Una critica radicale del programma economico liberista
Paul Krugman, il noto economista liberale, ci presenta il suo programma per mettere fine all'attuale depressione economica, seguendo una strategia keynesiana di espansione della spesa pubblica. Ecco qui la mia critica radicale di questo programma, fatta secondo la prospettiva di un anarchico che crede nell'utilità della teoria economica di Marx. [English]
"Proprio come gli economisti sono i rappresentanti scientifici della classe borghese, così i socialisti ed i comunisti sono i teorici della classe proletaria".
- Karl Marx (1847/1935; p.106)
Ma il professor Krugman crede che non ci sia nessuna causa profonda sottostante a questa crisi (il che è ciò che fa di lui un liberale). La crisi - secondo lui - potrebbe essere facilmente corretta con un "banale" cambio di politica pubblica! I governi dovrebbero seguire le lezioni di John Maynard Keynes - il grande economista liberale - e trovare i modi per stimolare l'economia tramite l'aumento della spesa pubblica. Seguendo Keynes, Krugman sostiene che il problema sia quello della domanda aggregata nel settore privato (i consumatori non sono più in grado di acquistare le merci). Perciò lo Stato deve intervenire e creare domanda nel settore pubblico. Poi tornerà la crescita.
Krugman non nega che c'è un problema causato dal fatto che i governi ed il settore privato siano ampiamente indebitati. C'era stata "una straordinaria crescita del debito, a cominciare più o meno dal 1980.... Noi abbiamo un problema di debito in eccesso..". (pp. 50-51). Si riferisce alla "escrescenza del debito privato che è probabilmente alla radice della nostra crisi" (p. 39). Ma egli cita il comandamento keynesiano che ritiene sia da sciocchi trattare il deficit (con tagli nella spesa pubblica) durante il corso di una crisi. Se lo si fa, si peggiora la depressione - e, indebolendo l'economia, si finisce in realtà col far aumentare il debito pubblico e quello privato. Bisogna attendere che torni la crescita perché i governi procedano (presumibilmente) ai tagli della spesa sociale ed alla diminuzione del debito pubblico.
Purtroppo, Krugman lamenta che persone che dovrebbero sapere di economia -politici ed economisti di grido - abbiamo dimenticato l'ABC dell'economia keynesiana. E sostengono politiche sempre più disastrose. Quando Obama propose il suo programma di stimoli all'economia, Krugman lo criticò perché era insufficiente e limitato, anche se quel poco era meglio di niente. "Ho cominciato a strapparmi i capelli in pubblico mano a mano che il piano di interventi del governo prendeva forma più chiaramente" (p. 118). Le critiche di Krugman (e quelle di altri economisti liberali) apparivano corrette: gli stimoli potevano impedire un ulteriore (immediato) declino, ma non riportavano nessuna crescita. "Era una ricetta per il dolore" (p. 122). Da allora, puntualizza Krugman, Obama è stato pubblicamente preso dalla necessità di combattere il deficit piuttosto che di combattere la disoccupazione. Nei suoi editoriali Krugman castiga continuamente i Democratici per la loro debolezza, per il loro programma inadeguato e per la loro capitolazione ai Repubblicani.
Ma egli affonda di più i suoi attacchi contro la destra, i cosiddetti "conservatori" (veramente reazionari) tanto negli Stati Uniti che in Europa. (Non entrerò in merito alla sua analisi sulla crisi europea, che egli considera dovuta alla creazione di una moneta comune ben prima della definizione di un sistema di integrazione politica e finanziaria. Ma egli vede gli errori fondamentali dei governi europei nel chiedere tagli - "austerità" - durante la crisi, invece di cercare stimoli all'economia - molto similmente a quello sta sta accadendo negli USA). Della destra, di quella economica e politica, egli denuncia la loro "pura ignoranza". Così riassume, "Coloro che avevano ragione mancavano del tutto di convinzione, mentre coloro che avevano torto erano nutriti solo di appassionata intensità" (p. 111). (Storicamente questo è stato lo schema comune ai conflitti tra liberali e reazionari!)
