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Anarchismo in Asia meridionale: sentieri per la prassi

category asia meridionale | storia dell'anarchismo | opinione / analisi author Friday July 27, 2012 20:23author by Michael Schmidt - ex-ZACF (Sud Africa) Report this post to the editors

Riflessioni sul libro di Maia Ramnath, Decolonizing Anarchism: an Antiauthoritarian History of India's Liberation Struggle (AK Press, USA 2012) e sul suo altro lavoro Haj to Utopia: How the Ghadar Movement Charted Global Radicalism and Attempted to Overthrow the British Empire (California World History Library, USA 2011) - a cura di Michael Schmidt, membro fondatore del Zabalaza Anarchist Communist Front (ZACF) del Sud Africa, coautore con Lucien van der Walt del libro Black Flame: the Revolutionary Class Politics of Anarchism and Syndicalism, Counter-power Vol.1 (AK Press, USA, 2009), ed autore di Cartographie de l'anarchisme révolutionnaire (Lux Éditeur, Canada, 2012). Questo brano è stato gentilmente rivisto da van der Walt. [English]
Accendere l'Asia meridionale: il Partito Ghadar ("dell'ammutinamento")
Accendere l'Asia meridionale: il Partito Ghadar ("dell'ammutinamento")


Anarchismo in Asia meridionale:

Sentieri per la prassi


Con questi 2 libri di Maia Ramnath, del tutto complementari pur nel diverso approccio, l'Institute for Anarchist Studies si è dotato di due straordinari testi sul poco noto movimento anarchico in Asia Meridionale, indispensabili nel ridare luce al dimenticato sforzo organizzativo dell'anarchismo nel mondo coloniale, rendendo così giustizia al suo grande potenziale nel combattere l'imperialismo sul piano pragmatico.

La grande portata dell'antimperialismo anarchico

Per poter illustrare il lavoro della Ramnath, è necessario operare una cesura con la convenzionale storiografia anarchica. Nel loro libro Anarchism and Syndicalism in the Colonial and Post-Colonial World (2010), Lucien van der Walt e Steven Hirsch scrivono: "La Prima Internazionale fu il grembo da cui emerse il movimento anarchico, ma le riunioni formali dell'Internazionale, la sua stampa ed i suoi dibattiti si collocavano nel contesto di una classe operaia e contadina globale e dinamica. Nell'800, l'anarchismo aveva già una presenza organizzata in Argentina, a Cuba, in Egitto ed in Messico negli anni '70, e poi in Irlanda, Sud Africa ed Ucraina negli anni '80. I primi sindacati conflittuali a guida anarchica al di fuori della Spagna (la Federación Obrera Regional Española, 1870) e degli USA (la Central Labor Union, 1884) furono il Congreso General de Obreros Mexicanos (1876) ed il Círculo de Trabajadores in Cuba (1887). Furono questi sindacati gli antenati dei ben noti sindacati rvoluzionari che emersero dal 1890 in poi. Per dirla tutta, l'anarchismo non era una dottrina dell'Europa Occidentale che si diffondeva, già perfettamente confezionata, verso una passiva "periferia". Al contrario, il movimento emerse simultaneamente e transnazionalmente, ad opera di attivisti collegati sui quattro continenti - un disegno di inter-connessione, scambio e condivisione, radicato in un "internazionalismo informale" che sarebbe durato fino agli anni '40 del '900 ed oltre". I due autori concludono che "parlare di movimenti anarchici e sindacali distinti tra Nord e Sud" come acora avviene nell'anarchismo contemporaneo, "sarebbe fuorviante ed inappropriato."

Non bisogna mai smettere di sottolineare come nei suoi primi 50 anni di esistenza, quale movimento proletario di massa fin dalle sue origini all'interno della Prima Internazionale, il movimento anarchico si era spesso radicato in profondità più nelle colonie delle potenze imperialiste in quelle parti del mondo ancora oggi ostaggio dei regimi post-coloniali anziché nelle più note patrie occidentali come la Francia o la Spagna. Fino a che Lenin ed il marxismo non ebbero qualcosa da proporre nelle colonie rispetto alla questione nazionale, e fino a Mao, che era stato anarchico da giovane, il marxismo non aveva nulla da proporre ai contadini di queste aree - regioni che Marx and Engels, parlando della supremazia germanica di fatto, dall'alto della torre del capitalismo tedesco, liquidavano nel Manifesto (1848) come "paesi barbari e semi-barbari". Il marxismo invece metteva in evidenza le virtù del capitalismo (e persino dell'imperialismo) quale un oneroso, ma necessario, trampolino di lancio verso il socialismo. Engels ha riassunto la sua devastante opinione in un articolo intitolato Pan-Slavismo Democratico pubblicato sulla "Neue Rheinische Zeitung" del 14 Febbraio 1849, in cui l'annessione del Texas da parte degli Stati Uniti nel 1845 e l'invasione del Messico nel 1846 per cui il Messico perse il 40% del suo territorio venivano applaudite come "condotte interamente ed esclusivamente nell'interesse della civiltà", per cui la "splendida California era stata portata via ai pigri messicani, che non sapevano che farci" dagli "energici Yankees" i quali avrebbero "per la prima volta aperto l'Oceano Pacifico alla civiltà..." Certo, "l'indipendenza dei californiani ispanici e dei texani potrebbe soffrirne, in alcuni posti la 'giustizia' ed altri principi morali potrebbero essere violati; ma che importanza può avere tutto ciò di fronte ad un fatto di importanza storica mondiale?" Con queste stesse argomentazioni razziali fondate sulla "realtà di ferro" di una intrinseca virilità nazionale che dava il suo contributo alla lodevole supremazia capitalista, Engels diceva che il fallimento delle nazioni slave durante la loro rivolta pan-europea del 1848 contro il giogo ottomano, oppure austro-ungarico o ancora russo, dimostrava non solo la loro incapacità etnica all'indipendenza, ma che esse erano nei fatti nazioni "contro-rivoluzionarie" meritevoli del "più determinato uso del terrore" per sopprimerle.

Sembra di leggere un agghiacciante anticipazione delle argomentazioni nazionaliste e razziste usate dai nazisti per il terrore contro gli Slavi durante la loro conquista dell'Europa Orientale. Questo abissale articolo di Engels era stato scritto in risposta all'Appello agli Slavi da parte di un patriota russo lanciato da Mikhail Bakunin, in cui egli - che allora non era ancora anarchico - aveva veementemente sostenuto che il campo rivoluzionario e quello contro-rivoluzionario non erano divisi dalla nazionalità o dallo stadio di sviluppo del capitalismo, ma dalla questione di classe. Nel 1848, la coscienza di classe rivoluzionaria si era espressa come un "urlo di simpatia e di amore per tutte le nazionalità oppresse". Sollecitando le classi popolari slave ad "estendere le loro rivendicazioni al popolo tedesco, ma non alla... piccola borghesia tedesca che gioisce per ogni piccola disgrazia che possa capitare agli slavi", Bakunin concludeva che vi erano "due grandi questioni spontaneamente postesi nei primi giorni della primavera [del 1848]... l'emancipazione sociale delle masse e la liberazione delle nazioni oppresse".

Nel 1873, quando Bakunin, diventato svergognatamente anarchico, lanciò il guanto di sfida all'imperialismo, scrivendo che "due terzi dell'umanità, 800 milioni di asiatici, dormienti nella loro servitù, si desteranno senza meno ed inizieranno a muoversi" il movimento anarchico appena nato iniziava a confrontarsi direttamente e ripetutamente con le sfide dell'imperialismo, del colonialismo, dei movimenti di liberazione nazionale e dei regimi post-coloniali. Ed infatti furono lo strenuo anti-imperialismo anarchico e la sua emergente strategia sindacalista rivoluzionariaria - e non il marxismo pro-imperialista - che svolsero un ruolo egemone nei centri sindacali in Argentina, in Brasile, in Cile, in Colombia, a Cuba, in Messico, in Paraguay, in Perù ed in Uruguay nei primi anni del '900, in quasi ogni significativa e popolosa concentrazione economica nell'America Latina post-coloniale. In sei di questi paesi, gli anarchici hanno fatto tentativi rivoluzionari; a Cuba ed in Messico, ebbero un ruolo decisivo nel vittorioso rovesciamento dei regimi reazionari; mentre in Messico ed in Nicaragua ebbero una profonda influenza su significative sperimentazioni nella grande rivoluzione della costruzione agraria e sociale.

