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Murray Bookchin— Anarchismo senza classe lavoratrice

category nord america / messico | movimento anarchico | dibattito author Monday March 06, 2017 17:46author by Wayne Price Report this post to the editors

L'Anarchismo ha bisogno della rivoluzione della classe lavoratrice.

Murray Bookchin è stato un prolifico autore ed un influente teorico anarchico. Recentemente il suo lavoro è tornato alla ribalta. Se da un lato si possono apprezzare i suoi significativi contributi, dall'altro egli commise un grave errore nel rifiutare il ruolo della classe lavoratrice quale importante componente all'interno della rivoluzione anarchica. In questo articolo si mette a fuoco il percorso teorico di Bookchin al riguardo e -di converso- si dimostra come la classe lavoratrice debba essere considerata quale forza decisiva perchè la rivoluzione anarchica abbia successo.
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L'Anarchismo ha bisogno della rivoluzione della classe lavoratrice

Sebbene sia morto nel 2006, di Murray Bookchin se ne parla ancora oggi. Compassati giornali borghesi scrivono, con apparente sorpresa, che parte del movimento rivoluzionario nazionale curdo è stato influenzato dalle idee di Murray Bookchin, un anarchico statunitense (Enzinna 2015). Ad ogni modo, non è di questi sviluppi che intendo parlare. Quanto segue non si occupa di come la filosofia politica di Bookchin si possa essere applicare ai Curdi della Rojava (cosa per altro importante), bensì di come si potrebbe applicare agli USA e ad altri paesi industrializzati o in via di industrializzazione.

Non è mio scopo nemmeno ripercorrere l'intero percorso della vita e dell'opera di Bookchin (vedi White 2008). Bookchin ha dato un enorme contributo all'anarchismo, specialmente -ma non solo- per aver correlato l'ecologia all'anarchismo. Al tempo stesso, secondo me, la sua opera risente fortemente della sua scelta di negare alla classe lavoratrice il ruolo di soggetto principale nella transizione dal capitalismo al socialismo anti-autoritario. Al pare di altri rivoluzionari del secondo dopo-guerra, egli rimase colpito dalle sconfitte subite dalla classe lavoratrice mondiale tra gli anni '30 e '40, mentre guardava impressionato alla prosperità ed alla stabilità del mondo occidentale all'indomani della Seconda Guerra Mondiale. Dopo essere stato comunista e poi trotskyista, abbracciò infine una versione dell'anarchismo che non prevedeva una rivoluzione ad opera della classe lavoratrice.

Il che era invece la visione storicamente dominante nell'anarchismo. Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Makhno, la Goldman, Durruti, gli anarcosindacalisti ed i comunisti-anarchici ritenevano che “l'anarchismo è una forma di socialismo libertario, rivoluzionario, internazionalista basato sulla lotta di classe... Il sindacalismo rivoluzionario era una sorta di anarchismo di massa…e venne fatto proprio dalla grande maggioranza degli anarchici.” (cfr. Schmidt & van der Walt 2009; pag.170) Per loro la “più ampia tradizione anarchica” era “‘anarchismo fondato sulla 'lotta di classe', a volta definito come comunismo anarchico rivoluzionario...” (19)

Tuttavia, nel suo lavoro del 1969, “Listen, Marxist!” (ripubblicato in Bookchin 1986; 195—242), Bookchin denunciava “il mito del proletariato.” Così scriveva: "Abbiamo visto la classe lavoratrice neutralizzata quale "agente del mutamento rivoluzionario', benchè lottasse ancora all'interno del sistema borghese per aumenti salariali [e] riduzioni dell'orario di lavoro ….La lotta di classe... è [stata]…co-optata all'interno del capitalismo…. " (202). Nell'ultima raccolta di suoi scritti egli torna a ripetere la sua convinzione “…La Seconda Guerra Mondiale…ha portato alla fine di tutta l'era del socialismo rivoluzionario e proletario…che aveva fatto la sua comparsa nel giugno del 1848” (Bookchin 2015; 127). Rispetto all' “era del socialismo rivoluzionario proletario” egli non menziona che c'erano state rivoluzioni vinte dai lavoratori, ma solo che c'erano stati movimenti di massa di lavoratori (socialisti, comunisti ed anarchici), ed un certo numero di tentativi rivoluzionari.

Scriveva Bookchin: “…L'operaio [è] dominato dalla gerarchia di fabbrica, dalla routine industriale, e dall'etica del lavoro….In ogni giornata lavorativa, la produzione capitalista rinnova non solo le relazioni sociali del capitalismo...ma anche la psiche, i valori e l'ideologia del capitalismo” (Bookchin 1986; 203 & 206). (Sul perchè questi stessi effetti mortali della produzione industriale capitalista non abbiano impedito l'esistenza di un movimento per "il socialismo rivoluzionario proletario" per "tutta un'era" dal 1848 alla Seconda Guerra Mondiale, Bookchin non dava alcuna spiegazione).