Naturalmente, quando i conservatori obiettano con veemenza alla spesa governativa per i servizi sociali per i poveri e per i lavoratori a fronte della necessità di tagliare il debito pubblico - per poi chiedere tagli ancora più profondi per la sanità ma più fondi per le spese militari - dimostrano chiaramente la loro ipocrisia. A destra ci possono essere degli economisti sinceri, ma i politici - ed i loro padroni, gli imprenditori che li pagano -hanno altre preoccupazioni rispetto alla riduzione del deficit. Persino la depressione diventa, per loro, per lo più un'opportunità per portare avanti i loro programmmi. A volte dicono che la sola cosa di cui gli importa è tagliare il "governo", ma anche questa è ipocrisia. Sono favorevoli in gran parte a più esercito e più polizia, più guardie alle frontiere, maggiore intrusione del governo nella vita riproduttiva delle donne, ecc. No, quello che gli interessa è aumentare la ricchezza per i ricchi attaccando la classe lavoratrice (mia conclusione e non di Krugman).
Quindi sollecita un intervento sulla Fed (la Federal Reserve, la banca centrale U.S.A). Krugman critica la "timidezza" e la "passività" della Fed espressa dai suoi dirigenti che si fanno "intimidire dalle pressioni politiche" da parte della destra e dalle "pressioni del pensiero di gruppo" (p. 218). Egli dà diverse indicazioni, tra cui l'impegno della Fed per "una inflazione modestamente più alta, tipo, del 4 per cento nei prossimi 5 anni" (p. 219) oppure anche nei prossimi 10 anni (più alta dell'attuale 2 per cento, ma non troppo alta). Per Krugman, uno dei vantaggi dell'inflazione è che essa rappresenta un modo conveniente per ridurre le retribuzioni dei lavoratori, senza tutto quel conflitto disordinato che potrebbe seguire ad un attacco diretto ai salari. "I paesi possono ed in genere ottengono una apprezzabile diminuzione dei salari relativi più o meno nel corso di una notte e con minimo danno, grazie alla svalutazione della moneta" (p. 170).
Da liberale, Krugman ha comprensione per la "gente in difficoltà" ma non sta davvero dalla parte dei lavoratori.
Non manca, Krugman, di affrontare il grave problema del debito che i proprietari di casa avevano contratto al tempo della bolla della casa. Come al solito, per Krugman, anche i migliori inteventi dell'amministrazione Obama a favore dei proprietari di casa sarebbero stati "troppo prudenti e troppo restrittivi" (p. 220). Ci vorrebbe un programma di massa rifinanziato. Krugman dice che certe politiche supplementari spezzerebbero la crisi, come la "regolamentazone dell'ambiente" oppure essere "più duri" con lo Stato cinese per la sua manipolazione della valuta.
Non è chiaro comunque l'ammontare delle risorse che secondo Krugman sarebbero necessarie, dal momento che egli scrive, "invertire l'austerità statale o locale non eliminerebbe il bisogno di addizionali stimoli fiscali" (p. 221). Vuol dire questo che tutte le sue proposte, dopo tutto, non muoverebbero denaro sufficiente per avviare una ripresa? E di quanto ancora ci sarebbe bisogno?
Krugman non entra in merito al fatto che l'apparente prosperità successiva alla 2GM era basata sulla spesa per un continuo armamento-quello che il Presidente Eisenhauer aveva chiamato il "complesso militar-industriale", che certi marxisti hanno definito come "l'economia permamente delle armi", e che altri hanno chiamato "keynesismo militare" (oppure, per dirla con il deputato del congresso Barney Frank, "keynesismo armato"). Ma Krugman non prende in considerazione nemmeno come, ancora oggi, la crisi venga ammortizzata da una massiccia spesa militare.
I liberali si chiedono, perché la stessa grande quantità di denaro governativo non può essere spesa per la produzione di merci utili e in servizi? Perché non spendere in istruzione, in salute, in alloggi, in trasporti di massa, in prodotti alimentari di base, nel miglioramento dell'ambiente, nel trovare fonti alternative di energia, e così via? Non lo si è fatto, ma perché?
La risposta è: politiche di classe. La classe capitalista non vuole essere tassata per spendere denaro a favore della classe lavoratrice. Un programma quale quello sopra sconvolgerebbe l'equilibrio del potere di classe. Renderebbe i lavoratori più indipendenti dai ricchi imprenditori. Porterebbe a produrre beni pubblici che entrerebbero in competizione con le merci prodotte dai privati. Condurrebbe la gente a chiedersi, se il settore pubblico può fornire così tanti beni e servizi, allora perché avere bisogno della classe capitalista e della loro economia di mercato?
