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La Direttiva Bolkestein

category internazionale | lotte sindacali | opinione / analisi author Friday February 10, 2006 19:41author by Laure Akai - Federacja Anarchistyczna Praga Report this post to the editors

Dumping sociale e sfide internazionali

La legislazione che propellerà l'Agenda di Lisbona nel suo tentativo di imporre un modello economico più liberista sull'Europa ha già incontrato l'opposizione, ma resta ancora molta strada da fare se si vuole proporre delle strategie per la creazione di una società equa e libertaria.


La Direttiva Bolkestein: Dumping sociale e sfide internazionali

Sembra che il mondo del lavoro abbia trovato un tema su cui mobilitarsi a livello internazionale: si tratta della Direttiva sui Servizi nel Mercato Internazionale, altrimenti nota come Direttiva Bolkestein. La direttiva, che vorrebbe rimuovere le barriere alla fornitura di servizi tra gli Stati membri, viene molto spesso criticata per il suo "principio del paese di origine". Grazie a tale principio, le compagnie che si sono registrate in uno degli Stati dell'Unione Europea (UE) possono non solo fornire servizi in qualsiasi Stato della UE, ma possono anche utilizzare lavoratori erogatori di tali servizi all'estero applicando loro la legislazione del paese in cui si sono registrate. Si teme che il mondo del business vorrà utilizzare questa norma per trarre vantaggio dai livelli più bassi di difesa ambientale e sindacale applicati a lavoratori che si trovano ad operare in paesi con livelli di tutela più alti. Sembra inevitabile che si verifichi una sorta di corsa al ribasso.

La Strategia di Lisbona e l'erosione del modello sociale

Gli interessi del capitale e quelli dei lavoratori sono destinati a scontrarsi finché la ricerca del profitto segue la strada del business. Ma se da un lato gli investitori, i produttori e gli imprenditori si dannano per abbassare i costi, dall'altro i lavoratori, specialmente nei paesi in via di "sviluppo" ed in altre aree a bassa retribuzione, si dannano per aumentare i loro salari. I lavoratori che vivono nelle realtà più ricche d'altra parte, sperano di mantenere i loro livelli di benessere e si oppongono ad ogni erosione delle loro condizioni di vita.

Quanto più si indebolisce l'opzione di distruzione del capitalismo, ormai proposta da sempre meno persone, tanto più povero di scelte ci appare lo scenario che abbiamo davanti, e ciascuna scelta poi presagisce numerosi ed inevitabili problemi. C'è chi ci propone il protezionismo nazionalista ed un alto livello di controllo statale nell'economia, ma questa soluzione spesso non considera il fatto che certi livelli gli assetti capitalistici sono stati raggiunti nel corso di decenni - persino secoli- di sistematico uso del capitale, di imperialismo economico, di sfruttamento economico ed ambientale. Altri abbracciano la globalizzazione nella sua inevitabilità e ci spingono a rispondere alla sue sfide diventando "competitivi". E poi ci sono quelli che non rinunciano a bordeggiare, che vogliono trovare una soluzione intermedia, facendo dei passi verso la competizione globale, pur mantenendo un alto livello di protezionismo che metta al riparo lo Stato (ed ancor più le compagnie) da qualsiasi rivoluzione sociale.

E' in questo contesto che l'UE, dominata da alcuni dei paesi più ricchi del mondo, si confronta non solo con la realtà economica e politica del mondo globalizzato, ma anche con una popolazione in crescita proprio all'interno dei suoi confini (in seguito all'allargamento, ndt).

Questi governi legati al "modello sociale" sono nei fatti protagonisti di una sorta di commedia delle ambiguità, per cui -nonostante il pluralismo diffuso nella UE- si sono da tempo impegnati nell'erosione di questo modello in nome di maggiore competizione per maggiori profitti.

