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Riflessioni libertarie sulla morte di Hugo Chávez

category venezuela / colombia | la sinistra | opinione / analisi author Thursday March 07, 2013 18:27author by Manu García Report this post to the editors

Non vedremo più uno degli uomini più importanti dell'ultimo decennio in America Latina. Impossibile negarlo. Non dubitiamo che a Chacao avranno brindato col lo champagne più caro. Noi non lo faremo, così come non lo faranno le masse popolari venezuelane. Non possiamo che sentirci loro solidali per il sentimento di dolore di fronte alla scomparsa fisica di chi negli ultimi anni è stato il loro leader indiscusso e referente per il movimento popolare di tutto un continente. [Castellano]
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Riflessioni libertarie sulla morte di Hugo Chávez


Nella tarda serata, Nicolás Maduro, a nome del governo venezuelano, ha comunicato al paese ed al mondo una notizia impressionante ancorché prevedibile: Hugo Rafael Chávez Frías era appena deceduto.

Non vedremo più uno degli uomini più importanti dell'ultimo decennio in America Latina. Impossibile negarlo. Non dubitiamo che a Chacao avranno brindato col lo champagne più caro. Noi non lo faremo, così come non lo faranno le masse popolari venezuelane. Non possiamo che sentirci loro solidali per il sentimento di dolore di fronte alla scomparsa fisica di chi negli ultimi anni è stato il loro leader indiscusso e referente per il movimento popolare di tutto un continente.

Un po' di storia

Lo scorso 27 febbraio ricorreva l'anniversario del "Caracazo", la insurrezione popolare, la ribellione dei più poveri tra i poveri delle periferie urbane, degli esclusi di sempre, la cui repressione ordinata dal governo (presunto) socialdemocratico di Carlos Andrés Pérez fu l'inizio della fine della Quarta Repubblica la quale moriva soffocata nel suo stesso vomito, dopo una abbuffata di petroldollari, corruzione, privatizzazioni tra amici, ripartizione di cariche, servilismo verso il grande capitale transnazionale ed esclusione politica, economica, sociale e culturale della grande maggioranza del paese.

La repressione, che provocò migliaia di morti, costrinse il popolo a ritirarsi temporaneamente dalle strade. Ma non certo ad uscire, da protagonista di sempre, dalla scena della storia venezuelana. Naturalmente l'insurrezione non era nata dal nulla. La distanza tra il paese ufficiale ed il paese reale, tra il paese dei signori suddetti ed il paese comune, aumentava sempre di più. Ribolliva l'organizzazione popolare nelle campagne e nelle città, la sinistra avanzava, le braci della rivolta non si erano spente, cresceva l'odio verso tutto ciò che aveva a che fare con la Quarta Repubblica. Un odio che, accumulatosi in profondità per mille ed una umiliazioni subite, quel giorno era salito in superficie come l'eruzione di un vulcano.

Nelle caserme, una volta di più i figli del popolo ne avevano preso pienamente coscienza. Della loro origine, della loro classe, del ruolo a cui venivano chiamati nella vita del paese. Quando il 27 febbraio del 1989 le Forze Armate furono chiamate a difendere col sangue e col fuoco un governo affamatore, corrotto, ipocrita e che durante quei giorni si era dimostrato un assassino senza pietà, i settori militari più avanzati, che avevano iniziato a raggrupparsi intorno al Movimiento Bolivariano Revolucionario-200, si erano resi conto che il marciume era giunto ad un punto tale che era necessario agire. Un giovane ufficiale, Hugo Rafael Chávez Frías, zambo (di origine afro-amerinda, ndt), della provincia, di estrazione popolare, formatosi in una delle scuole più egualitarie e meno influenzate dalla Escuela de las Américas in tutto il continente, ne sarebbe diventato il leader.

Tre anni dopo, il 4 febbraio 1992, avrebbero cercato di far cadere un regime odiato e con le mani macchiate di sangue ma che, con tutte le risorse a sua disposizione, si rifiutava di morire. Fallirono. Però si sa che ci sono vittorie di Pirro che si traducono in sconfitte e fallimenti che sono il preludio di future vittorie. E così andò. Hugo Chávez, dopo essere stato catturato, apparve alla TV nazionale, battuto ma non sconfitto, pronunciando il famoso "...per ora" che lo fece diventare un referente per migliaia di persone, trasformando una battuta d'arresto tattica in una vittoria strategica. I suoi nemici avevano voluto che egli si presentasse davanti alle telecamere sconfitto ed umiliato, mostrando pubblicamente la sua resa, però quella fu la chiave di volta, dal momento che egli colse la situazione per lanciare un appello a favore del cambiamento politico e sociale, dando speranza a milioni di venezuelani.

Durante gli anni di carcere il suo prestigio tra le masse non smise di crescere e dopo la sua liberazione egli divenne il fulcro della riaggregazione della sinistra intorno alla sua candidatura elettorale. Chávez ora non era più solo un ufficiale ribelle, ma era il depositario delle speranze di tutto un popolo; un popolo che, organizzato, stimolato e potenziato dai partiti della sinistra, si mobilitava per le sue rivendicazioni più sentite, rivendicazioni che avrebbe conseguito parzialmente nel 1999 con la Constitución Bolivariana e col lavoro del governo da allora fino ad oggi. Non ci soffermeremo molto su questo punto, perché ci sono informazioni in abbondanza al riguardo, sul sostanziale miglioramento degli indici dello sviluppo umano, sull'incremento dei livelli di accesso dei settori popolari all'istruzione, ai trasporti, alle pensioni ed alla sanità, sul recupero del controllo pubblico sull'economia, sull'attacco alla burocrazia del petrolio, sui controlli alle banche, sulla preoccupazione per la sovranità alimentare, sugli sforzi per uscire dal modello della rendita per avanzare verso un'economia produttiva e diversificata. E, in modo del tutto eccezionale, aprendo spazi per una nuova architettura geopolitica.

Chávez e l'America Latina

Il Venezuela, negli anni in cui Chávez è stato a capo del governo, non ha risparmiato impegno per la solidarietà internazionalista. Con Cuba, contribuendo a romperne l'isolamento, sforzi che culmineranno con il suo ingresso a pieno diritto, così come le spetta, nel concerto delle nazioni americane, con la OAS (rganizzazione degli Stati Americani, ndt) giudicata da Washington sempre più irrilevante. Con Haití, dimostrando esempio di altruismo nonché di collaborazione pratica e disinteressata, di carattere tecnico, veramente umanitaria, che contrasta con l'intervento militare e con i subdoli interessi degli altri paesi della regione, inclusi anche alcuni con governi presunti progressisti. Con le battaglie per la pace e la giustizia sociale in Colombia. Con l'accordo, l'integrazione e la sovranità politica, energetica, militare, finanziaria ed alimentare, per farla breve, dell'America Latina sviluppando relazioni paritetiche col resto del mondo.

In questo campo, come in altri, tutte le insufficienze, le omissioni e gli errori che possiamo riscontrare nella sua opera (posto che ce ne siano stati) sono ben poca cosa rispetto ai suoi successi ed alle sue aperture. Visto in prospettiva, il bilancio globale è più che positivo.

Il governo di Chávez ha ampliato i limiti del possibile, a livello nazionale ed internazionale. Chi avrebbe mai immaginato la CELAC (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, ndt) (e con Cuba alla presidenza!) nel 1998, quando Chávez vinse le sue prime elezioni? E la OAS ignorata e bypassata? Un asse continentale come ALBA (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe, ndt)? E l'UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas, ndt)? E le misure economiche contrastanti con la ortodossia neoliberista? E la sovranità sulle risorse naturali? E la regolazione dell'intoccabile mercato, tanto esecrata dalle oligarchie che ne traggono profitti? E il socialismo rimesso al suo posto nel vocabolario politico? E la dottrina militare di Washington sempre più ridotta dentro le caserme?

Non siamo dei feticisti né crediamo all'esistenza di figure della provvidenza nel corso della storia. Siamo dei materialisti coscienti del fatto che la storia la scrivono i popoli. Però non possiamo trascurare o sottovalutare l'importanza che certe persone assumono nei processi in corso, vuoi per il loro carisma, vuoi per la loro capacità di lavoro o per entrambe le cose. Ed è inoccultabile l'importanza del lavoro che Chávez ha sviluppato al governo del Venezuela a favore dell'integrazione latinoamericana per il rafforzamento dei popoli sudamericani.

Il futuro

il popolo venezuelano non è più lo stesso della Quarta Repubblica. Oggi è più politicizzato e più organizzato. E' cosciente di quanto ha guadagnato negli ultimi anni e, pertanto, di quanto può perdere. Il neoliberismo ed i suoi paladini ora non sono più il centro politico del paese, che si è nettamente spostato a sinistra. Gli assi su cui si sviluppa l'agenda pubblica ora non sono più gli stessi, lo prova il candidato della opposizione, un figlio di papà con un passato brevettato a destra, che si era atteggiato a socialdemocratico e per l'occasione si era paragonato a Lula per evitare il ridicolo nei sondaggi.

Gli aspetti migliori del processo bolivariano vanno individuati soprattutto in quella forza dal basso che ha contribuito a scatenare, al suo attivo va messo quel popolo meticcio, ribelle, creativo, che si è espresso in massa, per le sue strutture e per la forza delle strutture "chavistas", nella Corriente Revolucionaria Bolívar y Zamora, nei quartieri popolari, nella comunicazione alternativa, nei sindacati di classe, nel popolo in armi, nella lotta per lo spazio pubblico, per il petrolio in eccesso, per la sovranità nazionale, per la cultura, per l'acqua, per la terra, per la salute, per una vita degna e per il Poder Popular. Con o senza Chávez si andrà avanti così, perché la lotta del popolo venezuelano non è cominciata e non finirà con la sua morte.

Tuttavia preoccupa la eccessiva personalizzazione del processo di cambiamento. Il processo bolivariano dovrebbe consolidare una leadership collettiva, se non vuole perire nella lotta per l'eredità del defunto. La sfida è quella che sia davvero un processo boliviariano e non unicamente struttura e "chavismo". Ugualmente preoccupa l'eccessiva conformità con i parametri del vecchio Stato, il quale non dimentichiamoci che non è stato distrutto ma solo riformato, e dentro in quale convivono il nuovo ed il vecchio: la vecchia magistratura, la vecchia rete imprenditoriale, la vecchia politica, i vecchi media, i vecchi accademici ed intellettuali, le vecchie consuetudini, i pregiudizi e se alcune strutture sono in corso di cambiamento, altre restano come prima. Dentro e fuori dello "chavismo". E si deve essere consapevoli del fatto che non è tutto oro quello che luccica. Qualsiasi governo attira non solo persone con la vocazione per il servizio pubblico, ma anche "arrampicatori", sanguisighe e parassiti, in numero e grado proporzionale ai privilegi ed alle "maniglie" che cercano di ottenere. E non c'è dubbio che quasi 15 anni di governo, e in più in una società a capitalismo di rendita, clientelare e burocratico, producono delle conseguenze, sul piano dello sviluppo del negoziato, del nepotismo e di ogni sorta di favoritismo.

Intendiamoci, la nostra non è una critica che attacca senza proporre, che nega e che come alternativa propone l'isolamento. Che per eccesso di zelo ha un effetto demoralizzante e disarmante di fronte al nemico. Che per mancanza di intuizione e di senso storico giunge ad affermare che "tutti i governi sono uguali". No. Sappiamo che non si può pretendere di essere immuni all'ambiente che ci circonda e passare per puri ed immacolati quando si tratta di discutere di egemonia e quando lo scenario in cui si deve lottare non lo abbiamo scelto noi, ma ci giunge modellato dal nemico a suo vantaggio attraverso le generazioni precedenti.

Però queste considerazioni non ci devono portare a giustificare l'ingiustificabile o condurci al cinismo per "andare dove va la corrente" in nome di un presunto pragmatismo politico, bensì a lavorare di più per sviluppare strumenti efficaci per continuare a creare opportunità che aprano spazi alla sfera popolare e sottraggano l'egemonia alle classi dominanti: organizzazioni popolari forti, vive e indipendenti contro la cooptazione, le nomine di partito ed il clientelismo, dibattiti ampli contro la tendenza a decidere all'interno di 4 mura, partecipazione sociale contro l'unilateralismo di controllo e di comando, elezione popolare dei candidati e delle cariche contro le nomine "su investitura", valori socialisti contro i vizi capitalisti, responsabilità contro i privilegi, il nuovo contro il vecchio...

Tutte queste mentalità e queste prassi, queste tendenze, si trovano a doversi aprire la strada a tutti i livelli perché la morte di Chávez non sia la festa della borghesia ma solo un episodio, per quanto doloroso, nella marcia ascendente del popolo venezuelano verso livelli più alti di sovranità e di benessere.

Manu García

Santiago del Cile, 5 marzo 2013

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

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