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Figli di Troika

category italia / svizzera | economia | opinione / analisi author Sunday October 12, 2014 13:46author by Toni Iero - Cenerentola Report this post to the editors

Riusciranno gli italiani a svegliarsi dal loro torpore per cacciare questi improvvisati piloti prima che facciano schiantare l’aereo di cui siamo malauguratamente passeggeri?


Figli di Troika


In un articolo pubblicato su Repubblica il 3 agosto, Eugenio Scalfari ha affermato “Dirò un’amara verità che però corrisponde a mio parere ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti: forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale. Un tempo (e lo dimostrò soprattutto in Grecia) quella troika era orientata ad un insopportabile restrizionismo. Ora è esattamente il contrario: la troika deve combattere la deflazione che ci minaccia e quindi punta su una politica al tempo stesso di aumento del Pil, di riforme sulla produttività e la competitività, di sostegno della liquidità e del credito delle banche alle imprese”.

A queste affermazioni, peraltro ribadite dallo stesso fondatore di Repubblica il 10 agosto, hanno fatto seguito la notizia del calo del prodotto interno lordo italiano nel secondo trimestre, il riaffiorare di tensioni sui mercati finanziari con un limitato peggioramento del differenziale di rendimento tra titoli italiani e tedeschi e, infine, le dichiarazioni di Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, secondo cui è tempo che gli Stati cedano ulteriore sovranità all’Europa, anche nel campo della politica economica.

Sono cominciate le grandi manovre in vista della finanziaria d’autunno. Cosa sta succedendo?

Il calo del Pil registrato nel secondo trimestre del 2014 ci segnala certamente che, nonostante le bugie raccontateci, il nostro Paese non è mai uscito dalla spirale recessiva in cui è caduto alla fine del 2011. Ma, oltre a ciò, esso testimonia il precoce fallimento della surreale politica economica dell’attuale governo italiano. Con la massa invereconda di dichiarazioni menzognere destinate a fomentare ottimismo, con la campagna mediatica attraverso cui giornali e televisioni di regime hanno cercato di costruire l’immagine di un premier giovane e dinamico e con gli ormai famosi 80 euro, i partiti di governo (e i poteri che vi sono dietro) pensavano di imprimere una svolta al quadro economico italiano. Sarebbe bastata una crescita economica, anche modestissima, affinché la propaganda governativa potesse sostenere che si stava ormai entrando in una nuova era. Invece niente. Non solo il Pil decresce, ma anche la variazione dei prezzi (appena +0,1% a luglio, su base annua) indica come il pericolo della deflazione sia sempre più vicino.

I circa dieci miliardi di spesa pubblica impiegati per offrire gli 80 euro mensili si sono tradotti solo in minima parte in un aumento dei consumi. Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti come il vero obiettivo di tale manovra fosse “comprare” il voto europeo di quella parte degli italiani propensi a farsi illudere dalla propaganda di regime. Dal punto di vista della collettività, sono stati soldi gettati al vento. Non che sia sbagliato aumentare i redditi dei lavoratori (in questo caso di quelli dipendenti a basso reddito), ma il punto centrale oggi consiste nel creare nuovi posti di lavoro per chi l’ha perso e per i giovani che non l’hanno mai avuto. Con questa elargizione di clientelismo elettorale non si va da nessuna parte. La classe dirigente attuale, la stessa che ha portato l’Italia al disastro, ha confermato di agire con improvvisazione, pressapochismo e abbietta visione etica. Il disegno neoautoritario del Pd renziano si sta rivelando incapace di scuotere il pessimo quadro economico, conseguenza della ventennale gestione della cosa pubblica condivisa da questo partito con gli amici berlusconiani.

Da qui anche la “sgridata” di Draghi che, in sostanza, ha detto: della riforma del Senato non ce ne frega nulla, il governo italiano deve attuare riforme che rilancino la crescita economica. La chiara allusione è alla riforma del mercato del lavoro che, in soldoni, si dovrebbe imperniare su un’ ulteriore riduzione delle garanzie (e del salario) per i lavoratori. Infatti, subito dopo la reprimenda del presidente della Bce, l’arguto Alfano, ridestatosi da un riposino agostano, ha immediatamente proposto l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, da attuarsi entro agosto. Sono seguiti gli echi di Sacconi e l’intervento di Renzi: non aboliremo l’articolo 18, rivedremo tutta la legislazione del lavoro. Più una minaccia che una precisazione.

Discesa del Pil e inflazione nulla (o, addirittura, a rischio di essere negativa) hanno una conseguenza immediata: l’insostenibilità dei conti pubblici italiani nell’attuale contesto. Il tanto sbandierato limite del 3% nel rapporto tra deficit pubblico e Pil nel 2014 sarà rispettato solo grazie al’aumento del prodotto ottenuto includendovi anche una stima del valore delle attività illegali come droga, prostituzione e contrabbando (European System of National and Regional Accounts, ESA 2010). Inoltre, il prossimo anno ci attendono l’onere del raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio (di cui il governo sta elemosinando a Bruxelles, con scarso successo, il rinvio) e l’inizio del processo di riduzione del peso del debito pubblico sul Pil, prescritto dal Fiscal Compact. Il rispetto di questi due vincoli comporterebbe una stangata fiscale di grandi proporzioni (per adesso si parla di una ventina di miliardi).

Anche per questo c’è agitazione sui mercati finanziari. Qualcuno comincia a chiedersi: cosa accadrebbe se l’Italia si trovasse ancora in una tempesta del debito, con tassi di interesse in salita, prezzi in calo e una base fiscale (il Pil) in contrazione? Infatti, il punto non è solo il fatto che l’aumento delle tasse e il taglio delle spese pubbliche (indovinate quali?) siano sgradevoli. La questione è che l’esangue sistema produttivo del nostro Paese non è in grado di reggere un’altra restrizione fiscale. Se davvero il governo dovesse imboccare questa strada, l’attuale continuo stillicidio di imprese chiuse e di fallimenti diventerebbe una ondata che travolgerebbe definitivamente la società italiana.

Eppure vi sarebbe ancora spazio per dei provvedimenti in grado di rendere gestibile la situazione. Per evitare il baratro, occorrerebbe rinegoziare con i partner europei le assurde condizioni imposteci da trattati disinvoltamente approvati da un Parlamento rappresentativo non dei voti egli elettori, ma della fedeltà ai caporioni di partito. Cosa aspettiamo a sbarazzarci di quell’idiozia economica che passa sotto il nome di Fiscal Compact? Ha senso uccidere economicamente un Paese per difendere una moneta? Se l’alternativa è tra il default dello Stato e il ritorno alla moneta nazionale, non sarebbe meglio perseguire la strada meno traumatica, ossia la seconda? Per evitare che si possa discutere di tali argomenti, si sono già attivati i rappresentanti in Italia degli interessi europei, dal giornale-partito Repubblica fino all’inquilino del Quirinale. Ecco, quindi, la “scomunica” di Renzi da parte di Scalfari, che presuppone un giudizio definitivo di incapacità della classe dirigente italiana nella gestione della materia economica. A questo punto, secondo il giornalista, dovremmo affidarci fiduciosi al commissariamento del nostro Paese da parte di entità estere. A parte la questione di democrazia che si aprirebbe (dovremmo essere governati da organizzazioni che non sono legittimate dal voto dei cittadini? Pochi hanno notato come ormai siamo tornati ai concetti di sovranità antecedenti la Rivoluzione Americana …), quello che i “repubblichisti” non vogliono ammettere è che il fallimento della loro classe dirigente non implica necessariamente che non ve ne sia un’altra, in Italia, in grado di sostituirla.

Continuare con gli errori commessi da quel bel soggetto di Monti in poi è da sciocchi: tutti sanno (o sarebbe meglio sapessero) che tentare di risanare i conti pubblici in un quadro recessivo è una cretinata che costerà cara al sistema produttivo (e sociale) italiano. Ma ai sostenitori della Troika l’unica cosa che sembra importare è restituire il denaro agli usurai (ossia al mondo della finanza), anche a costo di uccidere il debitore.

Riusciranno gli italiani a svegliarsi dal loro torpore per cacciare questi improvvisati piloti prima che facciano schiantare l’aereo di cui siamo malauguratamente passeggeri?

Tony Iero

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