La spesa per le armi, d'altra parte, è un sussidio alle grandi imprese. Essa non entra in competizione con merci prodotte privatamente (specialmente i missili nucleari). Rafforza l'impero ed incoraggia il superpatriottismo. Non è prevedibile la sostituzione della grande spesa militare con una spesa governativa in beni e servizi utili per la popolazione. I moderati ed i liberali avrebbero senz'altro dei tentennamenti ed i conservatori vi si scaglierebbero contro con la bava alla bocca.
Il problema principale non è la mancanza di "domanda aggregata" (secondo la visione keynesiana) ma una dimunizione del tasso di produzione di profitti sufficienti (plusvalore, in termini marxisti). Ci fossero profitti sufficienti, allora i capitalisti assumerebbero più lavoratori che potrebbero acquistare più beni, mentre i capitalisti si comprerebbero più beni di lusso e le loro fabbriche comprerebbero più mezzi di produzione. In breve, maggiori profitti aumentano la domanda aggregata, mentre il calo dei profitti fa calare la domanda aggregata. Questo può essere analizzato adeguatamente solo in termini marxisti, con la teoria del valore e della tendenza alla caduta del saggio di profitto.
Il sistema capitalista ha cercato di resistere al declino della sua "economia reale" (che produce beni reali e servizi), innescato da un'espansione dell'economia finanziaria ("virtuale" o "di carta") (comprese le spese per gli armamenti che non producono beni vendibili). C'è stata la sensazione che i profitti crescevano, ma in realtà si trattava per lo più di ciò che Marx ha chiamato "capitale fittizio", una montagna di debiti, un'economia fatta soprattutto di bolle. Un'espansione della spesa governativa, che Krugman auspica, farebbe senza dubbio diminuire la miseria sociale. Potrebbe far da volano ancora una volta, per un po', incidendo però sul sempre più alto debito pubblico e privato. Il che aprirebbe davanti a noi la strada ad ulteriori e maggiori catastrofi . Questo è un sistema sociale che non può essere riformato, ma solo eliminato.
Socialisti di varie tendenze da tempo chiedono piani di lavori pubblici e di spesa pubblica per creare posti di lavoro e servizi. Queste proposte si trovavano già nel Manifesto Comunista del 1848 - ma esistevano già da prima. I rivoluzionari anarchici chiedono che i progetti di lavori pubblici vadano messi sotto il controllo dei lavoratori che vi sono impiegati e delle loro locali comunità operaie.
I socialisti rivoluzionari (tra cui gli anarchici) vogliono programmi di lavori pubblici per ragioni quasi simili a quelle di Krugman e di altri liberali, e cioè alleviare la sofferenza sociale. Ma i socialisti rivoluzionari chiedono questi progetti anche per ragioni molto diverse da quelle di Krugman, che invece li vuole per far tornare a funzionare l'economia capitalista. Invece, i lavori pubblici verrebbero combinati con un programma di espropriazione delle imprese private inutili (prendendole senza alcuna compensazione per essere autogestire dai lavoratori e dalle loro comunità). I programmi pubblici e le imprese espropriate verrebbero coordinati dal basso, dando il via ad un'economia no-profit democraticamente pianificata. Contrariamente al programma liberale, si vedrebbero, come dice il Manifesto, "mezzi di intervento radicali sul diritto di proprietà e sulle condizioni di produzione borghese" (Marx & Engels, 1848/1955; p. 31).
Vale la pena leggere questo libro per avere una chiara ed informata esposizione dell'analisi dell'economia liberale. Ma mi sento di suggerire allo stesso tempo la lettura di vari scrittori marxisti sull'economia politica e sulla crisi mondiale: per esempio, Daum & Richardson (2010), Foster & Magdoff (2009), Kliman (2012), Mattick (2011). (Le idee contenute in questo saggio sono più ampiamente illustrate nel mio libro, Marx's Economics for Anarchists; An Anarchist's Introduction to Marx's Critique of Political Economy, che uscirà in autunno per i tipi di AK Press. Si tratta di una versione più ampia e rivisitata degli articoli già comparsi su Anarkismo.)
Wayne Price
Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.
Riferimenti: