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Frammenti di un anarchismo riformista

category internazionale | la sinistra | recensione author Thursday November 10, 2011 00:50author by Wayne Price - Common Struggle (a titolo personale)author email drwdprice at aol dot com Report this post to the editors

Una recensione del libro di David Graeber (2004), Fragments of an Anarchist Anthropology

Ecco la recensione di una collezione di pensieri sparsi sull'anarchismo, sull'antropologia e di studi accademici. David Graeber prende posizione contraria alla necessità di uno scontro rivoluzionario con lo stato e di un suo eventuale rovesciamento. Egli si dichiara, invece, a favore di un approccio gradualista che lascia lo Stato nella sua solitudine. [English]
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Frammenti di un anarchismo riformista

una recensione del libro di David Graeber (2004), Fragments of an Anarchist Anthropology


Ecco la recensione di una collezione di pensieri sparsi sull'anarchismo, sull'antropologia e di studi accademici. David Graeber prende posizione contraria alla necessità di uno scontro rivoluzionario con lo stato e di un suo eventuale rovesciamento. Egli si dichiara, invece, a favore di un approccio gradualista che lascia lo Stato nella sua solitudine.

Nei vari tentativi di costruire una teoria anarchica, c'è sempre stato un interesse naturale verso l'antropologia. Questa ha dimostrato che, per la maggior parte della storia dell'esistenza umana, i popoli hanno vissuto senza stato in società senza mercato. Piuttosto che esserci un solo tipo di "natura umana", i popoli si sono dimostrati molto flessibili su come interagire ed organizzarsi reciprocamente. Gli anarchici hanno esaminato i risultati della ricerca antropologica, come nei lavori di Harold Barclay: People without Government (1990) ed An Anthropology of Anarchy (1997). Quando si tratta di comprendere l'origine dello Stato, del mercato e della famiglia, anche i marxisti fanno i conti con l'antropologia, come accadde col classico di Engels The Origin of the Family, Private Propery, and the State (1972). Quel lavoro è datato, ma sempre interessante (vedere l'Introduzione di Eleanor Burke Leacock, pp. 7-85).

Questo volumetto dell'antropologo David Graeber non è la stessa cosa. Qui non si prendono in esame le strutture politiche ed economiche dei cacciatori-raccoglitori o delle società orticole per mostrare quanta anarchia vi fosse, o per capire come le società senza governanti prendevano le decisioni e mantenevano l'ordine. Se si vuole sapere qualcosa su questi aspetti, allora bisognerebbe leggere Barclay (che Graeber non menziona mai, abbastanza stranamente). Invece, questo volumetto è, cone spiega Graeber stesso "una serie di pensieri, bozze di potenziali teorie, e mini-manifesti," i quali egli spera potranno contribuire un giorno a costituire "un impianto teorico radicale". Ecco perché il titolo "frammenti".

"Perché ci sono così pochi anarchici nel mondo accademico?"

Questi pensieri sparsi sono contenuti un un volumetto (105 paginette). In cui ci si imbatte sia in brevi che in (relativamente) lunghi commenti e digressioni. Per esempio, già agli inizi l'autore dice la sua sulla differenza tra anarchismo e marxismo in quanto movimenti. Si tratta di una una questione importante che mette in luce la diversità tra anarchici e marxisti nel rapportarsi con i loro reciproci "fondatori". Altri bocconcini riguardano un frammento su democrazia e consenso. Al pari mio, anche Graeber considera l'anarchismo come una forma di democrazia diretta e radicale, a differenza di quegli anarchici che respingono la democrazia. Graeber si occupa poi di altri frammenti tematici.

Comunque, ci sono 2 frammenti principali in questo libro. Il primo è la domanda con cui egli dà inizio al libro, "Perché ci sono così pochi anarchici nel mondo accademico?". Negli Stati Uniti ci sono migliaia di marxisti che lavorano nei colleges e nelle università, ma gli anarchici sono veramente pochi. Graeber è particolarmente preoccupato della carenza di antropologi anarchici, il suo campo, ma si chiede anche come mai lo stesso fenomeno si verifica in altre branche accademiche come le scienze politiche, la sociologia, l'economia e la letteratura.