Il movimento anarchico aveva anche costruito piccole realtà sindacaliste rivoluzionarie in diverse aree coloniali e semi-coloniali come in Algeria, in Bulgaria, in Cina, in Ecuador, in Egitto, in Corea, in Malaya (Malesia), in Nuova Zelanda, in Rhodesia Settentrionale e Meridionale (rispettivamente oggi Zambia e Zimbabwe), nelle Filippine, in Polonia, a Puerto Rico, in Sud Africa, nell'Africa Sud-Occidentale (Namibia) ed in Venezuela - ma costruito anche reti rivoluzionarie decisive nel mondo coloniale e post-coloniale: in Africa orientale, nell'Europa Orientale, nel Medio Oriente, in Asia Centrale, in America Centrale, nei Caraibi, nel sud-est asiatico, e nell'area scelta da Maia Ramnath, il sub-continente dell'Asia meridionale. In anni recenti, ci sono stati parecchi faticosi tentativi di ricerca finalizzati alla reintroduzione nei confronti degli anarchici, degli attivisti sindacali e di un più ampio pubblico di attivisti di questa dimenticata tradizione antiautoritaria ed anti-imperialista: il progetto a due volumi, Counterpower scritto insieme a Lucien van der Walt rappresenta un punto di vista globale; un altro è il libro pubblicato da van der Walt ed Hirsch; e ci sono importanti nuovi studi regionali come quello di Ilham Khuri-Makdisi, Levantine Trajectories: the Formulation and Dissemination of Radical Ideas in and between Beirut, Cairo and Alexandria 1860-1914 (2003), e lo studio di Benedict Anderson su Philippines, Under Three Flags: Anarchism and the Anti-colonial Imagination (2005).

Ma finora, mancava una ricerca storica sull'anarchismo ed il sindacalismo in Asia meridionale (nella terminologia pre-partition usata da Maia Ramnath, oggi India). In parte perché si tratta di un sub-continente immenso e frammentato, con tre potenze imperialiste - Gran Bretagna, Francia e Portogallo - che hanno direttamente esercitato il loro dominio su una molteplicità di principati e di altre strutture di potere indigene, spesso integrate negli imperi europei tramite alleanze o un governo indiretto; una sorta di patchwork non dissimile dalla Germania prima della espansione prussiana della metà del XIX secolo. La Ramnath definisce le strutture pre-coloniali dell'India "una serie di sovrapposizioni, di unità sovrane segmentate ed orientate verso differenti centri". Questo sistema politico ad "alveare" era poi ulteriormente attraversato da divisioni religiose, linguistiche, di colore e di casta, tanto da rendere notevolmente arduo rintracciare l'idea anarchica e la sua diffusione in tale potpourri.

Il lavoro di ricerca di 12 anni, mio e di van der Walt, per la pubblicazione di Counter-power ci aveva fatto capire che la mancanza di informazioni sul movimento anarchico indiano era dovuta probabilmente (fino al lavoro della Ramnath) al fatto che nessuno aveva cercato tracce della sua esistenza. Mentre la storia del marxismo indiano è stata ben documentata, gli anarchici sono stati invece ignorati, oppure confusi con i ben diversi ghandiani. Ad esempio, era ovvio per noi che la forza del movimento anarchico francese nella prima metà del XX secolo doveva implicare che ci doveva essere stata una presenza o un impatto anarchico o sindacalista sul porto coloniale francese di Pondicherry; ed infatti la Ramnath ora ci conferma che Pondicherry era almeno una base di simpatizzanti anarchici indiani.

C'erano, ovviamente, dei reali ostacoli strutturali alla diffusione dell'anarchismo e del sindacalismo nell'Asia meridionale coloniale. La maggior parte dell'India era pre-industriale, persino semi-feudale; e mentre c'era una grande massa di braccianti, il capitalismo aveva un impatto assai limitato. Nonostante il travisamento che dell'anarchismo e del sindacalismo si fa nelle opere della tradizione marxista le quali lo si considerano un rifugio delle classi artigianali in declino, ed una rivolta contro la modernità, è stato soprattutto nelle città industrali di tutto il mondo - Chicago, San Francisco, Buenos Aires, Valparaíso, São Paulo, Veracruz, Glasgow, Barcellona, Essen, Torino, Ekaterinoslav (Dnipropetrovs'k), San Pietroburgo, Il Cairo, Johannesburg, Shanghai, Canton (Guangzhou), Yokohama, Sydney e così via - che il movimento anarchico ha eretto i suoi capisaldi: i porti, le baraccopoli, le miniere, le piantagioni e le fabbriche erano i luoghi in cui germinava; mentre le rotte di navigazione e le ferrovie erano i suoi vettori. Gli esperimenti agrari dell'anarchismo erano incentrati in regioni in cui il precedente vecchio ordine agrario era stato spazzato via dall'imperialismo, dal capitalismo e dallo Stato moderno, come a Morelos e Pueblo in Messico, a Fukien in Cina, a Shinmin in Manciuria, ad Aragona, Valencia ed in Andalusia in Spagna, in Patagonia in Argentina ed a Zaporižžja in Ucraina. Per cui, per certi versi, la frammentazione coloniale dell'India ed il suo livello di sviluppo possono essere considerati simili a quelli dell'attuale Africa Occidentale, in cui i primi sindacati conflittuali sono sorti negli anni '90 in Sierra Leone ed in Nigeria.

Ma l'India è anche una parte molto importante del mondo moderno con i suoi sistemi più antichi trasformati dall'imperialismo insieme al sorgere della borghesia locale; il "gioiello" dell'Impero Britannico è stato bloccato nella globalizzazione di fine XIX secolo nella funzione di fonte di manodopera a basso prezzo (tra cui una grande diaspora con gli immigrati a contratto), di fornitrice di materie prime, di mercato di massa; i marinai indiani erano integrati sulle navi britanniche così come operai e contadini indiani erano integrati nell'industria britannica; i lavoratori e gli intellettuali indiani residenti in occidente erano fortemente coinvolti in ambienti ed alleanze radicaleggianti. Per cui sono del tutto convinto, dato che il sindacalismo è stato propagandato incessantemente dai rivoluzionari indiani nel periodo pre-1GM e tra le due GM e visti i loro legami con la classe operaia britannica, orientata negli anni pre-1GM verso un sindacalismo conflittuale, che qualcuno che stia cercando attivamente qualche forma di fatto di sindacati nei porti indiani, potrebbe portare alla luce qualcosa di interessante.

Introduzione ai libri di Maia Ramnath

In breve, nella sua opera Decolonizing Anarchism, la Ramnath inforca "le lenti stereoscopiche dell'anarchismo e dell'anticolonialismo", tanto negli approcci esplicitamente anarchici quanto in quelli meno espliciti socialisti libertari, per cogliere parole ed atti di un ampio spettro di pensatori ed attivisti locali, dai terroristi bengalesi dei primi del '900, al decentralizzatori gandhiani del periodo dell'Indipendenza alla metà del secolo, fino ai movimenti sociali non-partigiani di oggi. Si tratta di un importante recupero di una tradizione che aveva rigettato sia lo statalismo del partito del Congresso Nazionale indiano che quello delle tradizioni comuniste, e che solleva importanti questioni sulla traiettoria dell'anti-imperialismo indiano.

L'altro suo lavoro, Haj to Utopia, affronta lo studio della cosa più vicina ad un'organizzazione di esplicita influenza anarchica a livello sub-continentale e nei fatti internazionale che l'India abbia avuto nel periodo coloniale: il Partito Ghadar [dell'ammunitamento, ndt]. Questo nome ha origine dall'ammutinamento del 1857 contro il governo britannico, una rivolta venerata dai rivoluzionari indiani di tutte le ideologie, come si può capire anche dalla miscela fusa e graduale all'interno di Ghadar fatta di sindacalismo, marxismo, nazionalismo, repubblicanesimo radicale, pan-islamismo. Nei due libri si ritrova la figura del fondatore del Partito Ghadar, Lala Har Dayal (1884?- 1939), uno che girava il mondo, bakuninista ascetico e sindacalista, segretario della sezione dell'Industrial Workers of the World (IWW) di Oakland in California, nonché fondatore del Bakunin Institute vicino Oakland. Har Dayal ha suscitato l'interesse mio e di van der Walt, quando abbiamo scritto la parte sull'Asia meridionale nel volume di narrazione storica Global Fire in Counter-power, in quanto egli era esplicitamente anarchico e sindacalista e perché era un vero internazionalista, edificatore di un movimento di liberazione mondiale che non solo aveva radici nel subcontinente indiano e nel Punjab, ma che aveva collegato rivoluzionari della diaspora indiana [migrazione di massa di circa 20 mln di persone dopo l'indipendenza dell'India e la contemporanea separazione dal Pakistan nel 1947, ndt] fino in Afghanistan, nell'Africa orientale britannica (oggi Uganda e Kenya), nella Guyana Britannica (oggi Guyana), in Birmania, in Canada, in Cina, alle Fiji, a Hong Kong, in Giappone, in Malaya (Malesia), in Mesopotamia (Iraq), a Panama, nelle Filippine, nel Siam (oggi Tailandia), a Singapore, in Sud Africa, e negi USA, con attività del Partito Ghadar che sono proseguite (ad esempio) nel Kenya coloniale fino agli anni '50.

Stranamente, la Ramnath usa spesso la definizione "anarchismo occidentale" - con cui dice di riferirsi alla concezione occidentale dell'anarchismo, piuttosto che ad una connotazione geografica. Eppure nel suo lavoro si sottolinea il fatto che l'anarchismo/sindacalismo fu un movimento universale, non confinato né incentrato nell'Occidente, un movimento transnazionale diffusosi e radicatosi profondamente in tutto il mondo. Naturaralmente, esso si è adattato alle situazioni locali e regionali - l'anarchismo nel movimento indigeno peruviano non era identico all'anarchismo rurale di Vlassovden in Bulgaria, o a quello tra i fuori-casta Burakumin in Giappone (con implicazioni con gli altri fuori-casta Dalit in India) - ma ognuna di queste versioni condivideva caratteristiche ed idee di base. L'anarchismo nell'Asia meridionale è un piccolo ma importante nodo nella vasta rete dell'anarchismo attraverso il mondo coloniale e post-coloniale. Credo che Maia Ramnath avrebbe potuto disporre di una più approfondita conoscenza delle traiettorie storiche del movimento e della sua presenza nell'Asia coloniale, non da ultimo in Cina, Manciuria, Corea, Formosa (Taiwan), Malaya (Malesia), nelle Filippine e nei territori del Tonkino, Annam e Cocincina (oggi, insieme, Vietnam) - ma il nostro volume intitolato Global Fire non è ancora stato pubblicato.

Con i miei libri ed insieme a Lucien van der Walt abbiamo sfidato la ristretta polarizzazione nord-atlantica della maggior parte della pubblicistica della storiografia anarchica, perché noi viviamo nell'Africa post-coloniale ed abbiamo bisogno di riscoprire e di ristabilire la legittimità della prassi anarchica/sindacalista nella nostra regione - dove, per esempio, i sindacalisti costruirono nel 1917 quello che probabilmente fu il primo sindacato degli operai indiani in Africa nella colonia britannica a Durban, in Sud Africa, sul modello dell'IWW, e dove ancora oggi lavoriamo insieme ai militanti della diaspora indiana. Si deve dare dunque grande credito al lavoro della Ramnath se le implicazioni della sua ricerca nel ristabilire oggi la rilevanza del socialismo libertario in Asia meridionale vadano ben oltre i suoi stessi obiettivi. Nonostante ella viva negli imperialisti Stati Uniti d'America, le sue motivazioni appaiono ben simili alle nostre: la riscoperta del posto del suo popolo nella storia anti-autoritaria. E nonostante il fatto che il nostro approccio privilegi ciò che a David Graeber piace etichettare come "anarchismo con la A maiuscola" - e cioè un movimento di lotta di classe organizzato esplicitamente anarchico - e l'approccio di Maia Ramnath privilegi ciò che Graeber ama etichettare come "anarchismo con la a minuscola" - cioè una più ampia gamma di movimenti di opposizione libertari e di influenza anarchica - i nostri obiettivi coincidono; prese insieme, la nostra traiettoria e quella di Maia Ramnath portano a ciò che lei definisce col termine Haj, cioè un pellegrinaggio politico-intellettuale, verso il recupero di una valida prassi anarchica anti-imperialista.

Ridefinire il "libertarismo" di Gandhi

Così come Maia Ramnath ci ha fatto conoscere i particolari della vita dell'ubiqua figura di Mandayam Parthasarathi Tirumal "MPT" Acharya (1887-1954), una lunga vita da anarchico ed, ironicamente, delegato di Lenin nel "Governo Provvisorio Indiano" fondato dal Partito Ghadar a Kabul, così noi speriamo di farle conoscere dei sindacalisti rivoluzionari indiani come Bernard Lazarus Emanuel Sigamoney (1888-1963) del sindacato Indian Workers' Industrial Union di Durban, ispirato all'IWW. Per molti versi abbiamo percorso gli stessi sentieri, per cui anche noi abbiamo bisogno di riconsiderare i terroristi bengalesi che interagirono con anarchici inglesi come Guy Aldred, per accertare se essi fecero mai parte dell'anarchismo, al di là della semplice e pericolosa "propaganda col fatto". Dobbiamo anche valutare se si può dire dire di Mohandas Gandhi (1869-1948) - come fa Peter Marshall nel suo libro Demanding the Impossible: a History of Anarchism (2008), un 'opera magistrale ma viziata nelle definizioni - che fu "l'eccezionale libertario nell'India degli inizi del secolo". Questo stesso ragionamento è stato fatto dal compianto Geoffrey Ostergaard, che definì i gandhiani come "anarchici gentili".

Ramnath scrive di Gandhi che egli "nutriva un profondo disprezzo per l'istituzione Stato". Questo è indiscutibile ed è importante rammentare che c'era un filone anti-statalista nell'anticolonialismo indiano. Ma l'anarchismo è molto di più del semplice anti-statalismo: l'anarchismo è socialista libertario, nato dalla moderna classe operaia. L'anti-statalismo di Gandhi si fondava in realtà su una cultura contadina chiusa e la Ramnath correttamente lo colloca tra i "romantici anti-modernisti"; il suo era un anti-statalismo che non si tradusse mai in una vera visione di liberazione nazionale senza lo Stato quale suo veicolo, e che mai ebbe un vero impatto programmatico sul movimento del Congresso. Ramnath risulta più convincente di Marshall nel dimostrare la natura socialista libertaria di Sarvodaya, il movimento autogovernato di influenza gandhiana di Jayaprakash "JP" Narayan (1902-1979).

Il movimento gandhiano Sarvodaya non rientra nella corrente anarchica, ma agli inizi esso appare, proprio come l'anarchismo, una componente di quella corrente socialista libertaria più ampia al cui interno vi si ritrova anche il comunismo dei consigli. Ci sono dei parallelismi tra la visione di Gandhi di "una federazione decentrata di autonome repubbliche di villaggi" e la visione anarchica di un mondo di consigli operai e di quartiere. Ma questo aspetto non va sopravvalutato. Il rifiuto di Gandhi della modernità capitalista occidentale e dell'industrialismo contiene degli elementi libertari, ma Ramnath forse si spinge troppo in là quando conclude che secondo lei Gandhi aveva una chiara "visione sociale anti-capitalista" da cui fosse possibile creare un nuovo mondo emancipato - un mondo in cui la modernità assume la nuova veste del socialismo libertario delle classi popolari. Secondo Ramnath, l'opposizione di Gandhi sia al capitale britannico che a quello indiano appare semplicemente romantica, anti-moderna ed anti-industriale, un rifiuto di quei parassiti sul paesaggio indiano che William Blake definì come "gli oscuri mulini di Satana". E' invece assente una reale visione di opposizione al modello di produzione basato sullo sfruttamento al servizio di una classe parassitaria e Gandhi non vede che il problema con le tecnologie moderne non sono le tecnologie in sé, bensì il loro abuso da parte di una classe.

