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Le cooperative operaie aiutano o ostacolano la costruzione di una società comunista libertaria?

category internazionale | lotte sindacali | opinione / analisi author Wednesday June 13, 2012 19:17author by Sean Matthews - Workers Solidarity Movement Report this post to the editors

Le cooperative di lavoratori sono sempre state sostenute da settori della sinistra e del più ampio movimento operaio - a partire dalla loro difesa nel XIX secolo da parte del riformatore sociale e socialista utopista gallese Robert Owens nonché da parte di Proudhon fino al loro costituirsi in vari paesi a capitalismo di stato come Cuba. Se da un lato le cooperative ci danno un piccolo esempio della realizzazione delle idee anarchiche basate sull'autogestione, sulla democrazia diretta e sul mutuo appoggio, dall'altro non dovremmo chiudere gli occhi di fronte alle loro contraddizioni ed interrogarci sulla loro efficacia in una strategia per una vera trasformazione rivoluzionaria. [English]
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Ma le cooperative di lavoratori aiutano oppure ostacolano la costruzione di una società comunista libertaria?


Le cooperative di lavoratori sono sempre state sostenute da settori della sinistra e del più ampio movimento operaio - a partire dalla loro difesa nel XIX secolo da parte del riformatore sociale e socialista utopista gallese Robert Owens nonché da parte di Proudhon fino al loro costituirsi in vari paesi a capitalismo di stato come Cuba. Se da un lato le cooperative ci danno un piccolo esempio della realizzazione delle idee anarchiche basate sull'autogestione, sulla democrazia diretta e sul mutuo appoggio, dall'altro non dovremmo chiudere gli occhi di fronte alle loro contraddizioni ed interrogarci sulla loro efficacia in una strategia per una vera trasformazione rivoluzionaria.

Il sostegno alle cooperative è sempre stato una delle caratteristiche di fondo dell'anarchismo, sia in quanto teoria che come prassi rivoluzionaria, fin dal suo emergere all'interno del movimento operaio. Gli anarchici hanno sempre messo in evidenza l'importanza di costruire e sostenere i luoghi di lotta e di formazione, come le scuole moderne, i "centri sociali" e le società operaie - una sfera pubblica vibrante, una sorta di contro-cultura con i suoi propri valori, idee, organismi e prassi o, per dirla in termini gramsciani, un progetto di contro-egemonia che sfidi l'ideologia dominante della classe al potere. Sarebbe un aspetto complementare e connesso con la costruzione di un più ampio movimento rivoluzionario che punti ad abolire le relazioni capitaliste fondate sullo sfruttamento e sul dominio.

In breve le cooperative possono essere un ‘germe del futuro’ e possono prefigurare quel tipo di organismi sociali a cui guarda con favore l'anarchismo. Come dice Bakunin: “il sistema cooperativo. . . porta al suo interno il germe del futuro ordine economico.”[1]

Cosa sono le cooperative?

Ci sono molti tipi diversi di cooperative - dalle coop per la casa alle credit unions (sorta di banche etiche, ndt) e ad un modello più a base imprenditoriale come i supermercati cooperativi che hanno punti vendita in tutta l'Irlanda. Nel Nord Irlanda il settore dispone di assets per oltre 2 milioni di sterline con più di 350.000 soci e 4.500 dipendenti. A livello globale questo settore impiega quasi 1 miliardo di persone, con 3 miliardi di utenti.

In teoria le cooperative funzionano secondo il sistema di un lavoratore un voto. In altre parole chi lavora gestisce anche il luogo dove lavora (cioè si tratta in qualche forma di autogestione). Inoltre, le coop sono un esempio di auto-aiuto ed auto-attività della classe lavoratrice. Invece di contare sul lavoro offerto da altri, le cooperative dimostrano che si può produrre facendo a meno di una classe di padroni che danno lavoro ad una classe di sottostanti che prendono solo ordini.

Un po' di cifre

Negli ultimi anni in gran parte dei paesi occidentali c'è stato un forte incremento del numero di cooperative di produzione. Le cooperative Italiane sono ben oltre 20.000, di cui molte di grandi dimensioni e con strutture di supporto (che sostengono il loro sviluppo riducendone l'isolamento e garantendo quel sostegno finanziario a lunga scadenza che non viene offerto dal mercato capitalistico).