L'Agenda di Lisbona era un piano pensato per modificare il futuro della forza lavoro europea e se ne è discusso per un certo periodo di tempo, ma il movimento operaio e la sinistra non hanno capito quello che stava accadendo, anzi in alcuni casi la vedevano con favore.(1) E ciò è dovuto all'ambiguità seducente del linguaggio usato dal capitalismo, per cui vediamo i periodi di disoccupazione trasformati in attraenti "interruzioni di carriera", i traslochi per raggiungere un nuovo lavoro spacciati per "libertà". Linguaggio capitalistico per il quale la flessibilità del lavoro è necessaria per "creare lavori" e "la concertazione sociale" significa che verrà negoziata con i dirigenti sindacali sia la lenta erosione delle condizioni di lavoro sia la produzione di una legislazione per la "protezione dei lavoratori" che li proteggerà da certi pericoli -escluso ovviamente quello di scivolare inevitabilmente nella lotta globale per la sopravvivenza competitiva.

Bolkestein

Se il linguaggio usato nell'Agenda di Lisbona era troppo fuorviante per suscitare allarme, diversa sorte è toccata alla Direttiva Bolkestein che invece ha sollevato l'attenzione della gente. Ci sono state proteste di massa e perdura una campagna di massa in molti paesi europei.

Sfortunatamente, il dibattito ha preso a volte una piega xenofoba o toni protezionistici, come la storiella famosa dell'"idraulico polacco", collegando l'allargamento della UE con la Direttiva stessa. Il che ci porta ad una serie di problemi, vale a dire a cosa si può proporre in alternativa e come l'UE senza la Direttiva potrebbe risolvere le disuguaglianze nel mondo nel lavoro.

Il primo aspetto della Direttiva Bolkestein riguarda la libertà di registrazione delle imprese. In verità si tratta di un obiettivo che il mondo economico ha raggiunto già da 30 anni, ma che è diventata una realtà limitata con l'adozione della forma di registrazione delle Compagnie Europee (SE) nel 2004. Con la SE, una compagnia registrata ed attiva in un altro paese (in cui ha una sua effettiva sede fisica), può cambiare luogo di attività senza liquidare la compagnia originaria e ri-registrarsi altrove. Questa norma comporta molti limiti, compresi limiti di capitale, per cui non si applica alla maggior parte delle imprese in proprio (come il nostro idraulico), sulle quali gravano anche restrizioni riguardo il riconoscimento delle qualifiche professionali, ecc.

Ad ogni modo, è il principio del paese di origine che presenta vantaggi potenziali, dal momento che permetterebbe agli imprenditori di evitare quegli antipatici lacciuoli mangia-profitti, come ad esempio i minimi salariali.

I proponenti la Direttiva si precipitano ovviamente a sottolineare che un paese può ricorrere a numerose deroghe. Gli articoli 17 e 19 (dopo aver concesso ai governi la facoltà di esenzioni in settori come le poste ed altri servizi) permette ai governi di ricorrere a deroghe per ragioni cogenti di benessere collettivo, di pubblica sicurezza, di politiche sociali o di preoccupazioni ambientali. In altre parole, queste "libertà" economiche possono essere (e lo saranno) regolamentate in modo selettivo dai singoli Stati membri.

Questo non significa che i governi useranno il potere di deroga, sebbene ciò sia molto probabile specialmente in quelle aree con forti tendenze protezionistiche o con forti e combattive organizzazioni sindacali.

Tali misure, comunque, non offrono alcuna soluzione al problema di base della disparità salariale, sia a livello globale che a livello europeo.

Coloro i quali propongono la Bolkestein mettono in rilievo pure che uno degli assunti della Direttiva è che ci sarà una certa armonizzazione nelle aree strategiche dell'UE. In altre parole, si sostiene che se si armonizzano gli standards in certe aree, il principio del paese di origine non potrà allora essere usato come uno strumento per trarre vantaggi da standards più bassi. Il fatto è che non si è intavolato nessun percorso per una vera armonizzazione di molti aspetti critici; se ne parla invece sempre più spesso rispetto alla raccolta del debito, alla protezione del consumatore, al controllo degli standards e dell'assistenza. Ed anche se in quest'ultimo caso, ci si possa intravedere una sorta di salvaguardia, l'esperienza dell'UE ha dimostrato che l'armonizzazione può realmente portare a standards più bassi in certi paesi (2).

