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14 novembre 2014 - scioperare e manifestare

category italia / svizzera | lotte sindacali | comunicato stampa author Tuesday November 11, 2014 15:12author by Alternativa Libertaria/FdCAauthor email fdca at fdca dot it Report this post to the editors

Non è la prima volta che succede. Non è la prima volta che il mondo del lavoro sindacalizzato intreccia la sua lotta con le realtà sociali di base che nei territori, da anni, fanno da argine e da rete solidale di conflitto contro la devastazione capitalistica dei luoghi di vita e dell'ambiente. Ma questo 14 novembre cade nel sesto anno di una crisi che non è più solo finanziaria,solo economica ed occupazionale.
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14 NOVEMBRE 2014
SCIOPERARE E MANIFESTARE

NEI POSTI DI LAVORO E NEI TERRITORI
PER CONTRASTARE LA DISTRUZIONE DEI NOSTRI DIRITTI
PER RICOSTRUIRE L'OPPOSIZIONE SOCIALE
PER RIPRENDERCI LA LIBERTA'
DI IMMAGINARE E DI SPERIMENTARE
L'ALTERNATIVA LIBERTARIA ALLA BARBARIE CHE AVANZA


Non è la prima volta che succede. Non è la prima volta che il mondo del lavoro sindacalizzato intreccia la sua lotta con le realtà sociali di base che nei territori, da anni, fanno da argine e da rete solidale di conflitto contro la devastazione capitalistica dei luoghi di vita e dell'ambiente.

Ma questo 14 novembre cade nel sesto anno di una crisi che non è più solo finanziaria,solo economica ed occupazionale. Siamo nel sesto anno di una crisi che punta direttamente a minare alla fondamenta la libertà dei lavoratori di organizzarsi e coalizzarsi nei luoghi di lavoro, di scendere in piazza per manifestare la loro opposizione alla distruzione di posti di lavoro e di reddito. Si tratta di un attacco non contingente, ma che punta a definirsi come sistema: un sistema in cui non è prevista alterità rispetto agli interessi del capitalismo, non è prevista organizzazione sindacale che rappresenti interessi autonomi dei lavoratori rispetto alle aziende. Non è prevista la speranza di una società più giusta e più solidale. Nemmeno la mera dignità del lavoratore, condannato invece ad uno stato di precarietà infinita. Nel lavoro e nella vita.

Al tempo stesso nei territori, questa crisi punta alla ghettizzazione delle forme di opposizione sociale, alla loro criminalizzazione ogni volta che si osi mettersi di traverso rispetto alle grandi opere inutili, o rivendicare reddito sociale, diritto alla casa ed alle risorse, o costruire democrazia dal basso contro la decomposizione della democrazia rappresentativa.

E nella crisi che impone la sua autorità come sistema e normalità, diventa banale e normale la repressione, legittima la violenza di Stato, impunibile ogni arbitrio in divisa.

Jobs Act, legge di stabilità, Buona Scuola, non si possono contrastare pensando di contare solo sulla capacità coalizzatrice della FIOM o sulla forza di volontà dell'arcipelago sindacale di base, convergenti per caso o per necessità, nel porsi come argine e come opposizione.

Per fermare la trasformazione dei lavoratori da soggetti di dignità in casuali ed anonimi prestatori d'opera, per evitare che il TFR venga scippato per la seconda volta, che cada il gelo perpetuo sui contratti del Pubblico Impiego, che i pensionati subiscano l'oltraggio dell'impoverimento per legge, per tarpare le ali alla Buona Scuola governativa che renderebbe la scuola italiana la peggiore mai vista negli ultimi 60 anni, occorre che il mondo del lavoro organizzato nelle fabbriche, nei capannoni e negli uffici ed il mondo della precarietà e della conflittualità sociale organizzata nelle città, nei quartieri, nei territori, trovino proprio qui - nel territorio - reciprocamente, le forme di cooperazione e di solidarietà necessarie.

Necessarie forme di convergenza e resistenza, per ricostruire unità di lotta e di sperimentazione anticapitalista, investendo nella capacità di organizzazione dal basso, nella diffusione e sedimentazione della coscienza di essere classe con interessi autonomi e divergenti da quelli del capitalismo e dello Stato.

