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Italia: rottamazione della scuola pubblica

category italia / svizzera | scuola e università | comunicato stampa author Thursday July 23, 2015 20:50author by Alternativa Libertaria/FdCA Report this post to the editors

SCUOLE PUBBLICHE CHIUSE PER ROTTAMAZIONE PROSSIMA APERTURA COME SCUOLE-AZIENDE

Occorrerà ricostruire scuola per scuola l'unità dei mesi scorsi, ri-alimentare fiducia e fermezza nella consapevolezza che questa legge si potrà rendere inapplicabile solo con un'opposizione istituto per istituto.


SCUOLE PUBBLICHE CHIUSE PER ROTTAMAZIONE

PROSSIMA APERTURA COME SCUOLE-AZIENDE

DA SETTEMBRE LOTTARE CONTRO TUTTO QUESTO

ISTITUTO PER ISTITUTO

PER RIAFFERMARE UNA SCUOLA PUBBLICA, LAICA,

PLURALISTA E PARTECIPATIVA


Con l'approvazione alla Camera della legge sulla scuola si è chiusa la prima fase dell'ennesimo ciclo di ristrutturazione capitalistica della scuola italiana.

In un lungo ventennio, costellato di provvedimenti emanati da diversi governi e diversi parlamenti, si è proceduto a tappe progressive allo smantellamento della scuola pubblica.

Tutto il settore della formazione è stato costantemente ridefinito quale fattore di accumulazione del capitale e ricondotto alla sua funzione essenziale di funzionamento dello stesso processo produttivo: tagli alla spesa, riduzione degli organici, riduzione dell'offerta formativa, competitività, gerachicizzazione, consolidamento di interessi particolari hanno caratterizzato 20 anni di rottamazione della scuola della Repubblica a favore di un'offerta formativa comprendente scuole private e religiose.

La formazione è divenuta un nuovo settore d'investimento suscettibile di produrre profitto sul piano economico per le imprese (preparazione e formazione funzionale al mercato = disponibilità di spesa per conseguirla) e al tempo stesso laboratorio di sperimentazione dei criteri di differenziazione sociale.

Questo è il contesto storico in cui si inserisce questa fase, gestita dal governo Renzi.

Assunzioni unilaterali fatte ad offerta variabile piegando graduatorie pubbliche alla ragione dei numeri, ridefinizione della gerarchia interna con attribuzione al dirigente scolastico di poteri da caporale manager (già cresciuti nel corso di 20 anni a scapito delle rappresentanze sindacali e degli organi collegiali, ma ora sanciti per legge), introduzione di procedure per il riconoscimento del merito individuale, riduzione del Collegio dei Docenti a mera assemblea da alza-la-mano-zitto-ed-approva, subordinazione della libertà di insegnamento ai piani triennali di offerta formativa che poi mettono in competizione le scuole, alternanza scuola-lavoro (gratuito), bonus, sono tutti elementi che aziendalizzano la scuola e ne fanno un segmento della produzione capitalistica, distruggendone la ragione di istituzione pubblica ed il ruolo di comunità educante con gestione collegiale e partecipativa.

Siamo giunti alla fine del processo?

Ancora no. Mancano i decreti delegati - previsti dall'attuale legge- che avocheranno al governo la definizione di orari di lavoro, organizzazione del lavoro e retribuzioni. Il che significherebbe la fine della contrattazione collettiva e l'espulsione -di fatto- del sindacato dal mondo della scuola. Così come è successo con il Jobs Act nell'industria e così come è previsto che accada nel Pubblico Impiego (altro ddl in Parlamento).

Inoltre sulla lunga scadenza l'aziendalizzazione, come dimostra ad esempio la sanità, non ha portato vantaggi per l'utenza in termini di gestione del diritto alla salute, ma solo un maggior controllo della parte politica nella nomina dei dirigenti e sull'affare sanità.

E pur in condizioni oggettive molto ostili (gran parte dei mass-media, parte del mondo intellettuale, false opposizioni parlamentari e strumentalizzatori vari), i lavoratori e le lavoratrici della scuola hanno reagito in maniera veemente, auto-organizzandosi in comitati e coordinamenti trasversali, costringendo le organizzazioni sindacali maggioritarie nel settore ad impegnarsi senza infingimenti e restituendo ai sindacati di base un costante ruolo di sostegno al movimento, tramite innumerevoli manifestazioni, presidi, veglie, scioperi nazionali e degli scrutini, con adesioni straordinarie.

Ma non è bastato a bloccare o a scardinare il ddl-scuola nelle sedi parlamentari.

Ora si apre la seconda fase di questo ciclo di ristrutturazione capitalistica della scuola, che prevede l'implementazione dei provvedimenti legislativi tra 2015 e 2016.

Il mese di settembre si aprirà con altre mobilitazioni e dimostrazioni di conflittualità tanto giuridico-legale quanto di piazza.

Tuttavia, la prova più difficile sarà quella di portare il conflitto dentro le scuole, organizzando una resistenza culturale e sindacale, individuale e collettiva, gestionale e professionale, che sia in grado di inceppare il primo livello gerarchico di controllo e di implementazione della legge: quello degli organi collegiali totalmente nelle mani dei dirigenti scolastici, che, loro malgrado o loro buongrado, si collocano ora definitivamente a livello di controparte. E come tali andranno affrontati con competenza ed unità nell'opposizione a delibere di applicazione della legge approvata (piano triennale, comitato di valutazione, accesso al merito, autovalutazione di istituto, prove INVALSI....).

Occorrerà ricostruire scuola per scuola l'unità dei mesi scorsi, ri-alimentare fiducia e fermezza nella consapevolezza che questa legge si potrà rendere inapplicabile solo con un'opposizione istituto per istituto.

Sarà necessario allargare a famiglie e studenti le ragioni di tale opposizione (comitati locali specifici, in particolare per il ruolo da assumere nei consigli di istituto e nel comitato di valutazione), sarà necessario costruire comitati di base dei lavoratori e delle lavoratrici che diano forza alle rsu di istituto, sarà necessario richiamare le organizzazioni sindacali a mettere unitariamente a disposizione di questo livello di lotta tutta la loro capacità di mobilitazione e di sostegno ai lavoratori di fronte anche a possibili minacce ed iniziative di carattere repressivo e punitivo.

Sarà necessario contrapporre al decalogo aziendalista della legge, un decalogo valoriale fondato su principi e pratiche irriducibili ed indisponibili quali la libertà di insegnamento, la scuola come comunità educante, potere collegiale, partecipativo ed antigerarchico sulle decisioni e le delibere, diritto allo studio uguale per tutti ed in ogni scuola, priorità in abbondanza di finanziamenti alla scuola pubblica, mantenimento della contrattazione collettiva a tutti i livelli e su tutte le materie sindacali.

Far implodere questa legge su se stessa sta alla capacità di lotta e di unità dei lavoratori della scuola e delle loro organizzazioni sindacali e professionali.

No pasaran!


Alternativa Libertaria/FdCA



15 luglio 2015

Related Link: http://www.fdca.it
author by giannipublication date Sun Jul 26, 2015 17:56author address author phone Report this post to the editors

Mi sorprende che un sito anarchico, che riporta una notizia da un altro sito anarchico, cada nell'errore di considerare la scuola di Stato una scuola pubblica. Nulla è veramente pubblico con lo Stato, gli anarchici dovrebbero saperlo. Tanto è vero che già nel 1971 Ivan Illich, scrivendo 'descolarizzare la società', descriveva puntualmente il vero ruolo della scuola in questa società, che è proprio quello di supportare e persino creare il capitalismo. La scuola di massa obbligatoria è sempre stata il luogo dell'addestramento dei servi alla produzione di massa. Mi dispiace che le cose che sto scrivendo siano identiche a quelle che già nel 1968 si andava dicendo. C'era molta più consapevolezza all'epoca circa il ruolo aziendale della scuola. Poi, dopo i fatti del 1977, è successo che il potere è riuscito a far dimenticare alle masse il crimine insito della scuola di Stato obbligatoria, e la gente ha ricominciato a pensare alla scuola come un territorio pubblico da difendere, e persino un luogo di conoscenza, mentre invece è purtroppo un luogo di cultura (anche la differenza tra conoscenza e cultura è stata fatta dimenticare, ci sono riusciti). Una lotta libertaria alla scuola obbligatoria e di massa non può che passare attraverso la sua distruzione, come dicono da secoli i maggiori pedagogisti anarchici, da Godwin a Bernardi. Semmai, se proprio non si riesce più a concepire una società senza strutture specifiche chiamate scuole, costruiamo allora molte più scuole libertarie. Esistono sapete? Perché sennò qual è il senso della lotta per avere una scuola di Stato? Se questo senso esiste, ci si dovrà rendere conto (usando la logica) che essa non può che condurre in ultima istanza fuori dallo Stato, oltre l'idea stessa di scuola, a meno che certi anarchici non pensino che prima di questa riforma, ma anche prima delle ultime riforme, la scuola fosse davvero un luogo di emancipazione e conoscenza. In tal caso, visti tra l'altro anche i risultati, stiano lungi da me questi sedicenti anarchici.
Gianni.

author by donato romito - Alternativa Libertaria/Fdcapublication date Tue Aug 04, 2015 01:26author address author phone Report this post to the editors

Le scuole libertarie aiutano la rivoluzione sociale o le sottraggono risorse ed energie? Educano veramente alla libertà di pensiero, come vuole l'anarchismo? E che fare delle scuole pubbliche?

Si tratta di un dibattito che dai primi anni '10 fino agli anni '30, con punte particolarmente vivide durante l'esperienza delle "Scuole Moderne" di Ferrer e soprattutto dopo la sua fucilazione, chiamerà in causa Luigi Fabbri, Errico Malatesta, Camillo Berneri, Luigi Molinari ed altri esponenti del movimento anarchico italiano.

La posta in gioco è alta: non basta l'educazione -sia pure libertaria- a fare o a preparare la rivoluzione sociale; le scuole libertarie non devono cadere per gretto ateismo o dogmatismo scientifico in un anarchismo confessionale o preda di "(…) massoni senza ingegno e anarchici senza cultura…" (C.BERNERI, in PAGINE LIBERTARIE, 1935); si tratta di estendere la scuola "(…) primaria dove ancora malgrado le leggi è ignorata o di epurarla dal virus clericale, laicizzandola" (L.FABBRI in IL PENSIERO, 1907).

Se Malatesta dava la priorità alla rivoluzione sociale e Fabbri -pur riconoscendo l'onestà dei tentativi delle scuole libere- non dimenticava gli interessi proletari in gioco nelle scuole pubbliche, Berneri chiedeva che fossero pedagogisti veri coloro i quali volevano occuparsi di educazione libertaria ed invitava la scuola ferreriana di Clivio (Varese) a nominare un comitato di gestione formato da competenti.

Nel dibattito si levavano anche voci con proposte che oggi ci suonano familiari e che testimoniano del livello avanzato della riflessione sui temi pedagogici: nel 1910 D. Zavattero auspica la costituzione di una sorta di rete di istituzioni popolari che si occupino di educazione e di formazione, nel 1908 E. Meyer invita ad un'educazione alla mondialità, nel 1914 E. Di Ravasca vuole scuole comunali, piccole e libere, non più scuole statali, in cui il controllo popolare è maggiore, ed infine Molinari, precursore delle Università Popolari.

Il fascismo, la 2^ Guerra Mondiale mettono fine alle esperienze di pedagogia libertaria intrecciate con le sorti del movimento operaio e libertario.

In Italia, più della tradizione delle "Free Schools" in USA negli anni '60 o delle "Freie Schulen" in Germania negli anni '70, o della "Comunidad del Sur" in Uruguay negli anni '50,o dell'esperienza di Paulo Freire nel Brasile contemporaneo, delle stesse teorizzazioni dei "descolarizzatori" (Illich, Richmond, Reimer, ecc.), si afferma la proposta della pedagogia popolare, quale lunga esperienza del movimento internazionale di "cooperazione educativa", fondato dal francese Célestine Freinet, e tuttora attivo.

I principi della pedagogia libertaria e popolare giungono così intatti e dirompenti alle soglie degli anni '70 ad ispirare le tante esperienze di educazione antiautoritaria e popolare che si faranno strada nella scuola pubblica, negli asili e nei doposcuola autogestiti dai comitati di quartiere. Per non restare solo teoria, per inverarsi nella contemporaneità, per rinnovare i legami irrinunciabili con i soggetti sociali a cui è destinata, l'educazione libertaria si dissemina nel grande laboratorio della scuola pubblica per portarvi contraddizioni, nuove soluzioni, un segno evidente di alternativa possibile nella pratica educativa.
Ma oggi, lo Stato non ha più interesse a mantenere una scuola pubblica centralizzata, costosa e "sessantottina", per cui almeno a partire dalla legge 62/2000 punta al mercato dell'offerta pedagogica, sottraendo fondi pubblici alla scuola pubblica per finanziare scuole paritarie e private, queste sì veramente "di tendenza" ideologica a religiosa. Le leggi degli ultimi 30 anni hanno avuto questo segno: distruggere una scuola che da "fabbrica di servi" era diventata grazie a generazioni di insegnanti e di studenti una fucina di pensiero critico e di laicità.
Il grande movimento contro l'ultima legge sulla scuola ha dimostrato che centinaia di migliaia di lavoratori della scuola, anarchic* compres*, vogliono difendere/salvare la scuola di tutt* dallo scempio capitalistico.

(bibliografia essenziale: Francesco Codello, Educazione e Anarchismo; Corso Editore -Ferrara, 1995)

 
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