La sola area in cui si potrebbe verificare un mutamento rivoluzionario è l'area dell'armonizzazione salariale -ad esempio, un congruo salario minimo europeo e minimi industriali. (La ragione per cui un salario minimo europeo non rappresenta in sé una soluzione e perché i minimi industriali non verrebbero applicati sta nel fatto che, per esempio, attualmente già ci sono infermiere professionali ed assistenti odontotecnici polacchi che lavorano nel New England per un salario minimo, il quale non incide sui minimi industriali, ma è indice di alto sfruttamento e sta già provocando un impoverimento dei salari). Tuttavia il salario minimo non diventerà mai una proposta avanzata dagli Eurocrati, né ci si può aspettare che venga fatto proprio da certi settori sindacali che invece già mettono le mani avanti dicendo che saranno costretti a negoziare standards più bassi o, per certi lavoratori delle fasce meno retribuite, a rimuovere proprio quegli incentivi che li porterebbe poi ad essere licenziati.

Ci si domanda allora quali sono le soluzioni proposte? Un mercato del lavoro dell'immigrazione controllata sarebbe la soluzione di rigore, però si tratta non solo di una soluzione parziale ma anche di una violazione fondamentale al principio della libertà di movimento. Credo che sia una soluzione parziale in quanto ci sentiamo continuamente dire quanto "il paese X abbia bisogno di manodopera qualificata" o "non abbia bisogno" di qualcos'altro; l'altro aspetto della questione riflette le relazioni di potere che consentono ai paesi più ricchi di potersi permettere lavoratori qualificati come dottori ed ingegneri mentre nei paesi più poveri si verifica una fuga di cervelli. Infine, l'emigrazione delle eccellenze e la mancanza di progressi sul piano salariale e delle condizioni di vita potrebbero esacerbare il problema in alcuni paesi.

Molti attivisti anti-Bolkestein tacciono su questo problema. Come è accaduto per il movimento anti-globalizzazione degli inizi, essi sperano di costruire una coalizione con ampi segmenti di oppositori e in verità ci sono riusciti. Mentre gli appelli per "la protezione" del lavoro possono apparire alquanto nobili, mi piacerebbe sapere chi o cosa dovrebbe farsi carico di essere la forza protettrice (sebbene possa già io immaginare che ci si aspetta sia lo Stato). Ma mi piacerebbe anche sapere qual è il modello sociale che si vorrebbe proteggere? Alzando gli standards lavorativi e livellando i salari reali in tutta l'UE, oppure chiudendo il mercato del lavoro e dei servizi agli stranieri? O ci si aspetta che i governi attuino misure tali da costringere il capitalismo dell'UE a tenere alto il costo del lavoro?

Una prospettiva radicale

Quando ci rendiamo conto che un'iniziativa rappresenta una minaccia per le condizioni del lavoratore medio, noi dovremmo attaccarla fosse solo per il fatto che ogni concessione fatta al capitalismo costituisce un ulteriore consolidamento del suo potere. Per cui è perfettamente naturale mobilitarsi intorno a slogan tipo "Stop alla Bolkestein", ma -come accade per la maggior parte delle campagne monotematiche- anche se si vincesse, sarebbe una vittoria limitata poiché siamo solo riusciti a prevenire un peggioramento del problema, senza però riuscire a rimuoverlo. Inoltre, è più che evidente che se la Direttiva cade, verrà fuori qualcos'altro che cercherà di perseguire gli stessi scopi della Bolkestein. Questo mio argomentare può apparire piuttosto cinico, eppure lungi da me intenti disfattisti, intendo solo lanciare un appello perché ci si avvicini ad una visione più ampia della questione.

Tra le file dei contestatori della Direttiva, si possono spesso incontrare persino attivisti radicali che chiedono "protezione" e "diritti", il che rimanda all'assunto per cui ci deve essere un'entità, sia essa lo stato-nazione oppure un'istituzione sovranazionale, la quale svolga un ruolo regolatore per il bene della società, al di sopra degli interessi del capitale. Tale illusione mostra sempre di più il suo aspetto spaventosamente ingenuo; gli interessi della finanza e del capitale sono fermamente difesi all'interno dei governi. I momenti in cui lo Stato fa la parte del protettore sociale sono solo momenti di propaganda finanziati con i fondi pubblici finanziati col nostro lavoro ed i nostri guadagni, e l'opposizione all'abbassamento dei livelli può solo sorgere in relazione alla forza ed al benessere della società; in questo, alcuni stati-nazione sono in netto svantaggio nello spettacolo noto come "tutela dei propri soggetti".

Molti a sinistra prefigurano una transizione dello stato da forza di mediazione e di sostenitore del capitale a soggetto che assicura e tutela il sociale. E se ciò può essere considerato (discutibilmente) una sorta di miglioramento del ruolo dello Stato, resta pur sempre la prospettiva di liquidare lo Stato per sostituirlo con l'autogoverno dei lavoratori e con il federalismo su basi internazionali. Il principio ispiratore, la creazione di una società libertaria, presuppone vari passi per l'eliminazione della deprivazione e della disparità materiale, e, soprattutto, per l'eliminazione della cause della disuguaglianza. Non è possibile nel poco spazio di questo articolo esplorare la struttura necessaria alla creazione di una società libertaria, ma siamo convinti di questo: che la chiave per la creazione di una società futura socialmente egualitaria sta nella liquidazione del potere dello Stato e del capitale.

La sfida che il movimento operaio internazionale (o europeo in questo caso particolare) deve lanciare non è quella di esercitare pressioni per avere vuote promesse da parte di politici menzogneri e nemmeno quella di sbarazzarsi della Direttiva, ma è quella di sperimentare nuove forme di mobilitazione.

Piuttosto che sfilare in manifestazioni preordinate al pari di una massa orchestrata, vorremmo che i lavoratori sperimentassero un senso di auto-attività e di collegamento. Non crediamo che la sfida da lanciare sia quella di mandare i leaders sindacali a trattare con lo Stato ed i funzionari della UE, oppure addirittura tra di loro, crediamo invece che la vera sfida sia che i lavoratori organizzati alla base decidano su una strategia di attività e su un'organizzazione orizzontale, cosa esattamente opposta alla semplice partecipazione dal basso in un movimento verticistico quale soggetto protetto. E' necessario che inizi una discussione su grande scala sulle possibilità di coordinamenti di base internazionali e sulle possibilità di azione diretta con uno sguardo verso l'organizzazione libertaria e le possibilità rivoluzionarie.

Con ciò, invitiamo le persone e le organizzazioni che condividono quanto sopra ad opporsi alla Bolkestein da una prospettiva più radicale per promuovere una visione rivoluzionaria dell'auto-organizzazione e dell'autogestione all'interno di questa campagna. Non basta fermare la Bolkestein. E non basta nemmeno fermare il capitalismo.

Laure Akai


Traduzione a cura di FdCA Ufficio relazioni internazionali

NOTE

1. I ministri del lavoro sostengono che la flessibilità lavorativa possa co-esistere insieme ad alti livelli di tutela sociale. Alcuni leader sindacali sembrano aver tragicamente frainteso il testo dell'Agenda, credendo che si tratti veramente di una strategia per preservare il modello sociale. Giusto l'anno scorso il Guardian pubblicò un articolo sull'Agenda di Lisbona in cui sindacalisti come John Monks della CES dicevano che "avevano fatto bene a far resuscitare l'Agenda giusto una settimana dopo che tutti avevano pensato che l'Europa fosse morta". Per costoro, l'attuazione della strategia sembra sia ancora in questione. "La Strategia di Lisbona deve esser attuata in un modo che sia economicamente, socialmente ed ecologicamente bilanciata".

2. Ci sono numerosi esempi al riguardo, ma ci vengono in mente gli standards sul cibo. E' possibile vedere come in certe aree della Polonia in cui si produce cibo, gli standards dell'UE adottati erano a volte al di sotto di quelli locali, specialmente in termini di quantità di additivi possibili al cibo.

author by nestor - Anarkismopublication date Fri Feb 10, 2006 19:43author address author phone Report this post to the editors

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