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Rischio sismico nelle strutture lavorative e nei territori

category italia / svizzera | ambiente | opinione / analisi author Monday January 28, 2013 17:39author by Francesco Aucone - FdCA Report this post to the editors

Testo dell'intervento fatto durante l'Assemblea della Rete nazionale salute e sicurezza sul lavoro e sui territori tenutasi a Roma il 25 gennaio 2013.


Rischio sismico nelle strutture lavorative e nei territori


Una problematica che spesso viene ignorata nella considerazione della sicurezza dei posti di lavoro è quella legata ai rischi geologici, e specialmente al Rischio Sismico.

Non è un bene perché alcuni eventi geologici,ed in special modo i terremoti, sono in grado di danneggiare in un lasso di tempo brevissimo, e senza sufficiente preavviso, le opere umane e quindi anche le strutture lavorative e, conseguentemente, mettere in pericolo l'incolumità dei cittadini in generale e dei lavoratori e delle lavoratrici, relativamente alla tematica che stiamo trattando.

Questi rischi vengono spesso non considerati e salgono alla ribalta delle cronache solo quando il loro conclamarsi provoca distruzione di opere e di vite umane.

L'esempio più recente è rappresentato dall'Emilia, dove nel Maggio-Giugno del 2012 si sono verificate una serie di scosse sismiche che hanno provocato la morte di 7 persone, tra cui 4 operai per il crollo di alcuni capannoni industriali. Infatti il crollo dei capannoni industriali della Ceramiche Sant'Agostino e della Tecopress di Dosso ha provocato la morte di tre operai, mentre a Bondeno il crollo nella sede di Ursa Italia ha ucciso un altro operaio. Al di fuori dei posti di lavoro, altre tre persone sono rimaste uccise dal crollo delle proprie case e da malori.

Ora, se è vero che questi capannoni erano stati costruiti prima del 2003 e quindi prima dell'entrata in vigore dell'ultima classificazione sismica nazionale che ha alzato il grado di pericolosità sismica dell'area interessata, è pur vero che alla luce delle nuove conoscenze non è stato fatto nulla, dopo quella data, perlomeno per verificare sismicamente le strutture industriali emiliane.

Torneremo a considerare le problematiche legate alla vulnerabilità sismica degli edifici e le normative in vigore più tardi, ora facciamo un passo indietro ad alcune considerazioni di carattere generale sul Rischio Sismico.

Il terremoto è un evento naturale diffusissimo sul nostro pianeta. In un anno se ne registrano nel mondo circa un milione, di cui alcune migliaia sono abbastanza forti da essere percepite dall'essere umano, ma di cui solo qualche decina è in grado di causare gravi danni. Per fare qualche esempio generalmente avvengono più di 14000 terremoti all'anno con M > 4 e più di 130000 con M > 3.

Se per ogni territorio riuscissimo a definire in maniera sufficientemente precisa l'energia di un terremoto ed a stabilirne in modo preciso il tempo di accadimento, avremmo risolto il discorso della previsione dei terremoti. Ma ciò non è possibile sia perché non abbiamo un arco temporale sufficientemente rappresentativo di osservazione scientifica degli eventi sismici, e sia perché, alla luce delle attuali conoscenze pare che i terremoti che si susseguono in un determinato territorio non siano assolutamente periodici.

L'unica previsione a lungo termine che si può fare è quella storico-probabilistica che viene impiegata per definire la pericolosità sismica di base di una determinata area, e che è funzione della probabilità di superamento di un determinato livello energetico del sisma, in un determinato intervallo di tempo.

Anche perché sul versante della previsione a corto termine non siamo messi benissimo; poco di preciso si sa infatti sul comportamento dei precursori sismici, tutti quei fenomeni che sembra possano in qualche modo preavvisare un evento sismico di grande dimensione. Sembra infatti che l'aumento della concentrazione del gas radon o il manifestarsi di sciami sismici, o il conclamarsi di altri fenomeni che a volte anticipano i terremoti non sempre preannunciano scosse importanti e inoltre che molti eventi catastrofici che si sono verificati negli ultimi anni non sono stati purtroppo preannunciati da alcun fenomeno precursore.

L'unico aspetto, quindi, su cui si può fare leva per difenderci da questi eventi naturali è la prevenzione, ossia prevedere i loro effetti.

E cosa significa fare prevenzione rispetto ai terremoti?

Dal punto di vista della prevenzione contro gli effetti del terremoto, inquadrare una determinata area e considerare l'interazione fra il terremoto, le opere umane e le persone presenti sull'area, significa definirne il Rischio Sismico.

Il Rischio Sismico quantitativamente è espresso dal prodotto di tre grandezze: pericolosità, vulnerabilità ed esposizione.

La pericolosità sismica è una grandezza oggettiva, indipendente dall'intervento umano, ed è la probabilità che si verifichi, in una data area, entro un dato periodo di tempo, un terremoto di una data energia; la vulnerabilità sismica esprime la propensione delle opere costruttive umane a resistere ai terremoti; la vulnerabilità, a differenza della pericolosità, è una grandezza soggettiva perché dipende dalla qualità con cui vengono costruiti gli edifici; infine l'esposizione, anch'essa una grandezza soggettiva, rappresenta la presenza di popolazione, strutture, infrastrutture, attività o comunque beni in termini di vite umane, economici, storici e strategici che possono essere danneggiati da eventi sismici.

Consideriamo ora queste grandezze più dettagliatamente ed una alla volta e vediamone le loro implicazioni a livello sociale.

La pericolosità sismica esprime quindi, per una determinata area o per una determinata costruzione, il terremoto che ci si può aspettare in termini energetici in un determinato periodo di tempo. Essa dipende essenzialmente da due gruppi di condizioni al contorno: il primo, che definisce la pericolosità sismica di base, è caratterizzato dalla posizione dell'area, o dell'edificio, rispetto alle zone sismogenetiche; il secondo, che definisce gli effetti sismici locali, è caratterizzato dalle caratteristiche geologiche e topografiche del sito dell'area o dell'edificio considerati.

La pericolosità sismica di base viene definita con metodologie storico-probabilistiche: vengono prima ricostruiti i cataloghi storici degli eventi che successivamente vengono trattati con criteri probabilistici e spalmati sul territorio dopo essere stati sottoposti a leggi di attenuazione.

Si capisce che a seconda dei criteri probabilistici e delle leggi di attenuazione impiegati, possono derivare, per un medesimo territorio, diverse classificazioni.

Ritornando all'esempio dell'Emilia se fossero stati applicati criteri proposti da alcuni Autori, la zona di pericolosità 2 prevista dalle normative vigenti, dovrebbe essere più estesa comprendendo molti grandi Comuni come Bologna, Modena, Reggio Emilia, ecc e molti di quelli ora compresi in zona 3 in cui sono avvenuti gli ultimi terremoti. (Ricordiamo che secondo l'OPCM 3274 del 2003, attualmente in vigore, la pericolosità sismica del territorio italiano è contraddistinta in 4 classi con pericolosità crescente dalla 4 alla 1).

È chiaro che questa affermazione lascia il tempo che trova perché si può elevare a piacere la pericolosità sismica di una certa zona, ma se poi non si fa niente per migliorare la resistenza delle costruzioni, questa operazione puramente teorica non serve a niente.

Per definire al meglio la pericolosità sismica (ossia ricordiamo l'energia di un terremoto in funzione dell'intervallo di tempo considerato) vanno considerati anche i già accennati effetti sismici locali, dipendenti come abbiamo visto dalla geologia e dalla topografia di un certa area.

Alcune tipologie di terreni hanno infatti la capacità di amplificare l'ampiezza delle onde sismiche e di modificarne le frequenze, in funzione dei loro spessori e delle loro caratteristiche geofisiche; inoltre i fenomeni di amplificazione si verificano anche in determinate condizioni morfologiche (pendii ripidi, creste affilate, fondo valli stretti, ecc).

A questi effetti vanno poi aggiunti altri fenomeni locali legati al sisma come le frane indotte ex novo o riattivate in seguito allo scuotimento ripetuto e continuato di suoli instabili; la liquefazione dei terreni che si verifica in determinate condizioni geotecniche ed idrogeologiche, in seguito a carico ciclico causato dalle onde sismiche su sedimenti immersi in falda; la fagliazione che si verifica quando le rotture che generano il terremoto arrivano fino in superficie ad interessare le opere umane.

Questi fenomeni locali sono stati osservati in Emilia, dove si è visto ad esempio che i terreni sedimentari emiliani possono amplificare i terremoti fino a circa 10 volte e dove inoltre si sono verificati numerosi episodi di liquefazione dei terreni.

Ora, se per la determinazione della pericolosità sismica di base del territorio italiano si può al limite discutere e obiettare sui criteri utilizzati nel definirla, per quanto riguarda la definizione degli effetti sismici locali siamo ancora molto indietro (e come al solito la situazione è a macchia di leopardo con alcune Regioni più avanti ed altre molto indietro). Ma non per un'arretratezza delle teorie e delle tecniche scientifiche al riguardo, quanto invece per una colpevole ignavia delle amministrazioni pubbliche competenti e per una generale resistenza dei proprietari delle strutture costruttive, privati o pubblici che siano.