Per riprenderci il territorio e le sue risorse, per prenderci le fabbriche e le terre, occorre un conflitto sociale diffuso e reticolare, sistematico e costante, in grado di esprimere crescente radicalità dal basso, indirizzata verso la riappropriazione e l'autogestione di risorse comuni, patrimoniali e ambientali, culturali ed economiche, che si proponga come elemento esogeno di rottura democratica e libertaria di netto segno anticapitalista, nei territori e nel paese.

Alternativa Libertaria/Fdca

11 novembre 2014

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author by Gianni Sartoripublication date Fri Nov 21, 2014 03:28author address author phone Report this post to the editors

Vedo che al prossimo convegno sulla strage di Piazza della Loggia (Brescia, novembre 2014) interverranno Giulio Giorello (noto come estimatore di Ezra Pound e partecipante a recenti convegni organizzati da Casapound) e Silvia Calamati…
Perché a questo punto non invitare anche Gianfranco de Turris (noto per le sue prefazioni e presidente della Fondazione Julius Evola), Roberta Angelilli (parlamentare europea proveniente da terza posizione, amica di Insabato) e Tommaso La Longa (giornalista di Rinascita -quella della soidisant “sinistra”nazionale, in realtà neofascista- e altre testate di destra) con cui hanno già condiviso altre conferenze? In particolare sulla questione irlandese legittimando con la loro presenza la strumentalizzazione da parte dei fascisti di Bobby Sands e degli altri compagni morti nel 1981 in sciopero della fame.
Ma non si poteva (per rispetto alle vittime delle stragi di stato con manovalanza fascista) invitare qualcuno meno “disinvolto” nei confronti della (Nuova?) Destra?
ciao
GS
segnalo in rete: “Fascisti giù le mani dall’irlanda”

author by Gianni Sartoripublication date Sat Nov 29, 2014 05:33author address author phone Report this post to the editors

Vorrei concludere la mia partecipazione a questo luogo di discussione e confronto riesumando due miei antichi interventi apparsi su “A, rivista anarchica” del 1990 e 1991. Si parla di Kronstadt, ma non solo.

A tale proposito ricordo una scritta apparsa sul muro della Biblioteca Bertoliana di Vicenza nel secolo scorso (conosco l'autore), in occasione del centenario della Comune di Parigi e del cinquantenario di quella di Kronstadt.

1871: LA COMUNE – 1921: KRONSTADT – 1971:?

Purtroppo, mentre ormai si profila all'orizzonte anche il centenario di Kronstadt, devo constatare che restiamo in attesa...
Certo, i tempi sono cambiati. Così come la composizione sociale, l'immaginario collettivo, i rapporti di forza etc...
Rimane intatta, se non la speranza, almeno la nostalgia.
adieu
GS

