan sempre più angusti per la popolazione palestinese sofferente.

Dall'altro lato Hamas, vera e propria reazione arcaico-reazionaria a decenni di oppressione e genocidio, che pone ampi settori popolari della Striscia di Gaza sotto la tutela di un enclave religiosa fondamentalista. Entrambe queste due opzioni politiche stanno mostrando, in una certa misura, la corda.

Abu Mazen e compagni con la conferenza di Annapolis hanno perso forse l'ultimo barlume di credibilità, rendendosi complici dello spudorato bluff di Bush che ha usato senza veli la questione palestinese per risalire la china elettorale e muovere alcune pedine in funzione anti-iraniana.

Che Annapolis sia passata senza alcune conseguenze è reso evidente dal fatto che il governo israeliano non ha nemmeno rallentato la creazione di avamposti coloniali in Cisgiordania e non si vergogni a dirlo apertamente(2).

Ma anche la strategia di Hamas, che purtroppo mantiene ancora un grosso credito nella sua base di insediamento, mostra il suo fiato corto, per l'evidente difficoltà di Gaza a sopravvivere nell'isolamento, ma anche per la sempre più evidente impossibilità di far fare un passo in avanti alla condizione palestinese puntando principalmente sul terreno militare.

La stessa guerra "fratricida" tra Fatah e Hamas simboleggia il fallimento delle ipotesi politiche che finora si sono confrontate nella drammatica scena sociale e politico palestinese.

In questo contesto il Movimento Autorganizzato e Congiunto contro l'Apartheid può avere le potenzialità di erigersi ad alternativa concreta. Con un grosso limite: al momento attuale ha una possibilità di ulteriore espansione e crescita qualitativa in Cisgiordania, mentre è difficilmente pensabile nel tempo breve l'insorgenza di un movimento simile nella Striscia di Gaza.

2) Il ruolo politico sempre più rilevante assunto dalla coalizione "Anarchici contro il Muro", ha dato autorevolezza alla voce degli anarchici di tutto il mondo su una questione di grande importanza geo-politica come quella medio-orientale. Questo ci pone anche l'opportunità/necessità di tornare ad affrontare seriamente da un punto di vista teorico le questioni nazionali e territoriali in genere.

Si tratta di questioni tra le più spinose in campo anarchico per l'evidente tendenza all'interclassismo dei movimenti autonomisti, indipendentisti, etnici o territorialisti, e per l'approdo statalista immanente in questo tipo di movimenti (l'obbiettivo dello Stato nazionale o regionale).

E tuttavia sono questioni che ci troviamo di fronte continuamente perché l'oppressione, nel mondo dell'imperialismo, non è solo quella di classe, anche se è chiaro che la contraddizione di classe è la leva più funzionale alla lotta per la trasformazione comunista libertaria.

Gli Anarchici israeliani stanno tentando sul campo, con tutte le contraddizioni e rischi del caso, di mettere le mani in una delle più intricate, difficili e drammatiche questioni nazionali che insanguinano il mondo. Lo fanno nella maniera più dirompente possibile, cioè abbattendo nei fatti le barriere nazionali, i confini mentali, mescolandosi con la popolazione palestinese in lotta, decidendo insieme ed insieme agendo.

Ma non si pensi che essi eludano la questione nazionale. Basta leggere i loro comunicati, conoscere le loro azioni per capire che hanno ben presente che la questione nazionale è un fatto reale, piaccia o meno, da cui non si può prescindere se si vuol far politica in Palestina ed in Israele.

Personalmente credo che la fine dell'Apartheid palestinese può rappresentare l'obbiettivo intermedio attorno a cui può essere costruita una strategia gradualista in senso libertario. Questo purché si riesca a mantenere alta la prospettiva di una trasformazione comunista-libertaria della società e soprattutto la coscienza di come anche l'obbiettivo intermedio sia realizzabile solo per mezzo dell'azione extra-istituzionale delle masse palestinesi unite con i settori progressivi e ribelli della popolazione israeliana.

In questo senso ogni risultato parziale ottenuto potrà essere conservato quanto meno sarà legittimato l'assetto di Potere che andrà a consolidarsi in seguito ai cambiamenti avvenuti.

Né lo Stato Palestinese, né la formazione di uno Stato unico binazionale possono essere il motore del cambiamento, al contrario una di queste due soluzioni istituzionali potrebbe al massimo rappresentare il modo con cui il Potere si riadatta ai cambiamenti in atto. E come sempre, il Potere Statale, riadattandosi, tende a contenere il cambiamento stesso.

L'esperienza del Sudafrica da questo punto di vista ci dà alcune indicazioni su cosa può accadere in un paese che esce dall'Apartheid con un Potere legittimato tra le classi subalterne (il "mitico" Nelson Mandela).

Non c'è dubbio che la fine dell'Apartheid abbia significato l'apertura di spazi di dialettica politica e sociale per il conflitto di classe, non pensabili nella condizione precedente dove lo stato di discriminazione razziale creava dinamiche di oppressione che andavano al di là della normale oppressione capitalistico-statale.

D'altra parte dal punto di vista delle condizioni materiali delle classi subalterne di colore la situazione è tutt'altro che migliorata. Mentre la nuova borghesia nera, pienamente inserita nel ciclo neo-liberista dell'economia mondiale, portava il Sudafrica ad essere la più forte economia del continente con una crescita del 5% annuo, la povertà cresceva in maniera esponenziale. Da 1,9 milioni di poveri al di sotto di 1 dollaro il giorno, dato del 1995, siamo passati ai 4,2 milioni nel 2005. La disoccupazione nelle baraccopoli è calcolata attualmente al 40% (3).

Naturalmente questo impoverimento non è attribuibile interamente all'affermazione della nuova classe dirigente nera e alla sua iniziale legittimazione tra il proletariato di colore.

Nello stesso periodo le cosiddette politiche neo-liberiste in generale hanno distribuito miseria in vastissime aree del mondo.

Ma è chiaro che il dato è comunque significativo ai fini del discorso che stiamo facendo.

Una ipotetico superamento, parziale o totale, dell'Apartheid in Palestina potrebbe benissimo non significare un reale miglioramento delle condizioni economico-sociali delle masse subalterne palestinesi. Per questo è fondamentale che sia in Palestina che in Israele esistano delle forze che siano antagoniste a qualunque Potere e che lavorino, almeno in prospettiva, per l'unita delle classi lavoratrici palestinesi ed israeliane.

Purtroppo in questo senso la strada è ancora molto lunga e dolorosa. L'Apartheid è ben distante da essere incrinato e la tragedia delle popolazioni palestinesi continua a suon di morti tutti i giorni.

Ma in questo quadro fosco il Movimento contro l'Apartheid e gli Anarchici contro il Muro hanno acceso una speranza. Coltiviamola: soprattutto con la solidarietà fattiva ma anche con la riflessione!


Claudio Strambi

1) Chi volesse raccogliere direttamente informazioni sul movimento contro l'apartheid e su gli Anarchici Contro il Muro lo può fare andando sul sito A-Infos Notiziario anarchico (www.ainfos.ca) e sulla pagina: www.fdca.it/wall

(2) Vedi "Israele non ferma le colonie. Nuove case a Gerusalemme est" su "Il Corriere della sera" del 24/12/2007.

(3) Vedi "Il Manifesto" del 16/12/2007.


Da "Kronstadt" - Foglio anarchico e libertario del gruppo Kronstadt Toscano

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