Graeber ipotizza che la causa sia da ricercare nell'inclinazione anarchica verso l'azione piuttosto che verso la teoria. E forse ancor più perché il pensiero anarchico non si concilia con gli ambienti dei colleges e delle università come invece ben riesce al marxismo. L'anarchismo è troppo ribelle, troppo antiverticistico, dice l'autore, per adeguarsi ai dipartimenti accademici. Il che può essere vero, sebbene possa dare maggiore lustro ai professori anarchici.

In ogni caso c'è una ragione molto più semplice, che non viene presa in considerazione da Graeber, per spiegare la mancanza di professori anarchici rispetto a quelli marxisti. La maggior parte degli attuali professori marxisti statunitensi si è radicalizzata negli anni '60 e '70, quando il marxismo-leninismo era la corrente principale a sinistra. Il che trovava la sua causa nell'attrazione esercitata dai governi di Cuba, Vietnam del Nord e Cina, i quali si presentavano come gli avversari dell'imperialismo nel nome del marxismo. Molti giovani si erano radicalizzati in quegli anni e poi sono inesorabilmente invecchiati (!). Mentre il radicalismo scemava, uno strato di leninisti si laureava ed otteneva incarichi universitari (la cosiddetta "accademia"). In tempi più recenti, c'è stato l'inizio di una nuova radicalizzazione. Ma questa volta non è il marxismo-leninismo ad attrarre, visto il fallimento dell'URSS ed i cambiamenti avvenuti in Cina. Molti giovani maggiorenni si stanno radicalizzando su posizioni anarchiche. Ma sono ancora troppo giovani per laurearsi, almeno quelli che lo faranno. E' quindi solo troppo presto per vedere un'ondata di professori anarchici che segua a quella dei professori marxisti.

Personalmente non ritengo la mancanza di professori anarchici un argomento importante o interessante, il che non significa che l'autore non dovesse parlarne. Dopo che ha scritto questo libro allo stesso David Graeber è stato bruscamente detto di "lasciare" (cioè licenziato di fatto) il suo incarico di assistente di antropologia all'Università di Yale. Probabilmente nel suo allontanamento dal dipartimento di antropologia dell'Università di Yale hanno pesato le sue opinioni politiche anarchiche. A lui va la nostra solidarietà in ogni vertenza con Yale.

Riforme o rivoluzione?

Graeber evidenza una debolezza nell'orientamento anarchico nei confronti dell'antropologia. Cioè, egli è tutto preso dal dimostrare le continuità tra la società moderna e le società pre-capitaliste e pre-industriali. Il che ha un certo valore. Tuttavia, per fare un cambiamento radicale della nostra società è necessario fare un'analisi concreta del mondo attuale, in particolare un'analisi della natura dello Stato e della struttura di classe della società capitalista. Le basi argomentative per una rivoluzione stanno nella natura dello Stato borghese e nella classe dominante capitalista che lo Stato serve, come pure nella forza e nella debolezza della classe lavoratrice sotto il capitalismo. Le risposte a queste questioni non si possono cercare nell'antropologia.

Graeber respinge il concetto di una rivoluzione dei lavoratori, senza fare nessuna analisi della classe dominante o dello Stato. Egli respinge l'idea di una rivoluzione su modello di quella americana, di quella francese, di quella russa o di quella ungherese del 1956. Respinge le prospettive rivoluzionarie di Marx, di Bakunin, di Kropotkin, della Luxemburg, di Malatesta, e della Goldman. Sogghigna sulle rivolte popolari definendole come "rivoluzioni apocalittiche" (p. 19) o come "rotture cataclismatiche". (p. 44)

L'unico teorico delle rivoluzione che prende in cosiderazione non è Marx o Kropotkin, ma Georges Sorel. Sorel era un elitario che divenne poi un proto-fascista. Contrariamente alle implicazioni che cerca di dargli Graeber, Sorel non fu un un influente anarco-sindacalista. Per lo più marginale, egli venne influenzato dall'anarco-sindacalismo, ma l'anarco-sindacalismo non venne influenzato da lui. Graeber mette in rilievo la figura di Sorel, piuttosto che quella della Luxemburg o di Malatesta, allo scopo di screditare la rivoluzione.

Graeber scrive: "I rivoluzionari ... hanno ormai abbandonato, persino solo a parlarne, l'idea di prendere il potere" (p. 2) "L'azione rivoluzionaria non deve necessariamente puntare a rovesciare i governi" (p. 45)

Egli non distingue tra "prendere il potere" e "prendere il potere dello Stato". (Price 2006b) Prendere il potere significa che i lavoratori e gli oppressi abbattono lo Stato ("rovesciare i governi") ed assumono il controllo della società, gestendola in modo nuovo, radicalmente democratico, usando i consigli federati e le assemblee tanto nei luoghi di lavoro quanto nei quartieri. Ma "prendere il potere statale" è tutta un'altra questione per gli anarchici. Vorrebbe dire mettere su un nuovo Stato, una macchina burocratica e socialmente alienata e stratificata in poliziotti, militari, funzionari e politici. Gli anarchici rivoluzionari dovrebbero essere per la presa del potere da parte degli oppressi, ma contro l'istituzione di un nuovo stato.

Graeber è esplicitamente un anti-rivoluzionario. Ma egli porta solo due argomentazioni contro "lo sfidare il potere a testa alta (che porta in genere ad essere massacrati, oppure, a diventare qualche variante - spesso peggiore - della stessa cosa che si vuole sfidare)" (p. 61). Queste sono in genere le stesse argomentazioni che i liberali usano contro la rivoluzione. I Liberali sono d'accordo con i conservatori che il governo non andrebbe rovesciato e che i lavoratori non dovrebbero prendere il potere. L'ultima cosa che vogliono è che la classe lavoratrice prenda il potere! Per giustificarsi, i liberali esprimono i loro timori, proprio come fa Graeber, sul verificarsi di massacri o di nuove tirannie.

Il pericolo di essere "massacrati" dovrebbe essere un argomento a favore del fare rivoluzioni che siano vittoriose, e non per rigettare le rivoluzioni come tali. E' chiaro che le rivoluzioni possono fallire, come possono fallire anche le lotte riformiste. Ma alcuni dei peggiori massacri si sono verificati proprio quando i popoli hanno mancato l'appuntamento con la rivoluzione perché si affidarono solo ai programmi dei riformisti. Il Nazismo salì al potere dopo il fallimento delle politiche riformiste e gradualiste dei socialdemocratici tedeschi. Pinochet prese il potere a causa delle politiche riformiste di Allende in Cile negli anni '70 - che certamente irritarono i ricchi ed i militari ma non ne minacciarono la stabilità.

Quanto al pericolo di "diventare una variante persino peggiore della stessa cosa che si vuole sfidare," questo implica che le rivoluzioni non abbiano mai portato a dei miglioramenti. Eppure la Rivoluzione Americana creò una democrazia borghese con un allargamento delle libertà per molte persone. La Rivoluzione Francese diede la terra ai contadini, fece anche da base per un'eventuale democrazia borghese. Naturalmente, nessuna rivoluzione ha prodotto società anarco-socialiste autogestite. Ma nemmeno le le strategie riformiste non-violente. Nessuna finora. Questa non è una buona ragione per smettere di fare le rivoluzioni o per credere che le strategie riformiste funzioneranno senz'altro. Essenzialmente questa è la cinica convinzione che gli oppressi non sono capaci di liberarsi dei loro vecchi governanti e nemmeno di gestire una società da soli. Vero, c'è sempre una tendenza che vuole ricreare il vecchio autoritarismo durante la rivolta. Ecco perché gli anarchici hanno bisogno di organizzarsi tra di loro per lottare per l'autogestione libertaria tra il popolo. (Bookchin 1986)

Invece della rivoluzione, Graeber punta ad una politica senza scontri fatta di piccoli passi per il cambiamento, graduali e pacifici, costruendo istituzioni alternative attorno allo stato ed al mercato. "... La questione [è] come neutralizzare l'apparato statale in sè, in assenza di una politica di scontro diretto....Forse gli esistenti apparati di stato saranno gradualmente ridotti a manichini in vetrina .... Ci sono tempi in cui la cosa più stupida da fare è quella di sventolare la bandiera rossa&nera e rilasciare dichiarazioni di sfida. A volte la cosa più sensata è fare proprio finta che niente sia cambiato, permettere agli ufficiali rappresentanti dello Stato di mantenere una loro dignità, magari anche presentarci presso i loro uffici e compilare un modulo di tanto in tanto, ma per il resto ignorarli" (pp. 62-64). In realtà non sembra che per Graeber si tratti di "qualche volta", quanto della maggior parte delle volte se non sempre.

Graeber dice di essere d'accordo con i marxisti autonomi italiani che puntano ad un "esodo rivoluzionario .... Il modo più efficace per opporsi al capitalismo ed allo stato liberale non passa per lo scontro diretto ma attraverso una defezione di massa messa in atto da coloro che desiderano creare nuove forme di comunità .... sottraendosi alla morsa [del potere] ed alla battaglia, con la diserzione e la fondazione di nuove comunità" (pp. 60, 61).

Come prova del fatto che quanto sopra potrebbe funzionare, Graeber cita esempi tratti dall'antropologia ed in particolare dalla sua propria esperienza. Secondo Graeber, negli anni '80, l'intero stato del Madagascar praticamente crollò a causa di una crisi finanziaria. Lo Stato smise di fornire la maggior parte dei servizi o di intromettersi nelle vite del popolo tramite la polizia. Il popolo malgascio smise di pagare la maggior parte delle tasse. La gente si recava negli uffici governativi, compilava moduli in forma legale ma per il resto ignorava lo stato. "In qualche modo si trattava davvero di una rivoluzione". (p. 33) Sebbene, aggiunge Graebe, "quanto tempo sarebbe durata è un'altra questione; era una forma di libertà molto fragile e delicata. Molte realtà simili sono finite... Altre resistono". (p. 34)

Questa non è affatto una strategia raccomandabile. Può aver funzionato in una nazione povera ed oppressa - durante una crisi economica - in aree marginali del paese - per un breve periodo. Ma le grandi nazioni industrializzate, centralizzate, più vicine ai centri dell'imperialismo mondiale, con stati fortemente militarizzati, non rinunciano così facilmente al potere. Le classi dominanti non permetteranno che le loro ricchezze ed il loro potere gli vengano portati via, fosse anche con i metodi più democratici e non-violenti. Lor signori non sono così stupidi da non immaginarsi in cosa consistano i metodi dell'esodo - e vi si opporranno con tutta la forza dello Stato.

L'antropologo Barclay cita "l'ovvia verità anarchica per cui lo Stato è un'istituzione che non cederà mai volontariamente il suo potere. Coloro i quali hanno il potere ... agiranno per sopprimere qualsiasi minaccia percepibile alle loro posizioni. Lo Stato delle moderne società capitaliste ... può facilmente tollerare ... associazioni di credito e cooperative ... Ma questo sostegno si tramuterebbe rapidamente in repressione qualora tali movimenti diventassero una minaccia agli interessi bancari e corporativi del paese". (1990, p. 143)

Ed è Graeber stesso a riconoscerlo! Sempre nel suo volumetto, Graeber dice che gli sforzi per creare un mondo nuovo e migliore "dovrebbero fare i conti con l'opposizione testarda e financo violenta espressa da coloro che attualmente beneficiano della maggior parte degli accordi esistenti". (p. 1-2) E andrebbe senz'altro così. Ecco perché noi siamo per la rivoluzione. Questo riconoscimento da parte di Graeber contraddice completamente la sua stessa strategia di un cambiamento graduale senza scontro.

Consentitemi di fare un esempio tratto dalla storia e non dall'antropologia. Nell'introduzione al libro di Daniel Guerin sulla Germania pre-nazista (1994), il traduttore scriveva, "In Germania ... far parte del Partito Socialdemocratico ... o del Partito Comunista ... significava far parte di una comunità culturale e non solo di un partito politico in senso stretto. Entrambi i partiti potevano vantare una serie di servizi e di istituzioni che abbracciavano i loro milioni di aderenti dalla culla alla tomba: progetti di ambulatori di quartiere; opere di assistenza e beneficienza; programmi di formazione; attività musicali, teatrali, cinematografiche e letterarie; club sportivi; colonie per le vacanze; programmi di viaggi scambio; librerie; club per gruppi di bambini di diverse età; organizzazioni delle donne; una rete locale, regionale e nazionale di giornali e riviste; cooperative edilizie; e milizie di auto-difesa". (p. 23)

Questo dimostra che un movimento politico della classe lavoratrice potrebbe creare una rete di istituzioni alternative all'interno e contro la società capitalista. Tuttavia, quando i Nazisti presero il potere nel 1933, nel breve giro di 2 o 3 mesi tutte queste istituzioni non esistevano più. Furono soppresse oppure assorbite nelle organizzazioni naziste. Non essendo riuscita nel fare la rivoluzione, la classe lavoratrice tedesca si trovò dunque a scontrarsi con uno stato capitalista rafforzato che abbatteva tutte quelle istituzioni e ne massacrava dirigenti ed iscritti. Le istituzioni alternative non sono sufficienti. Lo scontro e la rivoluzione sono ineludibili.

La strategia di Graeber si può confrontare con quella di Murray Bookchin (1986) sulla semi-rivoluzione francese del maggio-giugno 1968. Si trattava di una rivolta che aveva avuto inizio nelle università e che si era diffusa nelle fabbriche e virtualmente ad ogni settore della società. Uno sciopero generale attraversò un paese capitalista industrializzato e moderno. Bookchin diceva: "se questo movimento dilagante sarebbe diventato una completa rivoluzione sociale dipendeva da una cosa sola - dopo aver occupato le fabbriche, i lavoratori le avrebbero anche gestite?" (p. 285). Solo questo avrebbe spazzato via la classe dei capitalisti ed il loro sistema.

Ed in quanto all'esercito ed alla polizia: "Se solo i lavoratori delle fabbriche di armi non le avessero solo occupate ma avessero continuato la produzione per distribuire le armi al popolo rivoluzionario, se solo i ferrovieri avessero trasportato queste armi al popolo rivoluzionario nelle città, nei paesi e nei villaggi, se solo i comitati di azione si fossero organizzati in milizie - allora ... un popolo armato ... si sarebbe scontrato con lo Stato". (p. 289) Egli non crede che la massa dei militari di leva avrebbe sparato sul popolo, e ritiene che il popolo rivoluzionario, adeguatamente organizzato, avrebbe potuto battere il nucleo delle forze controrivoluzionarie. Bookchin conclude dicendo che per poter lottare per un programma simile si rendeva necessaria una organizzazione anarchica.

Diversamente dal Bookchin di quegli anni, Graeber respinge la rivoluzione, la caduta dei governi e persino lo scontro con i governi. Il suo programma è graduale, non-violento, senza scontri, per lasciare lo Stato in solitudine. Eppure egli descrive ripetutamente questa sua prospettiva come "rivoluzionaria". Si tratta di un uso davvero singolare del termine "rivoluzionario" per indicare riforme non rivoluzionarie. Naturalmente, Graeber può usare la lingua cone desidera - siamo pur sempre in un paese semi-libero. Ma egli non fa progredire il dibattito se usa parole con un significato opposto a quello che hanno in genere.

Con la parola "rivoluzione," Graeber probabilmente si riferisce al desiderio di cambiare completamente la società ... nel lungo periodo. Non ho dubbi sulla sua sincerità. Ma storicamente parlando, tutti coloro che hanno voluto cambiare totalmente la società con misure graduali, progressive e senza scontri, sono sempre stati definiti "riformisti". In questo novero includiamo i Fabiani britannici, i possibilisti francesi, i revisionisti tedeschi ed i menscevichi russi. Coloro i quali non desideravano cambiare in profondità la società non sono stati definiti riformisti, ma liberali. Qualunque cosa egli pensi di se stesso, Graeber è per lo più un riformista.

Ad esempio, Graeber propone un programma in 3 punti per "alleviare la povertà globale" e per abolirla nei fatti:

  • un'immediata amnistia sul debito internazionale....
  • un'immediata cancellazione di tutti i diritti e brevetti di proprietà intellettuale....
  • l'eliminazione di tutte le restrizioni alla libertà globale di spostamento e residenza
...il resto sarebbe più o meno prendersi cura di se stessi
" (p. 78)
Graeber è cosciente del fatto che tale programma non è "realistico" nel senso che le persone ricche e potenti del mondo non lo farebbero mai passare. Ma egli sembra credere che tali richieste (da me condivise per intero), se realmemente implementate, porterebbero davvero alla fine della povertà globale. Egli non comprende che il capitalismo mondiale è fondato sullo sfruttamento, sull'estrazione di pluslavoro dagli operai del mondo. Un tale programma, anche se (magicamente) messo in essere, non cambierebbe il capitalismo internazionale. Non fermerebbe la povertà e lo sfruttamento a livello mondiale. E' solo una fantasia da liberale.

Conclusioni

Come Graeber fa notare, la sua convinzione in una "rivoluzione" graduale e pacifica, che non osa sfidare lo stato, è alquanto diffusa tra gli anarchici ed i marxisti autonomi. Dopo tutto, sarebbe bello se funzionasse. Personalmente ho in passato recensito altri autori che condividono questa stessa prospettiva, dalla teoria della Parecon (partecipatory economy, ndt) al "marxismo aperto" di Holloway" (Price 2006; 2005)

Il problema con Graeber non sono i suoi studi antropologici che hanno il loro valore. Il problema è il suo impegno riformista. Un tale approccio finisce col dare ai lavoratori il messaggio che persino una lotta corente ed un tantino più dura per le riforme potrebbe provocare uno scontro con lo stato. Per Graeber, gli obiettivi rivoluzionari a lungo termine sono raggiungibili attraverso la lotta per le riforme. Per gli anarchici rivoluzionari su posizioni di classe, anche le riforme a breve termine si vincono meglio all'interno di una lotta finalizzata alla rivoluzione.


Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali


Bibliografia

  • Barclay, Harold (1990). People without Government; An Anthroplogy of Anarchy. London: Kahn & Averill.
  • Barclay, Harold (1997). Culture and Anarchism. London: Freedom Press.
  • Bookchin, Murray (1986). Post-Scarcity Anarchism (2nd ed.). Montreal-Buffalo: Black Rose Press.
  • Engels, Frederick (1972). The Origin of the Family, Private Propery, and the State; In the Light of the Researches of Lewis H. Morgan. NY: International Publishers.
  • Graeber, David (2004), Fragments of an Anarchist Anthropology. Chicago: Prickly Paradigm Press.
  • Guérin, Daniel (1994). The Brown Plague; Travels in Late Weimar and Early Nazi Germany. (Robert Schwartzwald, trans.). Duham and London: Duke University Press.
  • Price, Wayne (2005). "Parecon and the nature of reformism. A review of Robin Hahnel (2005). Economic Justice and Democracy", http://www.anarkismo.net/article/737
  • