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Wednesday May 02, 2012 19:34 by Unione Sindacale Italiana - Red and Black Coordination usiait1 at virgilio dot it fax: 06/77201444
"Ciò che oggi divide i lavoratori e le lavoratrici, non sono le oltre seimila lingue e neppure le tante diversità ideologiche e religiose. A rendere le differenze rilevanti, e spesso devastanti, sono i circa duecento Stati che ancora si contendono i confini e che quasi mai corrispondono a delle nazioni..." 1° Maggio: Giornata di lotta internazionaleIl 1° Maggio 1886, a Chicago una grande manifestazione operaia per la riduzione dell'orario di lavoro, venne repressa nel sangue. Da allora, in tutto il mondo, il Primo Maggio è diventato, a livello internazionale, la data simbolica delle lotte dei lavoratori per la riduzione della giornata lavorativa, grazie alle quali, per più di un secolo, i lavoratori e le classi subalterne hanno costantemente migliorato le loro condizioni materiali. La storia del Primo Maggio testimonia il carattere internazionale della classe operaia, una natura che mescola lingue, tradizioni, movimenti migratori e connette uomini e donne e il loro agire sociale alla loro condizione di classe. La riduzione della giornata lavorativa è stato il risultato dell'azione dei lavoratori in tutto il mondo, al di là di ogni divisione nazionale, etnica o religiosa. La contemporaneità delle manifestazioni del 1° Maggio in tutto il mondo e l'aggiungersi nel tempo di nuovi paesi ne sono la prova. Ciò che oggi divide i lavoratori e le lavoratrici, non sono le oltre seimila lingue e neppure le tante diversità ideologiche e religiose. A rendere le differenze rilevanti, e spesso devastanti, sono i circa duecento Stati che ancora si contendono i confini e che quasi mai corrispondono a delle nazioni. L'internazionalismo è oggi più che mai la risposta necessaria contro una borghesia che internazionalizza l'economia ma non riesce a superare lo Stato-nazione che è intrinsecamente connesso alla sua affermazione come classe. Né l'Unione Europea di padroni, finanzieri e speculatori ha dato risposte differenti in questo senso, estendendone gli effetti negativi. Ogni anno, milioni di nuovi lavoratori salariati entrano sulla scena sociale mondiale, trasformando, insieme ai rapporti tra le potenze, l'equilibrio tra le classi. Coloro che hanno teorizzato la nascita della società postindustriale, con una struttura liquida dalla storia finita e suggellata dal neoliberismo trionfante e una classe operaia vecchia, residuale e in via di estinzione, oggi balbettano di fronte all'enorme processo di proletarizzazione che avviene principalmente in Asia e nel sud del mondo e che determina in Occidente l'impoverimento generalizzato del "ceto medio" e l'arrivo inarrestabile di un nuovo e giovane proletariato immigrato. La crisi "finanziaria" è solo il sintomo più evidente della decadenza profonda del Capitalismo che, lontano dal riuscire a risolverla, non riesce neanche ad arginarla con i consueti e collaudati strumenti del welfare e/o con riconversioni della produzione in chiave "ecologica". Crisi economica partita dagli USA e passata in Europa, dove ha accelerato il processo d'impoverimento delle classi subalterne che era già in atto, si è allargata ai paesi della sponda sud del mediterraneo e ad altri paesi poveri del mondo, dai quali, è facile aspettarsi che continueranno a giungere nuove e massicce ondate migratorie. Oggi è esigenza indispensabile che i lavoratori e i giovani costruiscano una concreta unità di lotta, con i lavoratori immigrati. Solo sul terreno della lotta, dell'azione diretta, indipendente e di massa i lavoratori possono difendersi dagli effetti "sociali" della crisi. La riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, insieme al salario sociale (casa, sanità, istruzione e trasporti gratuiti) possono essere la barriera difensiva all'uso padronale della crisi. La riduzione dell'orario, con il miglioramento dei livelli salariali, presuppone, la sottrazione del tempo di vita allo sfruttamento e una redistribuzione delle ricchezze che, già di per se, minano le fondamenta stesse del Capitalismo. La diminuzione dell'orario lavorativo, l'accoglienza di tutti i lavoratori stranieri, il salario sociale, non possono essere solo rivendicazioni da fare a qualche governo, bensì necessitano della crescita di percorsi collettivi di lotta, ispirati alla massima solidarietà internazionalista, con la diffusione dell'azione diretta e lo sviluppo di pratiche di autorganizzazione sociale.
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