Bookchin non negava che c'erano ancora lotte per miglioramenti salariali e riduzione dell'orario di lavoro, ma non vedeva più in questo conflitto di bassa intensità un potenziale significativo per una rivoluzione operaia. Non negava nemmeno che i lavoratori potessero diventare rivoluzionari, ma solo a condizione -sosteneva- che essi smettessero di pensarsi come lavoratori, concentrati solo su questioni relative al loro lavoro quotidiano, per considerarsi invece "cittadini" e non più classe.

Comunalismo versus Anarchismo & Marxismo

Prima di addentrarci nelle ragioni per cui Bookchin non prendeva in considerazione una rivoluzione ad opera della classe lavoratrice —e nelle ragioni per le quali io credo che egli avesse torto- è opportuno dare menzione di un un altro sviluppo della sua teoria. Dopo essersi definito per 40 anni come anarchico, Bookchin decise di accantonare questa definizione. Infatti ridefinì il suo programma come “comunalismo” (pur continuando a mantenere le definizioni correlate di "municipalismo libertario" e di "ecologia sociale"). Nella sua ultima opera (Bookchin 2015), compaiono suoi saggi (scritti nel 2002) che spiegano il suo pensiero.

Trovo questa sua scelta alquanto strana, dal momento che egli continuò ad opporsi allo Stato (quale organizzazione burocratico-militare al di sopra del resto della società), respingendo l'idea marxista di Stato "di transizione" o di Stato "operaio". Continuava ad opporsi al capitalismo ed al mercato. Ed a tutte le altre forme di dominazione, di oppressione e di gerarchia (sessismo, razzismo, omofobia, imperialismo e così via). Francamente, l'opporsi allo Stato, al capitalismo ed a tutti gli altri aspetti di oppressione è proprio ciò che caratterizza la mia definizione di anarchico.

Col “comunalismo” Bookchin intendeva una “confederazione” (una federazione decentralizzata) di quartieri e territori ecologicamente bilanciati. In cui sia l'economia che l'ordinamento politico (“governo” senza Stato) sarebbero gestiti dalle assemblee dei cittadini a democrazia diretta, dal popolo auto-organizzato. In qualunque modo si voglia definire questa impostazione (Bookchin non prevedeva assemblee di lavoratori nei luoghi di lavoro, nemmeno sotto la direzione generale da parte dell'assemblea comunale), si tratta di una possibilità prevista dall'anarchismo. (Per una esaustiva esposizione del suo programma politico ed economico, cfr. Biehl 1998.)

Bookchin si lasciava così alle spalle sia l'anarchismo che il marxismo, sostenendo che il comunalismo incorporava il meglio di entrambi ma andava ben oltre. In realtà, nel compiere questo passo, egli tendeva a dividere l'anarchismo in due categorie: l'anarchismo propriamente detto ed il sindacalismo rivoluzionario. Questa seconda accezione comprendeva apparentemente tutte le possibilità di anarchismo basato sulla lotta di classe e non solo l'anarcosindacalismo. Ma se togliamo tutti gli aspetti di classe dall'anarchismo (cancellando la grande tradizione anarchica), tutto quello che ci rimane è un "anarchismo" di tipo individualista, personalista, estremista ma senza essere rivoluzionario, un anarchismo anti-organizzatore, "come stile di vita" ed irresponsabile. Cioè proprio le cose che lo stesso Bookchin aveva sempre criticato come sbagliate nell'anarchismo! Bookchin ha sempre denunciato nell'anarchismo queste correnti riformiste, alternativo-istituzionali, cosiddette "da stile di vita", salvo avere in comune con esse il rifiuto per la rivoluzione ad opera della classe lavoratrice.

La stessa cosa vale per il marxismo. Se togliamo la classe lavoratrice dal marxismo di Marx -se abbandoniamo "L'emancipazione della classe lavoratrice sarà opera della classe lavoratrice stessa"- allora del marxismo non rimangono che il centralismo, il determinismo, lo scientismo e lo statalismo. Cioè restano solo le basi per il totalitarismo stalinista.