Per fare un esempio, basti pensare che, pur in presenza di precise direttive di legge, circa la metà dei Municipi romani non ha ancora attuato gli studi territoriali necessari alla mappatura del territorio in funzione del livello 1 della Microzonazione Sismica (che oltretutto è il livello più semplice da attuare perché basato prevalentemente su elementi qualitativi).

E questo dovrebbe essere un aspetto da non trascurare visto che gran parte degli edifici delle grandi città italiane, compresi edifici sensibili come scuole ed ospedali, sono situati su aree suscettibili di amplificazione sismica.

E vorrei sapere in quanti dei capannoni crollati in Emilia siano stati fatti questi studi, calcolando il fatto che ¾ del territorio emiliano è suscettibile di amplificazioni sismiche, liquefazioni e riattivazione di vecchie frane.

Se dal punto di vista della pericolosità sismica di base (macrozonazione) siamo messi non malissimo (pur con tutti i limiti legati alla scelta dei criteri probabilistici per definirla ed a quelli legati ai limiti delle conoscenze storiche degli avvenimenti sismici) e per quanto riguarda la conoscenza degli effetti sismici locali siamo piuttosto indietro, dal punto di vista della Vulnerabilità sismica siamo messi malissimo. (Ricordiamo che la Vulnerabilità sismica di un edificio è data dalla sua propensione a resistere ad un terremoto di una certa energia e determinato contenuto in frequenza).

Non raramente ho, infatti, sentito diversi tecnici delle amministrazioni locali ammettere candidamente di non conoscere la Vulnerabilità sismica della stragrande maggioranza degli edifici dei propri territori di pertinenza. E non solo di quelli relativi alle abitazioni private, ma anche dei vari edifici sensibili come scuole ed ospedali. Ma la stessa situazione si registra anche per le grandi strutture private.

Il problema è enorme se si considera il fatto che più del 50% del patrimonio edilizio italiano è stato costruito prima che ci fosse una precisa normativa antisismica, ed anche molti edifici relativamente nuovi, come i capannoni industriali emiliani dove hanno trovato la morte molti operai, sono stati costruiti senza criteri antisismici, perché costruiti prima del 2003, prima cioè che il loro sito fosse classificato con una classe di pericolosità sismica maggiore rispetto a prima.

Quello che si è constatato negli edifici industriali crollati ad opera del sisma emiliano del 2012 è che sono stati la mancanza di collegamenti tra elementi strutturali verticali ed elementi strutturali orizzontali e tra questi ultimi, la presenza di elementi di tamponatura prefabbricati non adeguatamente ancorati alle strutture principali e la presenza di scaffalature non controventate portanti materiali pesanti che hanno causato danneggiamento e collasso delle strutture.

Se vogliamo fare un altro esempio calzante rispetto al problema della Vulnerabilità sismica, in Italia abbiamo un'edilizia scolastica che per più del 60% è costituita da edifici costruiti prima che, in fase progettuale, venisse presa in considerazione quantitativamente qualsiasi azione sismica. Ma a mio parere non possiamo essere certi di quelli costruiti anche quando le normative tecniche relative alle azioni sismiche erano state delineate perché sappiamo bene come si è sviluppata l'edilizia romana negli anni '70 e '80 del secolo passato.

È chiaro che ci troviamo di fronte ad un enorme problema di valutazione della reale ed attuale Vulnerabilità Sismica e del conseguente adeguamento delle vecchie strutture alle nuove normative.

E se si vuole affrontare il problema in maniera seria e reale, andrebbero approntate delle indagini strutturali con lo scopo di: verificare la qualità dei materiali impiegati nella costruzione della struttura, verificare la funzionalità degli elementi strutturali che compongono la struttura, verificare la funzionalità della struttura in toto. E una volta verificata l'eventuale incompatibilità della struttura a resistere alle azioni del sisma, questa andrebbe adeguata aumentandone le resistenze.

L'ultima delle grandezze necessarie a definire il Rischio Simico è l'Esposizione Sismica.

L'Esposizione sismica è la stima economico-sociale delle probabili perdite associate a tutto quanto è soggetto agli effetti del sisma, in termini di vite umane, valore storico-culturale, valore strategico-istituzionale, dei possibili danni ambientali, ecc.

Da questo punto di vista, ad esempio, agglomerati o singoli edifici che sono soggetti a grande affollamento, come gli uffici aperti al pubblico, le scuole, gli ospedali, ecc, hanno una grande esposizione sismica.

Grande esposizione sismica la hanno, per motivi diversi, i grandi impianti industriali il cui danneggiamento potrebbe comportare alti gradi di inquinamento ambientale, come ad esempio centrali nucleari, industrie chimiche, ecc, oppure i depositi di materiale pericoloso, altamente inquinante, o i depositi di armamenti, ecc.

L'Esposizione sismica è il termine che, a differenza della Pericolosità e della Vulnerabilità, con i quali contribuisce a definire la relazione che caratterizza il Rischio Sismico, non è definito scientificamente, ma è legato alla concezione dominante di ciò che in una società viene considerato degno di attenzione e di protezione dagli eventuali danni causati da un terremoto.

In tal senso infatti un'alta Esposizione sismica viene conferita anche a tutti quegli edifici predisposti ad ospitare le forme di potere, legislativo, giudiziario ed esecutivo, che costituiscono l'ossatura dell'attuale ordinamento politico-economico.

Questo aspetto non è di secondaria importanza perché rappresenta la linea guida delle Istituzioni statali nel dare precedenza rispetto alla prevenzione sismica.

Vediamo infatti come si pone lo Stato di fronte a questa problematica.

Le recenti Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC contenute nel DM 14 Gennaio 2008, entrate in vigore nel Luglio del 2009), dividono le costruzioni in quattro classi d'uso a seconda della loro importanza socio-economica.

Alla classe 1 vengono accorpate tutte quelle opere meno importanti che hanno specialmente carattere transitorio; alla classe 2 vengono accorpati tutti quegli edifici caratterizzati da affollamento ordinario, come le normali abitazioni; alla classe 3 vengono accorpati tutti quegli edifici caratterizzati da grande affollamento (scuole, ospedali, teatri, cinema, biblioteche, ecc); alla classe 4 tutti gli edifici della classe 3 che sono inseriti nei piani di protezione civile e tutti gli edifici che ospitano le funzioni dei vari poteri dello Stato (caserme dell'esercito e delle forze dell'ordine, tribunali, parlamento, senato, municipi, sedi regionali e provinciali, ecc).

Inoltre la più recente normativa vigente stabilisce che: i proprietari di edifici e strutture di carattere strategico e rilevante (a qualsiasi zona sismica appartengano) realizzati antecedentemente al vincolo sismico sono tenuti ad effettuare entro il 31 dicembre 2012 le verifiche di sicurezza sismica degli edifici di cui all'art. 2 comma 3 dell'Ordinanza della presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 2003; si tratta degli edifici appartenenti alle classi d'uso 3 e 4 delle NTC e per quanto riguarda il settore industriale sono ricompresi nella normativa quelli dove è prevista una presenza contemporanea media di oltre 200 addetti e quelli nei quali avvengono lavorazioni di materiali insalubri o sostanze pericolose (classe 3).

A parte che bisognerebbe verificare ad oggi quanti sono stati i proprietari pubblici e privati che hanno ottemperato a queste direttive, ma come si vede rimangono fuori dagli obblighi di verifica sismica la stragrande maggioranza degli edifici industriali italiani, in un sistema economico dove sappiamo essere in maggioranza le piccole e medie imprese.

In questo scenario di poca considerazione del Rischio Sismico, l'unico appiglio legale che abbiamo per cercare di invertire la tendenza riduttiva dello Stato sono le indicazioni contenute nel Testo Unico Sulla Sicurezza Sul Lavoro (D.L. 81/08), li dove si enunciano gli obblighi dei datori di lavoro alla valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza nei posti di lavoro, all'eliminazione di questi rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò sia possibile, alla riduzione al minimo del rischio appurato, al di la della grandezza o dell'importanza economica dell'attività produttiva.

Ma abbiamo anche imparato sulla nostra pelle che la sicurezza sociale nei territori e nei posti di lavoro, già ampliamente ignorata dalle istituzioni pubbliche e dalle imprese private è, specialmente in questo periodo, ulteriormente sacrificata sull'altare del profitto e degli euro-sacrifici.

In realtà le risorse tecniche ed economiche per affrontare la problematica dei vari tipi di rischi ambientali e lavorativi ci sono.

Bisognerebbe sottrarle alle amministrazioni statali, centrali e periferiche, che le sprecano nel mantenere l'esercito del consenso all'interno delle aziende pubbliche o a capitale misto o nel mantenere gli eserciti propriamente detti in giro per il mondo a garantire quella pace essenziale agli affari delle multinazionali, bisognerebbe sottrarle dalle cifre che vengono regalate agli imprenditori delle finte cooperative con le esternalizzazioni dei servizi, o a quanto viene distribuito ad un imponente esercito di dirigenti totalmente inutili alla collettività.

Bisognerebbe costringere gli imprenditori privati a rendere reale il contenuto della 81/08, anche rispetto alla considerazione dei vari rischi ambientali a cui può essere sottoposto un impianto industriale.

Tutto ciò può essere realizzato solo con l'autorganizzazione nelle fabbriche e nei territori; da burocrati e da imprenditori non ci si può aspettare la salvaguardia della sicurezza ambientale dei posti di lavoro e dei territori dove viviamo.

Francesco Aucone
Geologo

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