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Ritorno verso un femminismo materialista

category internazionale | genero | opinione / analisi author Monday July 16, 2012 16:48author by Irene - Alternative Libertaire Report this post to the editors

Dopo l'uscita dell'ultimo libro di Roland Pfefferkorn, "Genre et rapports sociaux de sexe", proponiamo qui una modalità di lettura per comprendere le molteplici dimensioni delle persistenti disuguaglianze tra uomini e donne. [Français]
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Ritorno ad un femminismo materialista


Nell'introduzione del suo libro "Genre et rapports sociaux de sexe", Roland Pfefferkorn ci illustra i concetti utilizzati per affrontare le disuguaglianze sociali uomini/donne. In particolare, sottolinea il contributo portato dai lavori fondati sul femminismo materialista. Questo lo porta a mettere in evidenza le ambiguità della nozione di genere per mostrare i vantaggi teorici di un'analisi in termini di rapporti sociali tra i sessi. Nell'introduzione, l'autore ripercorre la storia della sociologia per ricordarci che solo dagli anni '70, grazie all'impegno di attiviste e studiose femministe, questa disciplina ha iniziato a prendere in considerazione il fatto sociale della disugualianza uomo/donna.

Rompere col naturalismo

Nel primo capitolo, intitolato « Rompere col naturalismo », l’autore mette in evidenza la rottura portata dall'approccio del femminismo materialista rispetto alle prospettive precedenti agli anni '70, tutte impostate sulla nozione dei ruoli sociali. In continuità con l'opera "le Deuxième sexe" di Simone de Beauvoir, risultarono quindi fondamentali le teorizzazioni di Christine Delphy, ispirate da un uso eterodosso di Marx. L’autore ripercorre come sono siano stati costruiti i concetti di « patriarcato », di « modo di produzione domestico », di « lavoro domestico » come categorie autonome del capitalismo. Tuttavia, tali categorie si trovano, secondo l'autore, a fare i conti con certi limiti: « Sono stati sottovalutati, a nostro avviso, i cambiamenti reali intervenuti, anche se parziali e di difficile interpretazione, e trascurando l'aumento dei margini di autonomia delle donne acquisiti negli ultimi decenni, Christine Delphy non coglie la storicità e la dinamica del modo di produzione domestico e colloca la sua concettualizzazione in una prospettiva fondamentalmente creazionista» (p. 38).

E' con l'approccio in termini di divisione sessuale del lavoro e con il concetto dei rapporti sociali tra i sessi che alcune aporie sono state risolte. Si è giunti così a pensare allo sfruttamento delle donne, sempre più numerose sul mercato del lavoro, congiuntamente nella sfera domestica ed in quella produttiva.

La nozione di genere

Il secondo capitolo è dedicato allo studio della nozione di genere in cui l'autore mette in evidenza le ambivalenze che hanno portato al largo successo di questo termine. E' possibile notare ad esempio, tra le analisi che l'autore fa, il contrasto tra due tipi di teorie sul genere. Questo concetto sembra potersi confondere inizialmente con quello sociale di sesso. L’autore ricorda a tale proposito le teorie di Colette Guillaumin per la costruzione della «classe del sesso delle donne» per "le sexage", cioè «l’appropriazione privata e collettiva» delle donne. L'autore mostra come la nozione di genere, così come viene utilizzata nelle teorie queer, conduca a ridurre l'opposizione tra femminile e maschile alla sua dimensione normativa ed a questioni di identità sessuale.

Così egli giunge, nel terzo capitolo del suo libro, all'analisi delle critiche di tale nozione. L'autore ne distingue principalmente tre. In primo luogo, la base culturalista ed in defintiva idealista di questa nozione all'interno delle teorizzazioni postmoderne, come quelle delle teorie queer, conduce a negare la base materiale economica della costruzione del genere. La seconda critica porta alla rinaturalizzazione che si è effettuata sotto la copertura della distinzione tra sesso biologico e genere come costruzione sociale. Ultima dimensione, la tesi postmoderna della pluralità dei generi dissolve i rapporti sociali di classe che pur tuttavia appaiono chiaramente ad un livello macro-sociologico.

Centralità del lavoro

L'ultimo capitolo è dedicato quindi più specificatamente alle nozioni di «divisione sessuale del lavoro» e dei «rapporti sociali di sesso». L’autore rammenta, ispirandosi a Danièle Kergoat, che la nozione di rapporto sociale definisce «una tensione che attraversa il campo sociale e che rende certi fenomeni sociali questioni attorno a cui si costituicono dei gruppi sociali con interessi antagonisti» (p. 96).

Questo approccio mette in evidenza il carattere antagonistico del sociale, e quindi la centralità della nozione di lavoro. I rapporti sociali di sesso si costruiscono a partire dalla divisione sessuale del lavoro, ma anche a partire dal controllo della sessualità e della funzione riproduttiva delle donne. Inoltre, Danièle Kergoat ha mostrato come i rapporti sociali di sesso, di «razza» e di classe dovrebbero essere analizzati nella loro consustanzialità e nella loro coestensione reciproca.

Infine, le analisi basate sulla conflittualità sociale in termini di rapporti sociali di sesso, in confronto a quelli di «dominazione maschile», permettono di meglio pensare l'articolazione tra riproduzione dei rapporti di dominazione e la trasformazione di questi rapporti nel quadro delle lotte collettive d'emancipazione.

Nella sua conclusione, l'autore fa riferimento alla distinzione tra articolazione dei rapporti sociali e teorie dell'intersezionalità. Queste ultime, provenienti da un contesto intellettuale statunitense, puntano di conseguenza ad attribuire, come le teorie queer, un posto preponderante alla dimensione culturale ed identitaria.

Una corrente radicale dimenticata

Nel mettere l'accento sulle teorie elaborate dal femminismo materialista, il libro di Roland Pfefferkorn ha il merito di mettere in luce tutta una corrente radicale di analisi sulla disuguaglianza uomini/donne che era stata occultata nel corso degli anni '80 dal differenzialismo del femminismo francese, e poi negli anni '90 dalla ricezione delle teorie queer e dall'analisi di Bourdieu in termini di dominazione maschile. Eppure, sulla scia delle analisi sul patriarcato della femminista americana Kate Millet, autrice de "La politique du mâle" nel 1970, le opere di teoriche come Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Colette Guillaumin, Monique Wittig, o ancora di Danièle Kergoat presentano la specificità di sostenere le loro critiche sulla disuguaglianza sociale tra uomini e donne su basi economiche, ma senza riduzionismi.

In particolare, con il concetto di «sesso sociale», queste teoriche hanno dimostrato ben prima delle teorie queer come le identità sessuali non erano che costruzioni sociali.

Queste studiose hanno così avviato una critica dell'eteronormatività che non si riduce ad una semplice critica delle norme, ma che trova le sue basi in un'analisi delle condizioni socio-economiche delle categorie sessuali. Quindi, non ci dimentichiamo troppo spesso che non è solo da Foucault, ma anche da Monique Wittig, che Judith Butler ha tratto la sua ispirazione per la sua teoria di decostruzione del genere.

Irène
AL Paris Nord-Est

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

Tratto e tradotto da "Alternative libertaire", giugno 2012, N°218

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