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Wednesday January 18, 2012 17:34 by Circolo Anarchico B. Durruti
Per chi come noi avverte il desiderio di capire la complessità del reale confrontandosi nel dibattito, per chi è convinto che la rivoluzione sia un dovere di ogni uomo o donna che creda nella libertà e nella giustizia sociale, per chi sente che un nuovo mondo è possibile, appuntamento sabato 28 gennaio 2012 a Roma presso il Laboratorio Sociale La Talpa, piazza del Quarticciolo 9 (angolo via Ostuni) dalle ore 17. Modelli di rivoluzioneLe ragioni di un convegno-dibattitoCi sono stati e ci sono ancora nella storia momenti in cui uomini e donne sfruttati, oppressi, discriminati, privati della loro libertà, dei loro diritti hanno detto: "No!" Hanno immaginato per loro un futuro diverso e migliore e non lo hanno chiesto, lo hanno semplicemente preteso, imposto. Se questo movimento di rivolta acquisisce una certa forza ed è in grado di provocare un cambiamento repentino e radicale non solo dei sistemi di produzione ma anche delle condizioni di vita e delle abitudini mentali, in una parola dei paradigmi culturali vigenti, lo chiamiamo RIVOLUZIONE. La rivoluzione non è un pranzo di gala [non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra], ammoniva un grande rivoluzionario, Mao Tse-tung. Ma egli aveva in mente un ben preciso modello di rivoluzione, quella che doveva portare alla sconfitta della borghesia e del capitalismo, alla vittoria del proletariato e alla nascita di un regime comunista. Aveva in mente una rivoluzione-evento. La rivoluzione come evento è sempre violenta perché deve scaricare in breve l'energia che le ha fatto da detonatore, deve far esplodere la propria rabbia, affermare la propria rivolta, sostenere le proprie ragioni (perché il rivoluzionario è sempre convinto di avere ragione), sopprimendo quelle dell'antagonista. Nella storia, invece, molti sono i modelli di rivoluzione che si sono prodotti, non tutti necessariamente violenti, almeno all'apparenza: si pensi, ad esempio alla cosiddetta rivoluzione industriale. La rivoluzione industriale (1780-1840 circa, secondo lo storico britannico Eric Hobsbawm) è un caso classico di rivoluzione come processo, un movimento di trasformazione totale che produsse enormi e definitivi sconvolgimenti, senza tuttavia presentarsi come un avvenimento con un alto impatto traumatico. Eppure anche questo tipo di rivoluzione, pur essendo un tipo di rivoluzione incruenta, fa le sue vittime: lo stanno a testimoniare le migliaia di lavoratori, di lavoratrici e di bambini impegnati nelle fabbriche che nel tempo sono caduti sul lavoro a causa del sistema di produzione industriale. Anche la rivoluzione-processo della nostra epoca, la rivoluzione informatica, sta probabilmente producendo la sua messe di morte, magari in modo più impercettibile e senza spargimento di sangue. In ogni rivoluzione, il cambiamento per prodursi deve già esistere come progetto, un progetto condiviso, (ché altrimenti ci troviamo di fronte ad un gesto individuale che ha una sua validità e può agire come motore della storia se è in grado di provocare un certo rivolgimento, ma è qualcosa di diverso dalla rivoluzione). Il gruppo sociale ideatore, sostenitore e realizzatore del progetto rivoluzionario è quello che comunemente si definisce soggetto rivoluzionario. Da Marx il soggetto rivoluzionario è stato identificato nel proletariato e nella classe lavoratrice e questa idea ha per molto tempo monopolizzato il dibattito, perché in genere si tendeva ad identificare la rivoluzione nella rivoluzione comunista, assolutizzando la forma del conflitto di classe e negando o semplicemente trascurando la possibilità di esistenza di altre forme. Questo vizio del dibattito politico sulla rivoluzione, tuttavia, non è nato solo da un preconcetto ideologico: in realtà, i principali eventi rivoluzionari che si sono verificati dopo il 1870 fino al Secondo Dopoguerra sono stati di matrice proletaria e comunista. Ma se il modello marxista essendo prevalente consente di leggere la storia nelle sue linee fondamentali fino al 1945, dopo questa data si assiste all'emergere di altre spinte di altri conflitti che non sembrano più chiaramente interpretabili utilizzando il parametro marxista della lotta di classe, neanche come controrivoluzioni borghesi. A partire dagli anni '70 del Novecento, l'equilibrio economico-politico che aveva retto l'ordine globale fino a quel momento comincia a mostrare i primi segni di cedimento, anche in zone considerate in precedenza periferiche e marginali ed il conflitto assume forme che sembravano inimmaginabili solo pochi anni prima. Lo schema ermeneutico della lotta di classe, del conflitto tra capitalismo e classe operaia mostra i suoi limiti e si impone con evidenza la considerazione che il soggetto rivoluzionario si presenta con caratteristiche sempre diverse e deve non necessariamente rappresentare istanze per così dire progressiste. Assistiamo così a diverse esperienze rivoluzionarie, alcune di livello anche molto avanzato dal punto di vista dell'autogestione, che si affiancano però alla proposizione di forme di organizzazione economico-politiche che possono essere giudicate anche relativamente regressive. Le esperienze municipaliste nella Spagna post-franchista convivono con le rivoluzioni a carattere teocratico dell'area arabo-islamica, e i jornaleros (lavoratori giornalieri) dell'Andalusia possono dirsi soggetti rivoluzionari al pari degli studenti di teologia dell'Afghanistan, dopo la cacciata dell'URSS. Si può scegliere di analizzare questi modelli di rivoluzione sotto diversi profili, quello psicologico, scoprendo allora che forse a muovere le masse rivoluzionarie è il sentimento di frustrazione che genera aggressività, oppure dal punto di vista sociologico, seguendo le dinamiche che portano al formarsi di conflitti tra gruppi di interesse legati da un obiettivo comune, o anche dal punto di vista filosofico, giungendo a teorizzare, come pure è stato fatto, la possibilità di una rivoluzione senza soggetto rivoluzionario. Si può infine decidere di analizzare i vari modelli di rivoluzione in una prospettiva politica, non per uno scopo puramente accademico, ma per trarre dall'analisi del recente passato e del presente indicazioni per operare politicamente nella realtà e non in una dimensione totalmente astratta. Per chi come noi avverte il desiderio di capire la complessità del reale confrontandosi nel dibattito, per chi è convinto che la rivoluzione sia un dovere di ogni uomo o donna che creda nella libertà e nella giustizia sociale, per chi sente che un nuovo mondo è possibile, appuntamento:
presso il Laboratorio Sociale La Talpa, piazza del Quarticciolo 9 (angolo via Ostuni) dalle ore 17. Organizzano il Circolo Anarchico B. Durruti e il Laboratorio Sociale La Talpa; coordina Ascanio; intervengono Ascanio (Circolo Anarchico B. Durruti), Claudia (Unione Sindacale Italiana), Pino (???).
Tutte le compagne e i compagni sono invitato a partecipare e a dare il loro contributo al dibattito. |
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