1) rivista anarchica
 anno 20 nr. 176 
ottobre 1990
Tutti a Kronstadt!
(Gianni Sartori)
Non sarebbe una cattiva idea quella di cominciare a pensarci seriamente. Prima che Gorbaciov "riabiliti" anche quelli di Kronstadt e dell'Ucraina o magari se ne impadroniscano indebitamente i neo socialdemocratici della "Cosa" aggiungendo al danno le beffe e dio sa cos'altro. 
Da certa gente c'è da aspettarsi di tutto. 
Ricordiamoci che sono maestri insuperabili nel falsificare e manipolare.
 Con le loro facce di bronzo hanno sostenuto per anni che Nestor Makno era un bandito, i ciennetisti dei provocatori e la rivolta operaia-consiliare di Budapest una controrivoluzione...
Capacissimi di venirci a raccontare che quelli della Risoluzione di Petropavlovsk, in fondo in fondo, erano dei seguaci di Flores d'Arcais e/o di Fassino. 
Del resto tra i ranghi del PCI c'è gente che fino all'altro ieri difendeva a spada tratta il socialismo da caserma; che fino a ieri tesseva le lodi di quell'Ercoli che tanto si era "prodigato" per strappare qualche dissenziente dalle grinfie di Stalin; per non parlare del sostegno fornito da alcuni esponenti comunisti (pace all'anima loro) a regimi ultratotalitari come quello del boia Menghistu.
 Ora, sempre dagli stessi ranghi, qualcuno pontifica che non si è mai visto sul pianeta un comunismo democratico. Sfido. Quello libertario di Ucraina, Catalunya, Aragona ecc. lo hanno abolito per decreto ed estirpato manu militari. 
A suggello dichiarano che non può esserci libertà senza capitalismo. Dal che sembra di intuire che hanno introiettato fino in fondo l'ideologia borghese per cui anche la libertà non è altro che una merce; un tanto al chilo, per chi può permettersela. 
Potrebbero anche aver ragione, forse. Ma solo se Kronstadt fosse un mito, una favola bella che i proletari si tramandano per autoconsolarsi. 
Ma KRONSTADT è stata. Alla faccia di tutti i capitalisti, burocrati e ideologi è stata. Settanta anni fa e non nell'età dell'oro. 
Come la "repubblica su tachanki"dei Machnovisti o la lunga estate di autoemancipazione proletaria che traversò la penisola iberica per tutta la prima metà del secolo (non solo nel '36-'37). 
Questi fatti incredibili sono accaduti (ed è questa la cosa più incredibile). Il "problema" resta insolubile per tutti gli storici di regime di ogni regime. 
Gli eventi di Kronstadt urlano ancora che la "mutazione culturale" era avvenuta; non nel cervello o nei libri di qualche intellettuale situazionista ma nella mente, nel cuore e nella vita di quei proletari che alzarono (idealmente almeno) le bandiere rosse e nere. Per non dover essere né servi né padroni. Mai più. 
Illuminando per il tempo di un attimo il cupo orizzonte della storia umana. 
Kronstadt porta il segno di una contraddizione irrisolta e irrisolvibile fintanto che ci si aggira nella palude delle ideologie mercantili e spettacolari. 
Kronstadt è quel gesto collettivo di rivolta che non potrà mai essere integrato, riciclato, addomesticato dal potere; soltanto represso, rimosso, cancellato. 
Perché è oltre il potere. 
Nella storia in rivolta contro la storia; un sogno che non si è istituzionalizzato, che non si è "fatto Stato": ma che è stato, semplicemente. 
Non l'ennesimo tentativo di prendere il potere ma la messa in pratica del sano e radicale proposito di annichilirlo. 
La storia è abbastanza nota. Riepiloghiamo per i più giovani o smemorati. 
Nel 1921 i marinai di Kronstadt nel Golfo di Finlandia, presso Pietroburgo, si ribellarono armi alla mano al governo "sovietico" (virgolette, mi raccomando) e alla commissariocrazia. 
Quella che venne chiamata la "Seconda Comune" fu molto di più che una pura e semplice "rivolta della fame" (come vorrebbero insinuare certi "revisionisti") e riuscì a sopravvivere per sedici giorni. Pochi, almeno apparentemente. Ma ci sono giorni nella storia della lotta di classe che contano millenni. 
La resistenza venne stroncata, soffocata nel sangue per mano dell'Armata Rossa su ordini precisi di Lenin e Trotzki. 
Seguirono persecuzioni, arresti, torture, fucilazioni in tutto il paese, particolarmente ai danni degli anarchici. 
Kronstadt comunque non "appartiene" solo a loro. Appartiene a tutti i diseredati, perseguitati, oppressi e sfruttati; a tutti quelli che sanno o cominciano a intuire che "non basta cambiare padrone per essere liberi" (vale tanto per chi si è illuso sulle proprietà salvifiche del leninismo come per chi si illude sulla bontà intrinseca della coppia democrazia-mercato). 
Kronstadt è il punto di non ritorno a cui tornare e da cui ripartire per ogni discorso di autoemancipazione proletaria. 
E allora, in questo ormai prossimo settantesimo, riprendiamoci Kronstadt; la nostra Kronstadt libertaria, sovversiva, rivoluzionaria... e via, anche sovietica. (n.d.r. in questo caso sovietico va senza virgolette). Kronstadt è stata l'esempio vivente di un'autentica democrazia consiliare. L'ultimo forse prima che l'apparato bolscevico esautorasse di ogni reale autonomia i consigli; mantenendo peraltro inalterata la formale definizione di "sovietico". Un caso evidente di appropriazione indebita. 
Kronstadt resta la faccia pulita della Rivoluzione russa, quella che non volle imboccare la "scorciatoia" del totalitarismo, senza per questo cadere nella trappola della socialdemocrazia. Ributto quindi la mia "modesta proposta".
 Ritroviamoci a Kronstadt vecchi e nuovi compagni. 
Per qualcuno sarà un modo di rivendicare quel che siamo stati. 
Per altri più giovani potrebbe essere un'occasione per riprendere discorsi rimasti in sospeso. 
Il sogno resta aperto. E contagioso. 
L'anno prossimo. A KRONSTADT.
Gianni Sartori (ottobre 1990)

2) rivista anarchica
 anno 21 nr. 185
 ottobre 1991
Giù le mani da Kronstad
(Gianni Sartori)
Davvero non sospettavo di avere doti divinatorie! Scrivendo "Tutti a Kronstadt" ("A" n. 176, pag. 41) mi ero riferito ai burocrati del PCI, allora "Cosa" ora PDS, con queste parole: "Capacissimi di venire a raccontare che quelli della Risoluzione di Petropavlovsk, in fondo in fondo, erano dei seguaci di Flores d'Arcais e/o di Fassino".
 Non l'avessi mai fatto! Lo sciagurato mi ha preso in parola. Quello che per me era solo un divertente paradosso è diventato realtà. Leggendo tra le righe dell'articolo "Addio a Togliatti” (la Repubblica del 3/9/'91) di Paolo Flores d'Arcais (PFdA) si dovrebbe probabilmente dedurre che a Kronstadt insorsero contro il comunismo, comunque inteso, in nome della libertà d'impresa e del lavoro salariato (ossia del capitalismo, senza di cui - ci insegnano i nuovi adepti pidiessini- non può esserci libertà). Ora non credo che le cose stiano esattamente così. All'elaborazione della Risoluzione di Petropavlovsk parteciparono attivamente radicali di diversa estrazione: socialisti rivoluzionari, menscevichi, anarchici, senza partito e anche militanti comunisti di base, con buona pace di PfdA.
 Al punto undici, il più "intriso" di velleità capitaliste, dichiarava: "Di conferire ai contadini piena libertà d'azione per ciò che riguarda la terra, e anche il diritto di tenere delle mucche, a condizione che se la cavino con i propri mezzi, senza cioè impiegare manodopera esterna". Un po' pochino, veramente. Più che ai programmi pidiessini mi pare si richiami al classico (e sovversivo) "né servi, né padroni". Non credo sarebbero piaciuti a Boris Eltsin così come non piacquero a Vladimir Ilich Ulianov. Inoltre si rivendicava la libertà per i sindacati operai, libertà per i prigionieri politici "incarcerati perché coinvolti nel movimento operaio e contadino".
 Al punto due: "Di concedere agli operai e ai contadini, agli anarchici e ai partiti della sinistra socialista piena libertà di stampa e di parola".
 E così via. Nessun accenno alla restaurazione del lavoro salariato, nessuna difesa dell'ordine borghese di quei "democratici" patriottardi che avrebbero voluto mantenere operai e contadini russi nelle trincee a crepare nella guerra imperialista. Nessun ritorno alla prima rivoluzione ma un segnale per la terza... Contro vecchi e nuovi padroni. 
Ma torniamo al pezzo di PFdA. Considero indecente quel riferimento a Camillo Berneri e Andres (non Andras) Nin definiti "dirigenti dell'antifascismo non comunista".
 Camillo Berneri bastava chiamarlo per quel che era, anarchico. Anarchici erano anche buona parte di quelli di Kronstadt ma anche in questo caso l'autore evita elegantemente di dirlo, volendo forse lasciare intendere che erano dei bravi occhettiani antelitteram.
 Quanto poi a Nin, definirlo "dirigente dell'antifascismo non comunista" è pura ignoranza prodotta da malafede. Possibile che un intellettuale di professione non sia al corrente del fatto che Andres Nin era fondatore e dirigente del POUM (Partito Obrero de Unificacion Marxista) e come tale venne perseguitato e assassinato dagli stalinisti, con il benestare dei loro alleati borghesi? Nin era un comunista antistalinista (con una militanza giovanile nella CNT) che voleva la Rivoluzione Sociale. I suoi assassini erano miliziani del PSUC, braccio armato per la repressione interna, funzionali alla borghesia repubblicana nell'opporsi alle collettivizzazioni operate dagli anarco-sindacalisti.
 In questo caso chi era più comunista? Non diceva forse il PSUC di difendere i diritti dei proprietari? Quello che in ogni caso difendeva era un modello statuale, autoritario e borghese di organizzazione sociale. Proprio come i socialdemocratici alla PFdA. Dietro entrambi c'è lo stesso retroterra gerarchico e statalista. Quello che non c'era assolutamente dietro i marinai di Kronstadt, dietro la CNT, dietro i Maknovisti... Qui passa la differenza tra noi e loro. Si chiamino PSUC o PDS. Teniamo poi presente che comunque chi voleva coltivarsi da solo la terra dopo la redistribuzione era libero di farlo. Purché non usasse lavoro esterno (v. in Aragona). Contro il capitalismo e il lavoro salariato quindi, senza per questo passare al socialismo da caserma.
Vale qui la pena di ricordare anche che il comunista Nin era amico fraterno, oltre che di Victor Serge, di Jaime Balius, anarchico catalano che accusava la CNT di essere troppo accondiscendente nei confronti del governo; animatore di quel gruppo libertario denominatosi "Amici di Durruti", fautore di una radicalizzazione in senso sociale-rivoluzionario della lotta antifranchista. Tra l'altro idearono lo slogan "Potere Operaio". Espressione che non aveva niente a che fare con la teoria statalista della dittatura del proletariato. Intendeva "solo" rivendicare per i proletari delle fabbriche barcellonesi il diritto di armarsi anche contro le autorità repubblicane e le milizie staliniste per difendere le conquiste rivoluzionarie. Era l'auto-organizzazione armata dei proletari. Cosa assai diversa dalla militarizzazione voluta dagli statalisti e dalla riduzione dei gruppi operai di combattimento a milizia poliziesca di partito. 
Evidentemente PFdA ignora o finge di ignorare che il Massacro di Barcellona del maggio '37 (in cui tra l'altro persero la vita Berneri e Nin), scatenato dagli stalinisti contro anarchici e poumisti, derivava dal fatto che questi si rifiutavano di riconsegnare le armi, di sottomettersi alla logica statalista, borghese e militarista che andava affermandosi nel fronte repubblicano. In questo lo stalinismo era complice dei peggiori partiti borghesi dello schieramento repubblicano. Nella Catalogna degli anni trenta anarchici, comunisti libertari e antistalinisti erano, per quanto a volte in modo confuso, espressione dell'autonomia di classe del proletariato che si autodeterminava attraverso i consigli e la "libertà armata" (ossia la libertà e capacità di armarsi autonomamente) mentre gli stalinisti erano organici al governo della borghesia repubblicana. Basti ricordare che razza di giornale pubblicava il nostro Camillo Berneri: nientemeno che "Guerra di classe" roba da far inorridire i funzionari del PDS, a cui ormai anche solo l'espressione "lotta di classe" procura malesseri e vertigini.
 Perché poi, a ben guardare, è soprattutto questo il problema: cancellare dal lessico ogni riferimento alla lotta di classe. Dopo essersi prodigati per anni ad annacquare, svuotare, disinnescare ogni accenno di lotte spontanee, operando come vere quinte colonne del kapitale infiltrate nel movimento proletario, ora vogliono affossarle definitivamente, cancellarne anche solo il ricordo (sperando naturalmente che poi stato e padroni, grati, li chiamino al governo).
 Non si tratta quindi di far sparire il cadavere putrefatto dei vari Ercoli, Stalin, Lenin, Trotzki ecc.. A questo hanno già provveduto le lotte autonome del proletariato. La sconfitta di queste lotte non ha impedito il superamento nei fatti delle varie ideologie marxiste-leniniste.
 Qui in realtà si vuole seppellire la memoria storica dei proletari, espropriarli definitivamente di ogni loro autonomia e identità, riscrivere la storia delle classi subalterne in funzione della restaurazione capitalista. Così come in passato la riscrissero in funzione dell'ideologia e del partito.
 Kronstadt, l'Ucraina di Nestor Makno, la Barcellona di Buenaventura Durruti e Francisco Ascaso ci insegnano che le "battaglie di libertà" non sono monopolio borghese; che la Rivoluzione Sociale ha ben saputo produrre i suoi anticorpi libertari contro la riproduzione del potere in seno al movimento antagonista. Quei proletari seppero realizzare, anche se per poco, una democrazia reale e compiuta, quella dei consigli, di fronte a cui quella formale di cui va paludato il capitalismo appare come una caricatura.
 Perché non c'è libertà finché c'è fame, oppressione, sfruttamento... E di tutto questo è intriso il nuovo ordine mondiale con cui d'Arcais e "compagni" dichiarano di voler pacificamente (e proficuamente, suppongo) convivere. Sostiene il PFdA che "quando un partito cambia politica, devono cambiare anche gli episodi e i personaggi assunti a simbolo di riferimento". Ossia, in questo caso, sostituire nell'immaginario collettivo del popolo pidiessino la presa del Palazzo d'Inverno con la rivolta di Kronstadt, il ritratto di Lenin con quello di Berneri... in nome del capitalismo democratico.
 Il discorso regge a patto che simboli e personaggi non vengano stravolti e strumentalizzati da quelli che, ad ogni buon conto, oggi come ieri restano nemici di classe. Sarebbe aggiungere al danno le beffe nei confronti degli anarchici. Prima massacrati dai bolscevichi, poi derisi e infangati dai loro epigoni nostrani e infine riesumati e strumentalizzati da quelli che, sostanzialmente, rimangono gli stessi. Nonostante gli auspici di PFdA Kronstadt e Berneri non potranno mai far parte della tradizione del PCI-PDS. Per almeno due buone ragioni. Innanzitutto perché nella versione PCI era stato l'equivalente nostrano dei massacratori (Vidali ne sapeva qualcosa...). Poi perché già era, e nella versione PDS lo è ancor più compiutamente, solo una componente del variegato mondo borghese; antiproletari per scelta e vocazione.
 La rivolta di Kronstadt, espressione di autonomia e coscienza proletaria, sta fatalmente "altrove". Da che parte deve stare un democratico di sinistra chiede il "nostro"? Stia pure dove gli pare ma non cerchi di coinvolgere i martiri dell'anarchismo nelle sue sciagurate scelte filo-capitaliste. Non ci fa per niente piacere questa riabilitazione postuma e non richiesta, del tutto strumentale. Oltretutto è probabile che per l'ex trotzkista PFdA sia dovuta a cattiva coscienza. Ma il rimedio è, se possibile, peggiore del male. Non molto tempo fa sullo stesso giornale di Scalfari l'ineffabile Viola, reduce da un viaggio nella "giovane democrazia spagnola" dava una conferma di quanto ho sostenuto sul ruolo di bassa macelleria in funzione antiproletaria cui spesso si sono prestati gli stalinisti per compiacere i loro alleati borghesi. Abituati a subappaltare ad altri i lavori più sporchi (la divisione del lavoro è una costante del capitalismo), nel '37 a Barcellona, il 7 aprile del '79, si parva licet, qui nel Veneto, i borghesi non mancano poi di rilasciare attestati di benemerenza ai loro servi e complici.
 Parlando della Guerra Civile Spagnola, Viola accennava ai contrasti interni al movimento repubblicano. Dichiarava la sua sostanziale diffidenza e ostilità per gli "estremisti" della FAI-CNT ("oggettivamente antidemocratici") e tutta la sua simpatia per quel comandante Lister, noto boia stalinista, che seppe "riportare l'ordine" in Aragona. In fondo in fondo, sembra dire, Lister era uno dei nostri.
Naturalmente questo non vuol dire che Kronstadt, Berneri, ecc. siano riserva di caccia esclusiva degli anarchici. Possono legittimamente far riferimento a Kronstadt quanti lottano contro il potere, comunque inteso. Per coerenza e tradizione si sono richiamati ad essa gli anarco-comunisti, i piattaformisti, i consiliari, i situazionisti, i comontisti, qualche comunista libertario, quelli di Azione Rivoluzionaria... e anche qualche autonomo... (del resto in giro per l'Europa c'è un sacco di brava gente che dell'autonomia operaia dà una lettura libertaria; in Spagna, in Germania, all'est...). Possono richiamarsi ad essa oppressi e diseredati del pianeta, se credono... ma non gli intellettualini, ieri leninisti oggi pidiessini. Non li riguarda.
 Sono molto più imparentati con l'altro grande affossatore dei consigli operai, quel social-democratico Noske, giustamente chiamato macellaio dagli operai berlinesi. Un degno precursore di Calogero. Quello sì rientra nella tradizione del PDS. A pieno diritto.
 Giù le mani da Kronstadt.
Gianni Sartori
 (ottobre 1991)


 
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