Il concetto principale che Bookchin trasse dal marxismo fu l'analisi del capitalismo come sistema di produzione di merci che deve espandersi se non vuole morire. Sotto la pressione della competizione, ogni fabbrica, tutte le fabbriche, devono produrre sempre di più, vendere di più, fare più profitti, crescere sempre di più, accumulare ed accumulare. Bookchin vedeva come la tendenza fondamentale assunta dal capitalismo avrebbe inevitabilmente minacciato la necessità di un equilibrio dei limiti ecologici mondiali. (Egli ne scrisse ben prima che l'attuale generazione di studiosi marxisti ecologisti iniziasse a pubblicare le loro teorie)

Purtroppo, egli non capì che parlare della tendenza del capitalismo ad accumulare significa parlare della sua necessità di sfruttare i lavoratori. Nella sua essenza il capitalismo non è altro che la relazione capitale/lavoro, mentre esso considera la natura come priva di valore. L'accumulazione di merci e di denaro proviene dal lavoro umano e dal fatto che i lavoratori ricevono un salario inferiore al valore di ciò che producono. Nell'economia delle merci del capitalismo, anche la capacità di lavoro dei lavoratori (la loro "forza-lavoro") è una merce, che deve essere acquistata dai capitalisti ad un prezzo inferiore di quello che possono produrre.

Questo non comporta necessariamente che i lavoratori diventino più poveri (vedi la supposta teoria dell' "immiserimento"). Dal momento che i beni vengono prodotti sempre più a buon mercato, risultano più accessibili ai lavoratori, che però continuano ad avere meno del totale che essi producono. E' questo plusvalore (il profitto), che i lavoratori producono ma non ricevono, che viene accumulato. Il plusvalore consente il ciclo infinito della crescita. Comunque la pensi Bookchin, la classe lavoratrice rimane essenziale e centrale per il capitalismo. E dunque essa deve essere essenziale e centrale in ogni rovesciamento del capitalismo.

Quando il plusvalore decresce (a causa dei monopoli, della sovraproduzione, della caduta tendenziale del saggio di profitto, dell'aumento dei costi per l'accesso alle risorse naturali, ecc.), allora le imprese cercano di fare maggiori profitti. Così attaccano i lavoratori per cercare di ridurre la loro quota nella produzione. Così è andata quando -verso il 1970- vennero meno le condizioni che avevano permesso i 30 anni di prosperità nel secondo dopoguerra. Bookchin (e con lui la maggior parte dei teorici di sinistra degli anni '50 e '60) non si aspettavano la fine della prosperità post-bellica, così come facevano i teorici liberali e conservatori. Bookchin scrisse anche: “…Il capitalismo mondiale uscito dalla Seconda Guerra Mondiale non è mai stato così forte in tutta la sua storia….[C'era] un'assenza di ‘crisi generale' del capitalismo….” (2015; 128).

Bookchin respingeva l'approccio sia della Luxemburg che di Lenin (nonchè della "ultra-sinistra" marxista-libertaria che era politicamente vicina all'anarchismo) i quali sulla 1 Guerrra Mondiale dicevano che iI “…capitalismo era passato da una fase progressista ad una in gran parte reazionaria….” (Bookchin 2015; 124) Invece secondo Bookchin: “Gli ultimi 50 anni ci hanno dimostrato che quell'unico periodo di rivoluzioni tra il 1917 ed il 1939 non era la prova di un capitalismo molle ed in declino, come Lenin [e altri!—nda] sostenevano. Piuttosto quello fu un periodo di transizione sociale, [con l']…emergere di nuove questioni che si spingevano ben al di là delle analisi in chiave operaista care alla sinistra classica” (149). Negando che il capitalismo avesse attraversato una fase di reazione e di declino, Bookchin era certo che la prosperità post-bellica fosse non temporanea, che la prosperità e la forza del capitalismo mondiale non sarebbero finite, che non ci sarebbe stata la ricomparsa di una fase di crisi generale del capitalismo. Egli non si aspettava un nuovo attacco capitalista contro i lavoratori, non credeva ad una nuova guerra di classe portata dall'alto verso il basso. (Questi temi sono stati affrontati da Price nel 2013).

Perchè Bookchin non credeva più nel ruolo della classe lavoratrice

Contrariamente alle aspettative di Marx, la classe operaia industriale è numericamente in calo e sta inesorabilmente perdendo la sua tradizionale identità in quanto classe….La cultura odierna [ed]…i modi di produzione…hanno fatto del proletariato in gran parte uno strato della piccola borghesia...Il proletario …sarà completamente sostituito da mezzi di produzione automatizzati e persino miniaturizzati….Le categorie di classe sono ora mescolate a categorie gerarchiche basate sulla razza, sul genere, sulle preferenze sessuali e certamente sulle differenze nazionali o regionali.” (Bookchin 2015; 5)

Queste affermazioni di Bookchin dimostrano diverse incomprensioni della prospettiva della classe lavoratrice. Nè il marxismo e certamente nemmeno l'anarco-sindacalismo hanno definito il "proletariato" entro i limiti della "classe operaia industriale". Coloro i quali vendono la loro forza-lavoro ai padroni, in cambio di paghe o salari, partecipando alla produzione di merci e soprattutto alla produzione del plus-valore, sono i lavoratori del capitalismo. (La “classe lavoratrice” è una categoria più ampia rispetto a quella dei lavoratori dipendenti. La classe include anche coloro che dipendono dal lavoro salariato —i loro figli e le casalinghe—come pure i lavoratori in pensione, quelli attualmente senza lavoro, la maggior parte degli studenti universitari in quanto lavoratori futuri e così via).