Nei Paesi Baschi c'è la più grande cooperativa di lavoratori del mondo, il gruppo Mondragon, il quale è proprio una multinazionale che impiega più di 80.000 persone attraverso 256 compagnie, tra cui un'università, diffuse in 18 paesi. La Mondragon si è ripresa dalla recessione facendo 240 milioni di euro di profitti nel 2011 e per diventarne socio occorre versare una quota di €20.000. Anche se la retribuzione di un socio-dirigente anziano non può superare il tetto di 9 volte superiore al socio-lavoratore meno pagato, il fatto che la più grande cooperativa al mondo sia diventata pienamente integrata nel sistema capitalista, divenendo una forma di stato sponsorizzato dallo sfruttamento autogestito, ne mette in luce i suoi limiti come alternativa rivoluzionaria sostenibile.

Sfidare il capitalismo?

Come scrive Joseph Kay, una delle firme più frequenti sul popolare blog Libcom: ‘Le coop di lavoratori vengono spesso viste come focolai di pensiero radicale ed anticapitalista. Questa immagine di soci hippies, di rigorosi vegetariani o di dirigenti in tuta blu non potrebbe essere, però, più lontana dalla realtà.’

In effetti, ben lungi dallo sfidare il capitalismo, molte cooperative operaie sono oggi un settore importante delle economie moderne sotto il profilo della promozione di un "capitalismo più etico". Le cooperative operaie possono agire come catalizzatore per il cambiamento e prefigurare ciò che potrebbe essere possibile, ma la loro natura gradualista e riformista deve essere contrastata non solo per la sua inutilità ma anche per il loro essere altro rispetto alle importanti e necessarie battaglie che occorre condurre nei luoghi di lavoro e nel territorio. Nel caso di Israele, ad esempio, il movimento cooperativo è stato la spina dorsale del primo progetto sionista di espansionismo coloniale e di occupazione militare.

La Jugoslavia del maresciallo Tito ruppe con il capitalismo di stato di impostazione sovietica nel 1949 per introdurre una versione più ‘decentralizzata’ dell'autogestione operaia con lo Stato nel ruolo di garante. Anziché dare ai lavoratori davvero il controllo sulla produzione tramite la democrazia diretta, le riforme di Tito diffondevano illusioni e facevano da cortina fumogena sul suo pugno di ferro al potere. Questa contraddizione venne fuori negli anni '70 in seguito alla ristrutturazione neo-liberista che portò alla disoccupazione di massa, ad un altissimo debito internazionale, al crollo del salario reale, ad una inflazione a 3 cifre ed a conflitti etnici quotidiani.

Al pari di Cuba, anche il governo venezuelano si è fatto il suo settore cooperativo e lo ha diffuso. Nell'ultimo numero di "Spark" (la rivista della Gioventù dell'ICTU [Irish Congress of Trade Unions, i sindacati irlandesi, ndt]) Stephen Nolan mette in evidenza che, ‘nel 1998 c'erano 800 cooperative ….nel 2006 erano 100.000 con 1,5 milioni di cittadini che operano in regime di proprietà statale, cooperativo o misto.’

Comunque, la realtà tra fatti e finzione, in termini puramente verbali rispetto alla democrazia ‘partecipativa’ ed alla incompatibilità tra lo stato e la vera autogestione, viene fuori in un articolo di Shawn Hattingh dello Zabalaza Anarchist Communist Front del Sud Africa: "Ben lungi dall'essere quei paradisi culle di autogestione operaia, le imprese di proprietà statale in Venezuela sono segnate da rapporti di dominio, di oppressione e di sfruttamento. Lo Stato ha persino cercato, a volte, di minare la capacità degli operai di battersi contro le cattive condizioni di lavoro e contro i miseri salari. Di conseguenza, poco importa se sia lo Stato oppure un capitalista ad avere la proprietà di una fabbrica, se i lavoratori poi non hanno comunque potere o democrazia diretta nel luogo di lavoro. ‘Cogestione’ ed altri modelli statali sono spesso diventati un modo per lo stato per poter sfruttare i lavoratori ancora di più, spingendo verso modalità produttive più snelle, verso la precarizzazione o l'outsourcing. Tali relazioni e tali modalità non sono questioni marginali. In una società dove vige uno schema gerarchico ed oppressivo nei rapporti di produzione, il vero socialismo non esiste e non può esistere. Gli oppressivi rapporti di produzione sono un comune denominatore in tutte le società classiste, compreso il Venezuela".[2]

Democrazia operaia?

Le cooperative di lavoro dipendono da forze più grandi sui mercati per poter sopravvivere e crescere e non possono esistere al di fuori dei rapporti sociali capitalisti dovuti alle pressioni delle forze sul mercato ed alla competizione. Al pari delle imprese private, le cooperative sono anch'esse soggette alle stesse pressioni in termini di licenziamenti, aumento dei prezzi e riduzione dei salari fino a perdere ogni somiglianza con una democrazia "operaia".

Nell'esaminare la questione delle cooperative, vale la pena leggere Bakunin (1814-1876):

“Le varie forme di cooperazione sono incontestabilmente uno dei modi più equi e razionali di organizzare il futuro sistema produttivo. Ma prima che si possa realizzarne lo scopo di emancipazione delle masse lavoratrici di modo che esse possano ricevere pienamente il prodotto del loro lavoro, sia la terra che tutte le forme di capitale devono essere convertite in proprietà collettiva. Finché ciò non avviene, le cooperative saranno sopraffatte dalla onnipotente concorrenza del capitale monopolistico e dalla grande proprietà agraria; … ed anche nell'improbabile caso che un piccolo gruppo di cooperative dovesse in qualche modo superare la concorrenza, il loro successo non farebbe altro che generare un nuova classe di prosperi cooperatori nel bel mezzo di una povera massa di proletari”.

Usando il suo studio sul campo del movimento cooperativo nel Sud Africa del post-apartheid, Oliver Nathan dello Zabalaza Anarchist Communist Front ha messo in luce il dilemma tra gli ideali delle cooperative e la realtà del mercato: ‘La maggior parte delle cooperative poi deve far fronte ad alti livelli di degenerazione rispetto agli scopi iniziali, sia sul piano del successo di mercato -per poter pagare ai soci un salario di sussistenza- che su quello della democrazia interna. Le cooperative di lavoro della post-apartheid dovrebbero essere prese per quello che sono: mere forme di sopravvivenza nel senso che riescono a pagare ai loro soci solo un salario marginale ad intervalli irregolari, a causa della loro presenza spesso marginale sul mercato. I soci devono spesso rivolgersi a fonti alternative di occupazione oppure ricorrere alla rete familiare e di comunità per sostenersi’ [3]

Il ruolo dei centri sociali

Anche se si escludono a vicenda, le cooperative di lavoro ed i centri sociali si ritrovano spesso a far parte dello stesso spazio progettuale. Per esempio il Caffè Na Criosbhealí di Belfast trae ispirazione dalla popolare Casa della Gioventù nei Paesi Baschi ed è a sua volta nato da un'assemblea di giovani.

Puntiamo a "politicizzare, formare ed auto-responsabilizzare gli abitanti di Belfast e di tutta l'Irlanda affinché non siano ostaggio nelle braccia del capitalismo e del pensiero di destra. La Co-Op organizza eventi che cercano di promuovere cultura, pensiero politico, consapevolezza per raccogliere fondi per certe cause o per altri eventi. Siamo uno spazio sociale aperto a tutti i compagni che vogliano approfittare di questa possibilità. Abbiamo ospitato diversi gruppi politici, sindacati ed altre organizzazioni che hanno organizzato eventi e collette. Abbiamo fatto cineforum, corsi di lingua ed una riunione generale all'anno, puntiamo a moltiplicare queste iniziative e ad organizzare pure una libreria ed altri momenti formativi con l'obiettivo futuro di avere una sezione sensibile al funzionamento della Co-Operativa."[4]

Se da un lato Na Criosbhealí offre uno spazio positivo per organizzarsi e fare delle cose, dall'altro non è chiaro se riuscirà a replicare il successo e l'influenza del suo ispiratore nei Paesi Baschi e del più ampio modello iberico. Soprattutto alla luce dei contrasti in circostanze politiche e sociali in relazione alla mancanza di un movimento sociale qui ed alla confusione sulla "politica progressista di sinistra", che comprende tutto dal leninismo allo stalinismo

Sebbene sia importante mantenere una prospettiva internazionalista, il feticcio di fare tutte le lotte "antimperialiste" possibili ed immaginabili non dovrebbe andare a discapito della costruzione di legami e di solidarietà con i lavoratori e con il territorio qui oltre le divisioni settarie.

Un'altra esperienza è quella del Just Books Collective che ha una presenza consolidata a Belfast che risale all'apertura del negozio originario in Winetavern Street (aperto deliberatamente tra Falls Road e Shankill Road [la prima abitata da cattolici, la seconda da protestanti, luoghi segnati dal conflitto, ndt ), dal Belfast Anarchist Collective, nel giugno 1978 senza nessun contributo statale. Il negozio ha chiuso nel 1994, ma continua a fare banchetti in occasione di eventi ed in futuro punta a diventare una risorsa per la classe lavoratrice ed un centro di solidarietà con dentro un centro per il territorio e per la formazione al lavoro. Ora una cooperativa di lavoro autogestita sta sperimentando un progetto di formazione-lavoro - Just Learning - nelle comunità di tutta Belfast ritenendo importante promuovere delle alternative su basi di mutuo appoggio, di classe, di auto-aiuto e di cooperazione.

L'esperienza dei centri sociali ha messo radici profonde in Italia a partire dagli anni '70. Grandi edifici e persino caserme abbandonate sono state "occupate" per farne dei centri sociali. Ci sono oggi dozzine di centri sociali in Italia, ma è preoccupante che siano sorti anche parecchi centri sociali fascisti come Casa Pound.

I centri sociali hanno assunto diverse dimensioni politiche e culturali, tra cui anche se essere luoghi occupati o presi in affitto; si trovano nelle maggior parte delle città europee ed in tutti gli angoli del globo. Ne ho visitati a Barcellona,in Israele, in Nuova Zelanda, in Australia, in Grecia, nei Paesi Baschi per citarne alcuni, consentendomi di farmi un certa conoscenza ed esperienza.

In Irlanda, a parte il centro Warzone e Na Criosbhealí a Belfast, c'è lo spazio sociale autonomo Seomra Spraoi a Dublino che ospita la sede del WSM ed a Cork c'è Solidarity Books.

Paesi Baschi

Dopo la morte di Franco alla fine degli anni '70, ci fu un'esplosione di radicalismo sociale e di ribellione giovanile nei Paesi Baschi. Squats, radio libere ed assemblee di giovani portarono alla nascita delle Case della Gioventù (Gaztetxeak) dando un'espressione a questa lotta per il cambiamento attraverso la costruzione di una cultura politica basca combinata con il radicalismo anti-autoritario ed i valori di auto-organizzazione ed autogestione. Secondo Eoin O’Broin che ha scritto ampiamente sui movimenti giovanili baschi: "Nonostante la grande energia impiegata dallo Stato nel cercare di reprimere questo movimento, dopo 20 anni ancora sopravvive, più forte e più consapevole che mai".[5]

L'emergere dei centri sociali in Italia alla fine degli anni'70 può essere collegato con le circostanze politico-sociali del periodo e con le potenzialità per un cambiamento rivoluzionario. Le radici remote dei centri sociali si possono trovare in quel periodo iniziale di diffusione di associazioni operaie e sindacali in tutta Europa a cavallo del XX secolo che ne favorì il ruolo ed una funzione centrale all'interno dell'emergente movimento di lavoratori militanti.

La formazione di un ateneo (athenaeum) a Barcellona durante questo periodo si aggiunse alle nuove infrastrutture sociali di base, comprendenti l'influente sindacato anarchico della CNT, giornali, associazioni culturali e club sociali che proponevano una cultura operaia costruita sul mutuo appoggio e sull'azione diretta in un solo esempio di questo processo. Questi centri sociali e di cultura popolare erano ben 75 già nel 1914 e diventarono una vera necessità per i lavoratori sul territorio in termini di agitazione sociale. Ogni ateneo offriva una gamma di servizi e di attività per il tempo libero, quali conferenze, biblioteche ed istruzione; offrendo corsi di scrittura e di grammatica, trasmettendo una cultura dell'azione e della mobilitazione al posto della delega alla autorità locali.

Conclusioni

In qualche modo i centri sociali di oggi sono lontani da questa tradizione operaia e radicale in termini di loro composizione, di collocazione territoriale e di prospettive. Questi nuovi centri sociali spesso si muovono come isole, come "ghetti di attivisti", separati dai bisogni concreti e dalle esperienze di classe, allontanandosi dall'essenza dei centri sociali che dovrebbero fornire un spazio aperto ed accessibile come pure porsi come forum per la formazione e la mobilitazione.

Ma se in Irlanda si devono ancora sviluppare le stesse dinamiche e gli stessi livelli raggiunti dal movimento cooperativo nel resto del mondo, è importante riflettere ed analizzare questo percorso prima di andare avanti su questo sentiero. Le cooperative di lavoro svolgono una funzione utile nel mettere in luce le possibilità della cooperazione tra lavoratori senza padroni, fornendo un ambito per il dibattito e per una temporanea alternativa alla disoccupazione, ma questo non significa che dovremmo chiudere gli occhi davanti alla loro in ultima analisi incapacità nello sfidare il sistema capitalistico. La costruzione di un movimento di cooperative di lavoro non può sostituire una strategia rivoluzionaria basata sull'azione collettiva della classe lavoratrice e sulla definitiva espropriazione del potere e della ricchezza della classe capitalista.

Laddove ci rendiamo conto della nostra forza di classe, possiamo finalmente assumere il controllo sulle nostre vite, sui nostri quartieri e sui luoghi di lavoro, liberi dallo sfruttamento, dall'alienazione e dall'oppressione, saldi sui principi del comunismo libertario. Non possiamo autogestire il capitalismo in base ai nostri interessi in quanto esso è pensato per essere contro i lavoratori. L'unico modo in cui possiamo vivere veramente senza sfruttamento e senza padroni non è quello di interiorizzarli ma quello di abolire il capitalismo e lo Stato suo protettore. Nel Nord ed in tutta l'Irlanda questo vuol dire lavorare all'interno del movimento dei lavoratori e delle lotte sul territorio, costruendo una infrastruttura di centri sociali, di associazioni culturali e di propaganda che forniscano a tutti noi la ricca tradizione dell'anarchismo di classe; con un movimento rivoluzionario di classe e libertario che seppellirà la politica del passato per costruire la politica del presente.

Sean Matthews (WSM)

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.


Note:
[1] The Philosophy of Bakunin, p. 385
[2] http://www.anarkismo.net/article/22640
[3] http://libcom.org/library/worker-co-operatives-markets-...state
[4] http://www.wsm.ie/c/belfast-interview-croisbhealai-work...ative
[5] Matxinada: Basque Nationalism & Radical Basque Youth Movements

Articolo tratto e tradotto dal numero 5 di "Irish Anarchist Review" - Estate 2012

Related Link: http://www.wsm.ie

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author by Monte - FdCApublication date Thu Jun 14, 2012 02:25author address author phone Report this post to the editors

All'inizio del '900 in Italia oltre che partiti, federazioni di militanti, strutture sindacali di mestiere e di territorio, esistevano Università popolari per sviluppare divulgazione delle scienze naturali, della laicità, centri di iniziativa culturale o sportiva, cooperative di consumo e/o produzione. Quelle di consumo avevano una funzione di calmierare i prezzi sui generi di prima necessità e di sostegno al reddito attraverso la possibilità di ritardare i pagamenti, importantissime durante gli scioperi che in quel periodo erano lunghi.

Poi forme di organizzazione di lavori che erano sbocco agli operai disoccupati, ma riguardavano operai molto qualificati cioè professionali (un esempio odierno sarebbero gli edili). Seguivano poi le Case del Popolo, luogo di socialità serale, ma anche di mense nella pausa lavorativa, ma anche di ballo e di giochi oltre che di vino (seppur sempre controllato per evitare abusi).

L'insieme determinava un contesto amplio di associazionismo e di resistenza. Includerei anche società mutualiste per sostegno pensionistico e di disoccupazione.

Poi l'evoluzione dello stato sociale ha parzialmente inglobato alcuni aspetti con la sanità pubblica, la scolarizzazione di massa. Infine lo sviluppo della società di massa ha posto un maggior controllo anche nella gestione delllo spazio del tempo libero e dei consumi e della loro differenziazione.

Può essere che nello sviluppo del neoliberismo (cioè del dominio della finanza) con le privatizzazioni, questi settori necessitano di essere ripensati come forme resistenza sociale.

Però andrebbe ripristinato il senso che nel movimento operaio dell'800 assumevano le cooperative sia in Bakunin sia in Marx: cioè momenti di organizzazione del processo lavorativo, inteso come autogestone nell'organizzazione del tempo di erogazione del lavoro vivo, evitando la caratteristica, per rimanere competitivi sul mercato, di sopperire alla produttività (volume di beni prodotti in ora lavorata) con un incremento di ore lavorate per ottenere lo stesso volume di beni.

In questo caso non si dimostrerebbe la superiorità delle cooperative, ma la loro insufficienza; magari poi è meglio questo che essere ricattati e disoccupati. Il nodo contemporaneo è nel livello di capitale costante, di mezzi di produzioni necessari per esercitare il tempo di lavoro socialmente necessario per essere adeguati sui singoli beni. Problema non secondario, se si pensa che l'operaio cinese ha una produttività solo di 5% rispetto a quello USA calcolato al 100%: cioè 1 ora di un operaio USA vale 20 ore di quella in Cina (fonte "Limes", penultimo numero) come valori d'uso prodotti.

 
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