Il libertarismo di Gandhi conduce facilmente verso un romanticismo di destra. La Ramnath lo ammette ed è insolitamente franca nel notare che all'interno della matrice anticoloniale indiana ci sono filoni da cui possono germogliare semi che portano sia a destra che a sinistra. Come lei scrive in Decolonizing Anarchism, "si tratta di un terreno scivoloso in cui si trovano le lodi dello spirito popolare insieme al misticismo del sangue e del suolo, fino allo sciovinismo ed al fascismo". Anche se nel prendere come esempio quel profeta francese dell'irrazionalismo e dell'urgenza dell'azione violenta che fu Georges Sorel, la Ramnath ne sopravvaluta l'influenza sul movimento operaio sindacalista rivoluzionario (di cui Sorel non fece parte e vi rimase ai margini), lei però ha ragione quando scrive che "certe situazioni [storiche] creano aperture per risposte che possono essere sia di destra che di sinistra" e, cosa ancora più importante, che il "rifiuto di certi elementi (razionali, industriali, o normativi) della modernità, divenne per gli estremisti indiani e per i populisti russi un orgoglioso rifiuto autoreferenziale dell'Occidente", per andare a costituire "uno snodo evolutivo cruciale, da cui erano possibili diramazioni tanto verso Destra che verso Sinistra".

E' questa la contraddizione che sta in seno al movimento gandhiano Sarvodaya. Da un lato, esso aveva una salutare sfiducia nei confronti dello Stato. Dall'altro, manteneva diritti e privilegi arcaici, difendeva le tradizionali gerarchie interne ai villaggi ed il latifondismo paternalista- in linea proprio con Gandhi nel suo "rifiuto di appoggiare la guerra di classe o di ripudiare il sistema delle caste". In pratica, Ramnath ci mette in guardia sul fatto che il tradizionale panchayat, cioè il sistema dei "villaggi repubblica" da cui il movimento Sarvodaya traeva la sua legittimità "era tutt'altro che emancipatorio... le donne che avevano posti di responsabilità venivano scelte di frequente più per il loro essere potenzialmente manovrabili piuttosto che per le loro qualità dirigenziali." Invece, rivoluzionari anarchici contadini come il magonista Praxedis Guerrero (1882-1910, ndt) combatterono e morirono per mettere fine al sistema di classe fondato sul genere, e per creare un mondo rurale genuinamente libero, libero dal feudalesimo e dal patriarcato come pure dal capitalismo - e non per ritornare al feudalesimo al posto del capitalismo. Col suo abbracciare il sistema delle caste ed il latifondismo e con la sua opposizione alle moderne tecnologie in grado di sconfiggere la fame ed il lavoro massacrante, Gandhi si colloca agli antipodi dell'ugualitarismo anarchico.

Inoltre, la corrente principale della tradizione anarchica è razionalista, e perciò si oppone alla mistificazione dello stato-bastione della religione maggiormente organizzata, come nel caso del movimento Sarvodaya che promuoveva esplicitamente l'induismo nel suo abbraccio acritico verso la tradizione. E allora cosa ne facciamo di Gandhi? Per dirla tutta, non mi piace Gandhi in quanto io sono un militante anti-militarista e credo che il pacifismo invece faccia il gioco del militarismo. Ho delle perplessità sul ruolo centrale della figura di Gandhi quale levatrice della nascita dello Stato indiano. A conti fatti, nel suo decentramento nazional-popolare, lo vedo come un precursore di quella cosa che viene chiamata '"anarchismo nazionale", quello strano ibrido nato in questi ultimi anni. Mal giudicato dalla maggioranza degli anarchici come qualcosa di fascista, "l'anarchismo nazionale" fonde decentramento radicale, antistatalismo anti-egemonico (e spesso anti-capitalismo) con una forte spinta auto-determinista verso una omogeneità etnico-culturale alimentata da una tradizione passata per giustificare un futuro radicale; difficile dire che questo sia "fascismo" o una nuova versione del "fascismo", poiché può esserci fascismo senza Stato, senza gerachia di classe, senza autoritarismo e senza il principio del führer?

Tornando al movimento Ghadar: oltre a cristalline figure di anarchici e sindacalisti per la liberazione nazionale come l'ucraino Nestor Makhno (1888-1934), come il coreano Shin Chae'ho (1880-1936), il bulgaro Mikhail Gerdzhikov (1877-1947), e l'algerino Leandré Valero (1923-2011), il Ghadar può essere collocato all'interno di una più ampia corrente di movimenti anti-coloniali che sono stati fortemente influenzati dall'anarchismo, anche se non del tutto anarchici, nel senso che sono stati influenzati da tutta una serie di idee coeve. Per esempio, Augusto Sandino (1895-1934) in Nicaragua, venne influenzato da un mélange di sindacalismo industriale alla IWW, di nazionalismo etnico e di misticismo. Phan Bội Châu (1867-1940) in Vietnam venne influenzato dall'anarchismo, dal repubblicanesimo radicale e, per temporanee ragioni tattiche, fu pure un sostenitore dell'avvento della monarchia vietnamita. Clements Kadalie (1896-1951) in Sud Africa attinse dagli IWW come pure dal liberalismo e dal garveyismo [da Marcus Garvey (1887-1940), sindacalista giamaicano e precursore delle lotte per i diritti degli afro-americani, ndt] per organizzare i lavoratori.

Nel suo libro Haj to Utopia, Ramnath rileva che "Ghadar era il frutto di una sintesi molto particolare; di popolazioni, di questioni, di cornici di contesto e di elementi ideologici. E' precisamente la ricchezza di questa combinazione che gli ha permesso di svolgere il ruolo di generazione mancante nella genealogia del radicalismo indiano e di mediatore tra i discorsi portati avanti da movimenti co-esistenti". Allo stesso modo, in Sud Africa, attraverso figure come Thibedi William "TW" Thibedi (1888-1960) possiamo tracciare un vettore del sindacalismo rivoluzionario che dagli Industrial Workers of Africa va verso il primo Communist Party of South Africa, l'Industrial and Commercial Union [Sindacato dell'Industria e del Commercio, ndt] di Kadalie che ebbe una presenza organizzata nelle colonie britanniche fino nella Rhodesia Settentrionale (Zambia), e sopravvisse fino agli anni '50 nella Rhodesia Meridionale (Zimbabwe).

Tre movimenti dell'Asia meridionale influenzati dall'anarchismo

Quello che interessa a van der Walt ed a me non sono tanto le idee delle individualità socialiste libertarie indiane - dove queste sono legittimamente identificate - quanto piuttosto se quelle idee hanno dato luogo a qualche movimento di massa; da un punto di vista più ampio infatti l'anarchismo risulta rilevante solo se esce dalle sue torri d'avorio e dai suoi ghetti radicali ed auto-referenziali per organizzare le classi popolari, cioè la classe operaia, i poveri ed i contadini; e da un punto di vista più ristretto perché è importante misurarsi oggi con i militanti di etnia indiana per sapere di più sull'anarchismo storico in India e sulle correnti influenzate dall'anarchismo. Ecco perché sia il movimento pre-bellico Ghadar sia quello post-independenza Sarvodaya necessitano di essere riconsiderati per essere stati strumenti sociali viventi che sono andati ben oltre i loro fondatori ed anche - e questo è importante - per imparare dai successi e dai fallimenti di entrambi. A proposito di Ghadar, la Ramnath sostiene nel suo Haj to Utopia che non si trattava solo di un partito, ma anche di "un movimento, con un'idea, una sensibilità ed un insieme di finalità ideologiche che presero il volo - o piuttosto presero una rotta - nettamente al di fuori del controllo dei suoi fondatori". La stessa cosa si può sostenere per Sarvodaya. Dunque cosa possiamo dire di Ghadar e di Sarvodaya in quanto tendenze organizzative, nei termini in cui la loro prassi eccedette la visione originaria che ne avevano sia Har Dayal che Gandhi?

a) Pre-Indipendenza: Ghadar

Per entrambi i movimenti, la questione va declinata in base al loro sviluppo nel corso dei decenni, ma nel caso di Ghadar, la sua provenienza anarchica è chiara e la Ramnath sostiene che siamo di fronte ad un movimento molto coerente: "anche se molti studiosi e molti storici tendono a liquidare l'orientamento politico di Ghadar come una sorta di guazzabuglio senza teoria, io credo che possiamo cogliere all'interno della letteratura e delle azioni del Ghadar un programma eclettico ed in evoluzione, eppure coerente e radicale". Lei sostiene, ad esempio, che in Ghadar "la miscela di libertarismo politico e di socialismo economico, insieme ad una persistente tendenza verso un romantico rivoluzionarismo, in un contesto specifico di marcata tendenza antigovernativa, potrebbero dare l'idea di una presunta incoerenza interna quando invece tali elementi risultano abbastanza leggibili in una logica anarchica... dando a Ghadar l'impulso ad unirsi alle lotte di classe e per i diritti insieme all'anticolonialismo, riuscendo a combinare l'impegno per la libertà con quello per l'uguaglianza. Attingendo inizialmente sia dal socialismo utopista che dal pensiero libertario, la sua critica del capitalismo e del doppio standard razziale del liberalismo portò Ghadar ad incrementare sistematicamente la sua articolazione sia nel corso della [Prima] guerra mondiale che nei conseguenti mutamenti politici a livello mondiale".

In Ghadar "l'atto di accusa contro la tirannia e l'oppressione veniva espresso su basi di principio ed a livello globale, anche se nasceva da una specifica situazione storica e veniva declinato in termini specificatamente rurali; inoltre Ghadar ha sempre previsto una ristrutturazione economica e sociale complessiva per l'India post-coloniale anziché puntare ad una mero passaggio di mano delle istituzioni governative esistenti". "Un vero militante di Ghadar" era, secondo l'autrice, un militante rivoluzionario anti-coloniale, appassionatamente patriottico, internazionalista, laico, modernista, radicalmente democratico, repubblicano, anticapitalista e "per temperamento, audace, dedicato, coraggioso fino alla morte" - tutte virtù che si possono onestamente attribuire a tutti i veri socialisti rivoluzionari, compresi gli anarchici - ma con in più lo scopo per Ghadar di essere per "una libera federazione indiana socialista democratico-repubblicana, per la fine di tutte le forme di schiavitù economica ed imperialista in tutto il mondo." Così, nonostante le sue eterodosse fonti di ispirazione, Ghadar, con la sua visione decentralizzatrice, egalitaria, libera e socialista, anticapitalista, antirazzista, anti-imperialista, universalistica ma sensibile alla cultura nativa, si avvicina di molto all'anarchismo con la A maiuscola.

Come modello organizzativo, scrive l'autrice che "Ghadar si posiziona spesso come organizzazione di transizione tra due modalità di lotta rivoluzionaria, e cioè tra il modello cospirativo delle società segrete e quello dell'organizzazione di massa, in corenza con le teorie volontariste e strutturaliste dell'urgenza del cambiamento imminente". Tuttavia, lei scrive che Ghadar era un "modello relativamente stabile", nettamente diverso, che implicava una necessaria articolazione tra due altre modalità, e cioè tra ciò che noi chiameremmo organizzazione di specifico (o di tendenza) ed organizzazione di massa (della classe).

Per spiegarci meglio: nella maggior parte delle situazioni sub-rivoluzionarie, le organizzazioni anarchiche di specifico hanno organizzato i lavoratori intorno al fulcro critico dello sfruttamento creando sindacati conflittuali, sindacati per difendere la classe operaia ma con obiettivi rivoluzionari. Man mano che questi movimenti di contro-potere di sviluppavano, andavano ben oltre i cancelli della fabbrica, per costruire fronti di classe rivoluzionari che sostenevano (ad esempio) gli scioperi degli affitti, le assemblee di quartiere, orti di sussistenza alimentare, pedagogia popolare, arte proletaria, ed i consigli del popolo (i soviet, potremmo dire, se non fosse che questo termine è stato così gravermente abusato da regimi terribili). Man mano che questo contro-potere e questa contro-cultura diventavano una minaccia significativa per le classi dominanti, si formavano spesso nuclei armati (milizie, forze di guerriglia, o anche cellule sovversive all'interno dell'esercito e della marina) per difendere le conquiste popolari. Ed infine, all'interno di questa maturazione, gli organismi produttivi, distributivi, deliberativi, educativi, culturali e difensivi del contro-potere si sarebbero collegati in assemblee regionali e nazionali composte da delegati con mandato. Questo permetteva il coordinamento della rivoluzione sociale su un vasto territorio e pemetteva la trasformazione del contro-potere in controllo democratico organizzato della società da parte della classi popolari. Questo era il percorso ideale, a cui aspirava la maggior parte dei movimenti anarchici; ne possiamo cogliere alcuni elementi anche nella sensibilità e nelle aspirazioni di Ghadar.

Ma, ovviamente, il mondo non sempre funziona come previsto, ed a volte gli anarchici, come i Bulgari che combatterono per la liberazione della Macedonia dall'imperialismo ottomano nel 1903, furono costretti dalle circostanze a vivere sotto l'imperialismo con due diversi percorsi - in questo caso, prima creando formazioni di guerriglia popolare allo scopo di portare avanti una guerra anti-coloniale, per poi dare importanza all'organizzazione sindacale negli anni successivi. Somiglia molto al percorso intrapreso da Ghadar, il quale si concentrò sul lavoro di propaganda e sull'aspetto militare, compresa la diserzione delle truppe coloniali indiane (i militari indiani che tornavano dalle campagne di difesa dell'Impero Britannico erano ricettivi verso la propaganda di Ghadar che puntava sulla contraddizione tra il loro sacrificio e le loro condizioni in patria). Tutto questo veniva chiaramente condizionato non solo dalle tendenze rivoluzionarie contemporanee (compresi filoni dell'anarchismo), ma anche delle oggettive difficoltà che incontrava un aperto lavoro di massa contro il colonialismo all'interno di un contesto in gran pare agricolo.

Con la formazione di uno stato indipendente in India nel 1947 con il partito del Congresso al governo, supportato da Gandhi, le condizionni mutarono di nuovo. Ghadar era, in questa fase, ancora operativo ma sempre più interconnesso con il Partito Comunista, il quale in cambio aveva un complesso rapporto di aperture e chiusure con il Partito del Congresso al potere - tuttavia "l'influenza di Ghadar" scrive la Ramnath, "continuò ad avere eco anche dopo l'indipendenza. Il Partito Kirti e poi il Partito Comunista Lal sposarono un socialismo eterodosso che voleva resistere ai diktat di ortodossia provenienti dal Partito Comunista e conservarono degli elementi di idealismo romantico propri del Ghadar". I veterani del Ghadar tornarono alla ribalta quando il Partito Comunista marxista-leninista si scisse dal Partito Comunista nel 1960 e nel 1969 venne fondato il Partito Comunista Indiano Ghadar tra la diaspora indiana in Inghilterra e in Canada con scopi principali "l'anticapitalismo e l'opposizione al neocolonialismo in India, l'antirazzismo e la lotta per i diritti degli emigrati in Occidente". Il migliore epitaffio per Ghadar sembra essere quello fatto da Rattan Singh, citato dalla Ramnath quando dice che il partito era composto di "semplici contadini che divennero rivoluzionari ed osarono sollevare la bandiera della rivolta in un tempo quando i nostri dirigenti nazionali non riuscivano a pensare che ad un "Governo Patriottico".

b) Post-Indipendenza: Sarvodaya

Oltre all'eco avuta con Ghadar all'interno del comunismo eterodosso, quale fu il grado di presenza del socialismo libertario nell'India post-indipendenza? Per rispondere a questa domanda, occorre riprendere il discorso su Sarvodaya in quanto movimento. Devo dire che la Ramnath punta molto sull'argomentazione che J. P. Narayan, l'esponente chiave del movimento, si fosse spostato dal marxismo ad una posizione molto più a sinistra di Gandhi, una sorta di anarchismo di fatto, ai tempi dell'Indipendenza. Nel 1934, Narayan fu uno dei fondatori del Congress Socialist Party (CSP), che divenne una componente all'interno dell'Indian National Congress. Ramnath non fa menzione delle dinamiche interne al CSP, cosa che rende la lettura intrigante. Maria Misra, nel suo libro Vishnu's Crowded Temple: India since the Great Rebellion (2008), sostiene che il CSP "includeva tanto i socialisti quanto [dopo il 1936] i comunisti - in seguito al cambiamento di linea dell'URSS che incoraggiava i comunisti a collaborare con i partiti nazionalisti. Lo scopo di questo gruppo era il proseguimento e l'intensificazione della mobilitazione di massa, il boicottaggio della riforma costituzionale e l'inclusione dei sindacati e delle kisan sabhas [associazioni dei contadini] al suo interno allo scopo di rafforzare la rappresentanza dei radicali nelle istituzioni". Secondo Kunal Chattopadhyay, nel suo libro The World Social Forum: What it Could Mean for the Indian Left (2003), dopo che i comunisti vennnero espulsi dall'Indian National Congress nel 1940 per aver chiesto iniziative che avrebbero riscaldato il cuore degli anarchici (uno sciopero generale collegato ad un'insurrezione armata), una crescente influenza "anarchica" portò Narayan alla guida del CSP con un orientamento più fortemente anti-statalista ed anti-parlamentare. Una suggestione allettante - sebbene molto dipenda da cosa Chattopadhyay intenda per "anarchico"!

Poi, dopo la costituzione della sovranità indiana nel 1947, il CSP uscì dal partito del Congresso per formare un Partito Socialista indiano più tradizionale - e Narayan ne uscì, voltando del tutto le spalle all'elettorato politico. Nei successivi 30 anni - prima del suo ritorno alla politica partitica per radunare le forze che sconfissero la dittatura militare di Indira Gandhi del 1975-77 - Narayan aveva lavorato a livello di base, insieme al suo amico dei tempi di Sarvodaya, l'anti-autoritario Vinoba Bhave (1895-1982), spingendo Sarvodaya per molti aspetti molto vicino all'anarchismo. La Ramnath cita Narayan: "Sono sicuro che una delle più nobili finalità di utilità sociale sia quella di far sì che i poteri, le funzioni e le sfere di competenza dello Stato siano ridotte il più possibile". Marshall traccia lo sviluppo del movimento Sarvodaya del dopo-Gandhi dalla formazione nel 1949 della All-India Association for the Service of All (Akhil Bharat Sarva Seva Sangh), una formazione non schierata che puntava ad una economia decentralizzata di proprietà collettiva, fino al suo apice nel 1969 quando Sarvodaya riuscì a portare 140.000 villaggi a dichiararsi a favore di una "versione modificata del Gramdan" ossia della proprietà comunitaria dei villaggi, sebbene solo una minoranza la praticasse. Eppure, questa spinta portò alla "distribuzione di oltre un milione di acri di terra Bhoodan [terra donata volontariamente dai latifondisti] a mezzo milione di contadini senza terra".

Per Narayan, "il decentramento non si può fare trasferendo dall'alto il potere", "al popolo le cui capacità di autogoverno sono state ostacolate se non distrutte dal sistema dei partiti e dalla concentrazione di potere ai vertici". Invece, il "processo deve essere innescato dal basso" con un "programma di auto-governo ed autogestione" e con un "approccio costruttivo e non partigiano". Ramnath cita Narayab quando dice dello Stato "Sono sicuro che una delle più nobili finalità di utilità sociale sia quella di far sì che i poteri, le funzioni e le sfere di competenza dello Stato siano ridotte il più possibile".

Nel contesto antimperialista asiatico, proprio la Rivoluzione della Manciuria aveva dimostrato le possibilità della visione di Narayan, ma anche la necessità che questo si esplicasse con una lotta rivoluzionaria, piuttosto che con meri appelli moralistici ai latifondisti. Questa stessa strada era stata tracciata da Ghadar come pure dalla vibrante corrente minoritaria dell'anarchismo dell'Asia orientale. Nel 1929, gli anarchici coreani in Manciuria, dove stavano ingaggiando una strenua lotta contro l'occupazione giapponese della Corea del 1910, costituirono la Federazione Anarchica Coreana in Manciuria (KAF-M). La KAF-M e la Federazione Comunista Anarchica Coreana (KACF) raggiunsero un accordo con un generale di simpatie anarchiche al comando dell'Esercito di Indipendenza Coreano antimperialista per trasformare la Prefettura dello Shinmin, una vasta valle montana lungo il confine settentrionale della Corea, in una struttura amministrativa socialista libertaria nota come la Lega Generale dei Coreani (Hanjok Chongryong Haphoi) o HCH.

Questo territorio anarchico autogestito si basava su delegati di ogni distretto dello Shinmin ed era organizzato in dipartimenti che si occupavano della guerra, dell'agricoltura, dell'istruzione, delle finanze, della propaganda, dei giovani, del benessere sociale e degli affari generali. I delegati a tutti i livelli erano operai e contadini che percepivano un salario minimo, non avevano privilegi speciali, ed erano subordinati alle decisioni prese dagli organismi che gli avevano conferito il mandato, come le cooperative. Quella esperienza si fondava sulle libere collettività agricole, sull'abolizione del latifondismo e dello Stato, e su un coordinamento su vasta scala di casse di mutuo appoggio, su un vasto sistema di scuole primarie e secondarie e su una milizia di contadini integrata da combattenti formatisi nei campi di addestramento. E' grave che questo vitale esempio di rivoluzione anarchica asiatica non venga studiato abbastanza, dal momento che al pari dell'Ucraina del 1918-1921 e della Spagna del 1936-1939 fu una delle grandi rivoluzioni esplicitamente anarchica e sindacalista.

c) La contemponeità: Shramik Mukti Dal

La terza organizzazione anarchica indiana che viene presa in considerazione dalla Ramthath nel suo Decolonizing Anarchism è la "post-comunista tradizionale" Shramik Mukti Dal, sorta nella regione rurale del Maharashtra nel 1980. Lei cita il fondatore Bharat Patankar quando dice che "rivoluzione significa... l'inizio di una lotta per realizzare una nuova strategia che prenda in considerazione le relazioni tra gli uomini e le donne e tra persone di caste e nazionalità differenti. Rivoluzione significa mezzi alternativi per organizzarsi e per gestire i processi produttivi, concetti alternativi nell'agricoltura, nel campo dell'agricoltura/industria/ecologia, e della sanità alternativa." Lo Shramik Mukti Dal che emerge va ben al di là di una idealizzazione retrospettiva della tradizione: il suo manifesto è un appello per una rivoluzione olistica ed ugualitaria, innescata attraverso la trasformazione della vita quotidiana, della "prestabilita struttura socio-economica capitalista, castale, patriarcale", "che distrugga il potere dello Stato attuale" per sostituirlo con una "rete organizzata di centri agro-industriali ecologicamente in equilibrio" - in "una nuova società ecologicamente bilanciata, prospera e non sfruttatrice". Che Shramik Mukti Dal lo fosse o no, questa è di fatto una posizione anarchica.

Donne anarchiche nel contesto coloniale

Si avverte, nell'opera della Ramnath, l'assenza di ogni riferimento alle donne di spicco in queste organizzazioni, specialmente nel caso di Har Dayal, il quale era contrario ad ogni oppressione sulle donne, e che avrebbe avuto anche una certa soggezione verso anarchiche russe (poi marxiste) del calibro di Vera Zasulič. L'America Latina ha visto spiccare molte figure di donne anarchiche, come la redattrice argentina de "La Voz de la Mujer", Juana Rouco Buela (1889-1969) e la sua stretta collaboratrice, operaia ed organizzatrice del Centro delle Donne Anarchiche, Virginia Bolten (1870-1960), la sindacalista boliviana dirigente della Federazione Operaia Locale (FOL) Petronila Infantes (1922- ), la pedagogista libertaria brasiliana Maria Lacerda de Moura (1887-1944), la compagna messicana facente parte della giunta magónista, María Andrea Villarreal González (1881-1963), l'indigena Caxcan multi-arrestata, redattrice del "Vésper" e de "El Desmonte" nonché poetessa Juana Belém Gutiérrez de Mendoza (1875-1942). In molti paesi latino-americani, la forza delle donne nei luoghi di lavoro era tale che i sindacati anarcosindacalisti avevano una sezione femminile, come nel caso della potente Federazione delle Donne Operaie - non un ghetto di genere, ma conseguenza della concentrazione di operaie in certi settori industriali come quello del tessile.

L'assenza di ogni riferimento a donne rivoluzionarie in India si deve forse alla mancanza di fonti, oppure la lotta anticoloniale e la connessa questione nazionale aveva in qualche modo limitato la partecipazione delle donne? Molte delle più importanti donne anarchiche e sindacaliste, al di fuori dell'Occidente, vivevano in paesi post-coloniali o imperialisti. Nell'America Latina coloniale, spicca a Portorico la femminista sindacalista Louisa Capetillo (1880-1922). La maggior parte delle più importanti donne anarchiche dell'Asia orientale di cui abbiamo conoscenza vivevano nel Giappone imperialista: si tratta della giornalista Kanno Sugako (1881-1911) che venne condannata a morte per la sua presunta partecipazione ad una cospirazione regicida; l'anarco-nichilista Kaneko Fumiko (1903-1926), che si suicidò in prigione dopo aver tramato l'assassinio dell'imperatore per protestare contro l'imperialismo giapponese in Corea; la sindacalista Itō Noe (1895-1923) che venne uccisa dalla polizia; e la scrittrice e poetessa Takamure Itsue (1894-1964).

Vi erano straordinarie donne anarchiche anche in Cina - in particolare He Zhen - ma di loro sappiamo molto poco, a parte qualche loro scritto. Anche in questo caso ci sono dei barlumi interessanti nell'Asia coloniale: Wong So-ying, che si suicidò in carcere a 26 anni dopo aver tentato di assassinare il governatore britannico della Malaya (Malesia) nel 1925; le sorelle Lee, Kyu-Suk e Hyun-Suk, le quali contrabbandavano armi ed esplosivi nella zona anarchica Shinmin nella Manciuria nei tardi anni '20; e Truong Thi Sau, che alla metà degli anni '20 pare fosse al comando di una sezione della guerriglia anarchica Nguyan della Società Segreta An Ninh nella Cochinchina (Vietnam), restano tutte ai margini della storia e devono ancora essere adeguatamente studiate. In India, è forse significativo che l'unica donna agli inizi militante di influenze anarchiche, Sister Nivedita (1867-1911), fosse nata come Margaret Elizabeth Noble in Irlanda. Occorre ancora spiegare perché solo in anni recenti siano venuti alla ribalta pensatrici indiane socialiste libertarie come la scrittrice antimperialista Arundhati Roy (1961- ), una convinta sostenitrice dell'autonomia del Kashmir - definita "anarco-separatista" dai suoi nemici.

Rivisitare la prassi anarchica antimperialista

La Ramnath conclude il suo libro Decolonizing Anarchism con un decalogo sulle applicazioni pratiche di queste esperienze storiche: la questione chiave che emerge da entrambi i suoi libri è la legittimazione del progetto anarchico tramite un'effettiva strategia radicata nel territorio che si accompagni ad un'effettiva solidarietà internazionale. Il suo approccio deriva in parte dalle questioni sollevate dalla ora defunta rete statunitense Anarchist People of Color (APOC), sul come affrontare le differenze di potere all'interno dei movimenti etnici, su come mettere in relazione le lezioni derivanti da un neocolonialismo attraversato all'interno da questioni etniche con la solidarietà antimperialista. La Workers' Solidarity Federation (WSF) del Sud Africa, organizzazione a maggioranza di neri, in cui ero attivo, si scontrò con l'approccio etnico separatista (in seguito associato all'esperienza della APOC), perché la WSF metteva l'accento sulla unità di classe multirazziale conseguente al porre la questione di classe al primo posto a fronte dell'asse capitalista e statale che articolava tutti i tipi di oppressione come appunto razzismo e sessismo. L'erede della WSF, l'attuale Zabalaza ("Lotta") Anarchist Communist Front (ZACF) ha ugualmente fondato il suo approccio su strategie simili a quelle della Coordinadora Anarquista Brasileira (CAB), la quale opera all'interno di una società che ha grandi somiglianze con quella sudafricana, con una prassi anarchica di "inserimento sociale" multirazziale entro classi popolari multirazziali.

In Sud Africa, una delle società al mondo più profondamente frammentate dal punto di vista etnico, questa articolazione strategica è tutt'altro che semplice: qualsiasi progetto anarchico qui dovrebbe convincere le masse delle classi popolari nere, di colore, indigene ed indiane ad attraversare il confine del colore della pelle, per porsi su una linea di classe (la strategia del ZACF è appunto quella di costruire settori di militanti-di-colore tramite l'inserimento sociale nelle lotte dal basso), per cui gli anarchici non possono ignorare il destino di 3,3 milioni di lavoratori e poveri africani bianchi. Il divario più evidente oggi in Sud Africa è l'estremo crescere del gap della ricchezza, appena peggiore rispetto all'indice GINI del Brasile, all'interno di uno stato post-apartheid che in molti casi risulta strutturalmente del tutto simile al precedente stato dell'apartheid. Quando mi sposto dai quartieri dei sempre meno privilegiati ceti multirazziali medio-bassi di Johannesburg verso le baraccopoli di Soweto dove vive il sottoproletariato emarginato a stragrande maggioranza nera, sento la mia situazione analoga a quella della Ramnath quando lei va in Palestina per lavorare contro l'imperialismo dei suoi USA.

La Ramnath parla della sua esperienza e cita un attivista palestinese che ama rivolgersi agli attivisti statunitensi in visita in Palestina dicendogli che sarebbe meglio se "ritornate a casa per mettere fine all'imperialismo USA. Il nostro compito è liberare noi stessi. Il vostro è mettere fine all'imperialismo USA". Se, come dice il proverbio, la rivoluzione comincia nel lavandino di casa, forse anch'io devo iniziare a fare lo stesso nel paese in cui vivo - notoriamente reazionario - e, in caso di successo, ampliarne poi la portata. E' un'opzione molto più difficile quella di fare lavoro rivoluzionario tra persone che hanno la forza sociale di prossimità tale da tenere conto di te, rispetto alla potenziale irresponsabilità dei turisti senza radici della rivoluzione che saltano da un vertice all'altro. La Ramnath ci consiglia di "guardare in casa nostra; di lavorare nelle ed a partire dalle situazioni di resistenza in cui siamo". Per la Ramnath, il suo posto è quello che sta nell'intersezione tra il potere che emana dalla metropoli statunitense ed il suo status di esclusa in quanto parte della minoranza di origine indiana. Il mio posto invece è quello sta nell'intersezione tra le subalterne periferie sudafricane ed il mio declinante potere quale persona parte di una minoranza di origine europea. Fare i conti con l'autoritarismo tradizionale dei miei simili bianchi in Africa conta oggi forse più di qualsiasi mia importante presa di posizione sulla questione palestinese, che i politici palestinesi troveranno offensiva - sebbene entrambe siano eticamente e consequenzialmente collegate.

La posizione della Ramnath è netta: il lavoro di solidarietà internazionale è cruciale nel collegare le lotte nei paesi imperialisti ed in quelli postcoloniali, e questo non significa appoggiare solo le lotte esplicitamente anarchiche. Sono d'accordo. Gli anarchici lottano per un mondo libero e non per un mondo anarchico. Il modello rivoluzionario più grande, secondo me, è quello della Machnovščina, un movimento politicamente pluralista delle classi oppresse che agiscono lungo linee di libero comunismo. Quello era, tuttavia, un movimento profondamente plasmato da organizzazioni di anarchici convinti - ed ebbe modo di mostrare la assoluta necessità ed il valore di organizzazioni anarchiche omogenee, inserite in movimenti di massa, quali cruciali depositarie delle lezioni di un secolo e mezzo di lotta di classe anarchica. L'Ucraina in cui agivano i Makhhnovisti veniva da una lunga storia di subordinazione coloniale alla Russia (un imperialismo rafforzato poi dai Bolscevichi), con una composizione etnica altamente differenziata tra Ucraini, Russi, etnia tedesca, Ebrei, Cosacchi, Tartari, Greci ed altri - ed i Makhnovisti si fecero carico di difendere con la forza il pluralismo etnico (l'etnia tedesca venne solo espropriata dei suoi latifondi), giustiziando pubblicamente chi faceva progrom antisemiti.

Nel suo Decolonizing Anarchism, la Ramnath mette in evidenza come gli stati centralisti dell'India e del Pakistan, pur essendo usciti dal colonialismo, continuano a praticarlo nei confronti delle loro minoranze interne. Secondo lei, le politiche di questi stati nei confronti delle aspirazioni regionaliste e decentralizzatrici sono "colonialismo pure e semplice, con occupazione illegale di territori" come quello conteso del Kashmir, in cui i due stati contendenti strumentalizzano entrambi il sincero desiderio di autonomia degli abitanti del Kashmir. Resta da vedere cosa farebbe lo stato sudafricano - che prende ampiamente a modello l'India per il suo sistema economico e di comando - se le sue minoranze etniche, con proprie tradizioni repubblicane ancorché piccole come i Boeri o i Griquas, chiedessero più autonomia per via extraparlamentare, sebbene il precedente di quella "democratica" ed illegale invasione del Lesotho sotto la presidenza di Nelson Mandela nel 1998, per sedare una rivolta filo-democratica, sta ad indicare chiaramente quale tipo di risposta neo-coloniale potremmo attenderci dal Sud Africa.

Cosa mettere al posto dello stato centralizzato in quelle regioni in cui il colonialismo ha imposto confini che non rispettano la distribuzione demografica dei popoli residenti? La Ramnath dimostra come gli stessi movimenti anti-coloniali siano finiti nel vicolo cielo dello Stato, eppure ella si schiera per la costruzione di uno stato palestinese, i cui confini sarebbero segnati nel rispetto del sistema internazionale degli Stati, quale mezzo per assicurarsi uno spazio in cui possa essere reso possibile un progetto socio-economico non gerarchico e decentrato; non farlo - dice Ramnath - comporta rischi di riconquista o di dissoluzione. Ma sicuramente un tale stato palestinese si sarebbe conquistato la sua stessa popolazione, e sicuramente ne abbiamo già avuto la prova con l'embrione dell'Autorità Palestinese. E le azioni extragiudiziali di stati imperialisti contro zone ribelli, come qualla degli USA in Iraq, o di stati sub-imperialisti come il Sud Africa in Lesotho, mostrano, per parafrasare August Spies, quale sia la ragnatela dei vincoli della legislazione internazionale sui potenti.

Il contro-potere rivoluzionario anarchico ha storicamente avuto il controllo di ampie aree geografiche grazie al primato del suo progetto socio-economico ugualitario e non attraverso il rispetto del corpus giuridico del sistema statuale internazionale. Il tragico fallimento della Rivoluzione Spagnola sta proprio nell'aver tentato di usare il sistema statuale per proteggere la rivoluzione: alleandosi con i Repubblicani contro le forze di Franco, gli anarchici scoprirono che lo stato non avrebbe tollerato un progetto socio-economico decentrato e non-gerarchico, né più né meno dello stesso Franco; la rivoluzione ed il suo territorio vennero distrutti dalla Repubblica prima che Franco marciasse su Barcellona. Le "incerte" aree di confine che interessano la Ramnath per la loro indeterminatezza sono precisamente quella tipologia di regioni come le zone anarchiche della Machnovščina e della Manciuria in cui rispettivamente 7 milioni e 2 milioni di persone furono capaci di dare luogo alle loro costruttive rivoluzioni sociali, ed il cui controllo territoriale venne affidato all'esercito rivoluzionario del popolo in Ucraina ed alla milizia HCH in Manciuria in grado di assicurarne la difesa per parecchi anni.

Le zone di confine di oggi non offrono più una protezione effettiva rispetto alle vaste capacità di controllo per intelligence ed armamenti raggiunte dagli stati moderni (per non parlare delle "compagnie militari private" del capitalismo). Eppure non sono state proprio le autonome municipalità degli Zapatisti, piuttosto che le loro forze armate, l'EZLN, che hanno assicurato il controllo territoriale e che hanno portato il Messico e gli USA a prendere sul serio le rivendicazioni zapatiste? Non siamo di fronte ad un'applicazione del debole concetto liberale di "dire la verità al potere", bensì di dare una dimostrazione di contro-potere pragmatico, ugualitario e rivoluzionario. E' vero che sia la rivolta della Machnovščina che dello Shinmin vennero alla fine sconfitte dalle invasioni imperialiste portate nel primo caso dall'Armata Rossa e nell'altro dall'Esercito Imperiale Giapponese, ma questo dimostra semplicemente che la "comunità internazionale" non tollererà le sfide reali - potrà solo essere costretta a confrontarsi con loro tramite l'uso della forza. E che il contro-potere avrà bisogno sul suo territorio di una rivoluzione sociale armata. Una perpetua e "piccola" opposizione all'interno del sistema degli stati, senza un più ampio orizzonte di rottura rivoluzionaria, non riuscirà a rimuovere le cause fondamentali dell'oppressione e non sarà nemmeno tollerata in eterno. La Ramnath ammette che è necessario un approccio poli-frontista: "Non ci può essere un anarchismo post-coloniale in un solo paese! Nessuna dottrina di coesistenza pacifica, ma rivoluzione mondiale continua!" Pertanto, è questo il progetto di contro-potere: tentare di costruire il futuro all'interno del guscio del presente, per smantellare attivamente i confini degli stati tramite la ricostruzione sociale, per sconfiggere il sistema e per dirigersi oltre i cari sogni, verso una vera liberazione anarchica ed antimperialista della società.

Conclusione

Entrambi i libri della Ramnath sono un contributo coraggioso, vitale ed innovativo alla letteratura di liberazione di un intero sub-continente. Né alcune mie critiche su certi punti possono oscurare questo loro valore. Decolonizing Anarchism è stato scritto dal punto di vista dell'attivista e della sua sensibilità, mentre Haj to Utopia è stato scritto nelle vesti di storica sociale. Per certi versi, il secondo, essendo un lavoro più accademico, risulta più dettagliato e solidamente argomentato, laddove il primo si basa in qualche modo su affermazioni sintetiche che riassumono lunghi dibattiti interni ed esterni del personale viaggio di riscoperta effettuato dall'autrice. I 2 libri sono talmente pieni di nuovi scorci su aspetti sconosciuti dell'anticolonialismo anarchico in Asia meridionale, da richiedere letture ripetute, che non smettono mai di stupire. Dovrebbero essere letti in tandem, dato che insieme recuperano una perduta cassetta degli attrezzi socialista libertaria (ed anarchica) un tempo usata all'interno di una cultura estremamente complessa, e tramite questo processo ridare legittimità e pungolo all'attuale potenziale per tali approcci anti-autoritari, al pari di una molteplicità di lame dirette al nodo gordiano dell'identità etnica, del capitalismo post-coloniale e del neo-imperialismo, in Asia meridionale ed a livello globale.

Michael Schmidt

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

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