La grande maggioranza degli Americani fa parte della classe lavoratrice. Sono lavoratori qualificati e non qualificati, nell'industria manifatturiera e nei servizi, uomini e donne di tutte le razze.… Sono camionisti, sono operatori davanti ad un computer, utilizzano macchinari, fanno i camerieri, ordinano e consegnano la posta, lavorano sulle linee di assemblaggio, stanno tutto il giorno in piedi dietro gli sportelli bancari, fanno migliaia di lavori in ogni settore dell'economia. Per quanto diversificato sia il lavoro, chi fa parte della classe lavoratrice ha con tutti gli altri un ruolo in comune all'interno della produzione, quello di avere ben poco controllo relativo sul ritmo e sul contenuto del loro lavoro e quello di non essere i padroni di nessun altro. Sono loro che producono la ricchezza delle nazioni, ma di questa ricchezza ricevono solo quella parte che possono acquistare col [loro] salario….Quando li mettiamo tutti insieme, essi rappresentano oltre il 60% della forza lavoro [degli Stati Uniti]” (Zweig 2000; 3).

Una delle ragioni del declino del nucleo della classe lavoratrice industriale negli USA è stata l'espandersi della delocalizzazione della produzione da parte delle imprese statunitensi. Per quanto ciò possa aver avuto effetti sugli USA, ha causato d'altra parte un rilevante aumento numerico della classe lavoratrice internazionale, in Asia ed in altre regoni più povere (“il Terzo Mondo”). Il che non si può certo dire sia una prova contro una prospettiva di classe! Bookchin ha usato anche gli esempi della rivoluzione russa e della rivoluzione spagnola degli anni '30. Da queste esperienze ha ricavato la convinzione che le classi lavoratrici più rivoluzionarie siano quelle composte da molti nuovi lavoratori, giunti dalle campagne. “Generalmente il ‘proletariato’ si è dimostrato più rivoluzionario nei periodi di transizione, quando.... i lavoratori venivano sradicati da un ambiente contadino….” (Bookchin 1986; 211). Presumibilmente questa deve essere stata un'altra ragione per ritenere i lavoratori statunitensi quali conservatori. Ma, per quanto questo possa essere vero, implica al tempo stesso che ci si può aspettare che le nuove classi lavoratrici in espansione nelle nazioni oppresse siano militanti e radicali. (In Bookchin 2015, c'è un capitolo sul nazionalismo e sull'internazionalismo, in cui nulla si dice sulla classe lavoratrice internazionale o sulla sua attuale espansione.)

L'argomento principale a sostegno della visione anti-proletaria di Bookchin sta nel fatto empirico che i lavoratori statunitensi sono un insieme che al presente non si riconosce nell'anarchismo, nemmeno nel socialismo, nel comunismo o nella rivoluzione e che non si identifica neanche con la classe più ampia di cui fanno parte (“stanno inesorabilmente perdendo la loro tradizionale identità in quanto classe”). Nè vi è attualmente una pur significativa minoranza che possa ritenersi in qualche modo radicale. Infatti, molti lavoratori bianchi sono abbastanza conservatori.

Tuttavia, un orientamento di classe non pone come fatto inevitabile che i lavoratori—o spezzoni di essi—svilupperanno una coscienza di classe per diventare socialisti (anarchici, comunisti) rivoluzionari. Ci sono forze che spingono i lavoratori verso la radicalizzazione: la concentrazione di lavoratori nelle fabbriche e nei posti di lavoro (e, sì, nelle città), laddove sperimentano cos'è lo sfruttamento, l'alienazione, la povertà, la repressione, la disoccupazione, come pure i mali apparentemente "non-di classe" del capitalismo, quali le guerre e la distruzione dell'ambiente. Ma ci sono anche forze che li allontanano dalla radicalizzazione: il razzismo, il sessismo, il patriottismo, la maggior parte delle religioni, l'ignoranza, ecc. I lavoratori meglio pagati (la presunta "aristocrazia operaia”) stanno bene e non vogliono mettere a repentaglio le conquiste ottenute. I lavoratori peggio pagati si sentono demoralizzati e sopraffatti. Alcune delle questioni che Bookchin ha sollevato, quali i possibili effetti conservatori derivanti dal lavorare in condizioni di autoritarismo come in una fabbrica, potrebbero anche essere prese in considerazione in quanto parte delle forze che portano alla de-radicalizzazione.

Ci si augura che nel corso del tempo le forze che fanno crescere la coscienza di classe ce la faranno, ma questo non è un esito assicurato - non necessariamente in tempo per impedire una crisi economica, una guerra mondiale e/o una catastrofe ambientale. Non siamo davanti ad un processo meccanico ma di fronte ad una questione di scelte che coinvolge un grande numero di persone. "Definire il proletariato come classe rivoluzionaria è un condensato di più significati: quello del proletariato come classe che ha il potenziale storico di fare la rivoluzione, quello di etichetta per un orientamento sociale, ma non quello della descrizione degli eventi in corso". (Draper 1978; 51).

Come lo stesso Bookchin ammette, c'è stata “tutta un'era di socialismo proletario rivoluzionario.” Decine di milioni di operai (e contadini ed altri) hanno partecipato ai movimenti di massa che si sono richiamati ad un un qualche tipo di socialismo. Persino gli USA hanno avuto in passato grandi lotte operaie, in genere influenzate da una minoranza rivoluzionaria. Dubito che ci sia stato un tale cambiamento nella tecnologia senza che un nuovo periodo di crisi capitalista provocasse un nuovo effetto di radicalizzazione.

…La classe operaia, in quanto strato più basso nel sistema di classe, non può muoversi senza dotarsi oggettivamente di un programma, anche quando coscientemente ne farebbe a meno: si tratta della assunzione di responsabilità sociale da parte di un popolo democraticamente organizzato…un programma che, in concreto, preveda l'abolizione del capitalismo...La questione non è come il proletariato, al pari di ogni altra classe, possa essere ingannato, tradito, sedotto, corrotto, deviato o manipolato dalle forze dominanti della società. Il punto fondamentale sta nel fatto che è il proletariato che è decisivo per ingannare, sedurre e via dicendo.” (Draper 1978; 47-48)

Tali correnti trasversali nella coscienza dei lavoratori ed altri mi inducono a concordare con Bookchin sulla necessità di “…un corpo organizzato di rivoluzionari….” (2015; 54). Le rivoluzioni sono fallite a causa della mancanza di “un affidabile, revocabile, gruppo di militanti confederati che esplicitamente sfidasse tutte le organizzazioni stataliste in quanto tali” (Bookchin 1996; 10). A differenza di Bookchin, io vorrei un'organizzazione con una programma di classe anarchico globale. Un'organizzazione di rivoluzionari anarchici che non sarebbero un partito in quanto non cercherebbero di "prendere il potere" per se stessi impadronendosi dello Stato (sia di quello esistente che di uno Stato nuovo e rivoluzionario). Tale organizzazione esisterebbe solo per mettere insieme la minoranza dei rivoluziori socialisti libertari, al fine di incoraggiare la formazione popolare di assemblee radicalmente democratiche e di lottare contro i partiti autoritari dei leninisti, dei liberali, dei social-democratici e persino del fascisti. Questa organizzazione non dovrebbe essere separata dall'autorganizzazione della classe lavoratrice ma essere parte integrante nel processo rivoluzionario.

Bookchin ha ragione quando sostiene che "le categorie di classe sono ora mescolate con categorie gerarchiche basate sulla razza, sul sesso, sull'orientamento sessuale ...." In realtà la classe è sempre stata mescolata con questi aspetti "non-di-classe", non solo "ora", ma anche durante "l'era del socialismo proletario". Ci sono state alcune "vulgate marxiste" e alcuni sindacalisti testoni che a torto hanno considerato la classe come l'unico aspetto. Ma non c'è nulla di inerente ad un orientamento di classe globale che richieda di ignorare queste questioni vitali. La classe interagisce con, e si sovrappone a razza, sesso, orientamento sessuale, oppressione nazionale, ecologia, imperialismo, e così via. (Come già detto, per esempio, la crisi ecologica può sembrare un problema trasversale di classe, dal momento che riguarda tutti. Ma essa è causata dalla tendenza del capitalismo ad accumulare, cosa che affonda le sue radici nello sfruttamento da parte del capitalismo della classe operaia). Schmidt & van der Walt (2009) esplorano la storia degli anarchici che si sono occupati di sesso, razza, oppressione nazionale e altri problemi, attraverso l'organizzazione sul territorio, costituendo scuole, e in generale integrando la liberazione della classe operaia con tutte le altre lotte di liberazione.

In nessuno dei suoi lavori Bookchin trova una ragione decisiva per guardare alla classe operaia (vale a dire, alle persone in quanto lavoratori). E' una scelta strategica. Come lavoratori, le persone hanno un enorme potere potenziale. Oltre ad avere i numeri (essendo la maggior parte della popolazione nazionale), i lavoratori hanno nelle loro mani i mezzi di produzione, di trasporto, di comunicazione, dei servizi sociali e delle transazioni commerciali. La classe lavoratrice potrebbe fermare tutto per ricominciare in un modo nuovo, se solo scegliesse di farlo. L'unico potere paragonabile di cui dispongono i capitalisti è il controllo statale della polizia e dei militari (ma nelle fila dei militari ci sono per lo più i figli e le figlie della classe lavoratrice a cui fare appello in caso di una ribellione della classe operaia). Come "cittadini", invece, le persone non hanno tale potere potenziale.

Uno dei contributi di Bookchin sono i suoi studi storici sulle rivoluzioni (vedi Bookchin 1996). Leggiamone un passo: "Dalle guerre di gran parte dei contadini medievali durante la Riforma del XVI secolo fino alle rivolte moderne di operai e contadini, i popoli oppressi hanno creato le proprie forme popolari di associazione sul territorio-potenzialmente l'infrastruttura popolare di una nuova società ... .Durante il corso delle rivoluzioni, queste associazioni hanno preso la forma istituzionale di assemblee locali ... o consigli rappresentativi dei delegati con mandato revocabile"(1996, 4). Questa è la base del programma rivoluzionario anarchico. L'attenzione di Bookchin andava alle assemblee ed ai consigli di città e dei quartieri popolari. Eppure, nelle società industrializzate, a partire dall'inizio del 20° secolo, la forma dominante di tali assemblee e consigli è stata quella dei comitati di fabbrica e sul posto di lavoro. Ripetutamente, gli operai hanno preso il controllo dei loro posti di lavoro ed hanno creato assemblee democratiche con capacità di gestione, associate in senso orizzontale. Dopo la rivoluzione russa d'ottobre, i bolscevichi riuscirono a consolidare il loro potere quando sconfissero i consigli di fabbrica scontrandosi con l'opposizione di anarchici e comunisti di sinistra (vedi Brinton 2004). Tuttavia, Bookchin ha dichiarato soltanto che non era contrario a consigli di fabbrica temporanei, a condizione che "i consigli [operai] fossero alla fine assimilati in un'assemblea popolare ...." (1986, 168).

La strategia di Murray Bookchin

Nel fare a meno della classe lavoratrice, Bookchin deve guardare ad altre forze sociali in grado di produrre un mutamento — un altro soggetto rivoluzionario. Nel 1970 (nella sua prima “Introduzione” a Bookchin 1986), egli guardava “al mondo della controcultura e della rivolta giovanile” (32), agli “hippie[s]” (27), ed al “tribalismo” (25). “Lo stile di vita è indispensabile nel preservare l'integrità dei rivoluzionari….” (18). Ma in occasione della sua seconda (1985) “Introduzione”, egli si dimostrava disilluso rispetto al mondo della “controcultura”. E si stava muovendo in una direzione che lo portò a denunciare lo "stile-di-vita", per guardare ai "fenomeni trasversali alle classi - al riemergere del 'Popolo’….” (1986; 41)

Nei suoi ultimi scritti, Bookchin ha rielaborato il suo punto di vista per cui le persone non dovrebbero organizzarsi sulla base dei loro propri interessi materiali o bisogni, ma come "cittadini" senza -classe, sulla base di appelli morali. "... I lavoratori di diversi settori avrebbe posto nelle assemblee popolari non come lavoratori - siano essi tipografi, idraulici, operai di fonderia e simili ... -bensì come cittadini, la cui preoccupazione principale sarebbe l'interesse generale della società in cui vivono. I cittadini devono essere liberati della loro identità particolaristica ... .e dei loro interessi particolari"(Bookchin 2015; 20). Questa è la "trasformazione dei lavoratori da meri esseri di classe in semplici cittadini" (21). Naturalmente, questa trasformazione "transclassista" non si limita ai lavoratori, ma comprende anche i manager, i capitalisti, politici e generali. Presumibilmente, anche loro sarebbero da trasformare da "esseri di classe in semplici cittadini", in questo Fronte Popolare comunalista.

Negli anni '80, Ellen Meiksins Wood scrisse una brillante critica rivolta ai dirigenti marxisti britannici e francesi che si accingevano ad abbandonare la classe lavoratrice per ragioni molto simili a quelle di Bookchin (anche loro erano stati influenzati dalla lunga prosperità e stabilità seguita alla 2GM). Leggiamone un passo:

"[Queste teorie] comportano che le condizioni di sfruttamento capitalistico non sono più consequenziali nel determinare la situazione di vita e l'esperienza dei lavoratori rispetto a tutte le altre condizioni ed imprevisti che possono toccare le loro vite ... .L'implicazione è che i lavoratori non sono sfruttati dal capitalismo più di quanto lo siano tutti gli altri esseri umani che non sono essi stessi oggetto diretto di sfruttamento. Ciò implica anche che i capitalisti non trarrebbero alcun vantaggio fondamentale dallo sfruttamento dei lavoratori, che i lavoratori non subirebbero alcun svantaggio fondamentale dal loro sfruttamento da parte del capitale, che i lavoratori non trarrebbero alcun vantaggio fondamentale dal cessare di essere sfruttati, che la condizione di essere sfruttati non comporterebbe un 'interesse' alla cessazione dello sfruttamento di classe, che le relazioni tra capitale e lavoro non hanno conseguenze fondamentali per l'intera struttura di potere sociale e politico, e che gli interessi in conflitto tra capitale e lavoro sono tutti negli occhi degli spettatori. (Non importa che tutto ciò renda assurda ... l'intera storia delle lotte operaie contro il capitale)"(Wood 1998; 61).

Gli anarchici hanno a lungo criticato il marxismo per la sua mancanza di un aspetto morale. Marx stesso era certamente motivato da passioni morali, ma non entravano nel suo sistema. Come sistema, il marxismo sembrava dire che i lavoratori avrebbero combattuto per il socialismo, in virtù del divenire del processo storico. Da nessuna parte Marx ha scritto che i lavoratori e altri avrebbero dovuto essere a favore del socialismo, in quanto moralmente giusto. Tuttavia la critica anarchica al determinismo marxista ed al suo non-moralismo non significa che non dobbiamo guardare verso l'auto-interesse dei lavoratori. E' nel loro interesse fermare lo sfruttamento e creare una società libera e senza classi, che sono tutti obiettivi morali. I cittadini di Bookchin, come parte del Popolo, non hanno motivo di opporsi al capitalismo se non che è moralmente giusto farlo. Né hanno alcun potere strategico per fermare il capitalismo, come fanno i lavoratori in sciopero. Non vi è apparentemente alcun motivo in più per una lavoratrice afro-americana di essere a favore delle assemblee dei cittadini di Bookchin di quanti ne abbia un top manager di una grande società o di un agente di polizia. Fanno tutti parte dei "fenomeni transclassisti" del "popolo".

Bookchin aveva elaborato una strategia per raggiungere l'obiettivo del comunalismo (Biehl 1998). Strategia basata sulla sua analisi che il conflitto fondamentale nella società capitalista non è tra la classe operaia e il capitale, ma tra la comunità locale e l'opprimente Stato centralizzato. Egli non ha mai sostenuto quelle rivolte che vomitano assemblee rivoluzionarie, come nell'esempio da egli citato spesso della rivoluzione francese. Invece, ha proposto che i cittadini creassero pacificamente e legalmente assemblee di massa a livello di villaggi, di piccole città e di quartieri delle città. Con l'obiettivo di rendere queste assemblee ufficiali, gli epigoni di Bookchin si sarebbero candidati alle elezioni locali. Nel tentativo di prendere in carico Comuni e organismi analoghi. Essi avrebbero cercato di cambiare gli statuti di città e comuni, al fine di sostituire i governi delle città, dei paesi, dei villaggi e dei quartieri con assemblee popolari. Per quanto possibile, avrebbero cercato di prendere in consegna le imprese locali e le industrie, per "municipalizzare" l'economia. Ciò presumibilmente per porre le basi di un comunismo libertario (con la "c" minuscola).

Mano a mano che ogni località si trasforma in assemblee comunali, si dovrebbero presumibilmente associare tra loro, cominciando a formare una confederazione generale. (Tuttavia, tali organismi non avrebbero cercato di prendersi lo Stato o il governo nazionale tramite le elezioni; Bookchin ha respinto tale possibilità come riformismo statalista.) Questi diffusione di entità comunali dovrebbero minare lo stato e il capitalismo. Ad un certo punto, lo Stato e la classe dei capitalisti avrebbero cercato di fermare il processo. Ci sarebbe stato uno scontro, non violento o violento, a seconda delle circostanze. Se la confederazione comunale fosse risultata vincitrice, sarebbe stata una rivoluzione!

Con tutto il rispetto per le idee e gli insegnamenti di Murray Bookchin, considero tutto questo come una bizzarra fantasia. L'idea di costruire assemblee e associazioni locali è una possibilità di organizzazione della comunità, a cui gli anarchici sono favorevoli. Ma il governo municipale è parte dello Stato; il farsi eleggere ad un tale governo municipale pone gli stessi problemi che gli anarchici hanno sempre sollevato rispetto agli sforzi di marxisti ed altri a farsi eleggere a qualsiasi livello di governo. Per dirla con Kropotkin, "... Gli anarchici si rifiutano di essere parte delle esistenti organizzazioni statali ... .Essi non cercano di costituire, ed invitano gli operai a non costituire, partiti politici nei parlamenti ... Gli anarchici hanno cercato di promuovere direttamente le loro idee tra le organizzazioni sindacali e di indurre i sindacati a una lotta diretta contro il capitale, senza porre alcuna fiducia nella legislazione parlamentare "(Kropotkin 2002; 287).

Anche se può essere più facile per i rivoluzionari assumere il controllo dei governi locali, questi hanno anche la minor quantità di potere rispetto ai governi statali e nazionali. Se una città adotta un programma anticapitalista, il mondo d'affari sia locale che nazionale se ne tirerà fuori, sabotando l'economia locale. Nel frattempo le città ed i paesi sono legalmente regolamentati dal governo dello stato e sono ufficialmente creature di quel governo. Se il governo locale diventa troppo radicale, il governo dello Stato prenderà il sopravvento. Nella mia esperienza, ho visto il bilancio di New York essere rilevato da una speciale agenzia di Stato presumibilmente a causa di problemi finanziari. In questo momento, i sistemi scolastici e le amministrazioni cittadine sono sotto sequestro di tribunali e governi statali. L'idea che la gente possa votare in condizioni di municipalismo libertario a livello locale è una scelta riformista come l'idea impraticabile che si possa votare per il socialismo a livello nazionale. (prendere in considerazione l'esempio attuale di Syriza in Grecia).

I tentativi di Bookchin e dei suoi epigoni nel mettere in pratica questa strategia sono falliti (i Curdi nel Rojava sembrano usare una strategia differente; di nuovo, nulla in questo saggio ha a che fare con la situazione in Rojava). Neanche il mondo anarchico, con tutti i i suoi problemi, ha fatto proprio il municipalismo libertario. Può essere questa la ragione per cui alla fine Bookchin ha dichiarato di non essere più anarchico. Per essere onesti, va anche detto che nemmeno l'anarchismo di classe può vantare dei successi recenti. Tuttavia l'anarchismo di classe ha una grande storia alle sue spalle e sembra essere in ripresa a livello internazionale.

Conclusioni

Murray Bookchin è stato un teorico prolifico ed con una certa influenza. Ha compiuto un'importante integrazione tra anarchismo e pensiero ecologista, oltre che con gli aspetti del marxismo. Egli ha dimostrato che la crisi ecologica è radicata nella tendenza del capitalismo alla accumulazione. Ha sviluppato un modello di una società post-capitalista che dovrebbe essere studiato e pensato, non come una cianografia o una nuova ortodossia, ma come raccolta di idee su come il socialismo libertario potrebbe funzionare. Ci ha dato altri contributi, come ad esempio gli studi storici sulle rivoluzioni. In questo saggio, ho appena toccato il vasto corpo del suo lavoro. Ma non sono d'accordo con l'affermazione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che Bookchin "è stato il più grande scienziato sociale del 20° secolo" (Enzinna 2015; 46).

Bookchin ha commesso un errore fondamentale nel rinunciare alla classe lavoraatrice come almeno una delle principali forze nel fare una rivoluzione. Non ha capito la centralità dei lavoratori nel capitalismo, e quindi il loro interesse a porvi fine, il loro potere potenziale per farlo, in alleanza con tutti i popoli oppressi. Oltre a questo, ha travisato la natura del periodo. Ha visto il boom del dopoguerra come una nuova fase dello sviluppo capitalistico, piuttosto che come una stabilizzazione temporanea di un sistema profondamente in crisi. La sua analisi della crisi ecologica avrebbe dovuto dimostrare proprio questo. Rinunciando alla classe operaia, ha cercato la non-classe, la classe trasversale, le forze di immaginari ed astratti, "cittadini", motivati solo da preoccupazioni immaginarie, astratte, morali. Con questa strategia, avrebbero cambiato il capitalismo facendosi eleggere nei governi locali. Una tale prospettiva non può creare un movimento e tanto meno una rivoluzione.

Wayne Price
(traduzione a cura di Alternativa Libertaria/fdca - Ufficio Relazioni Internazionali)


Bibliografia

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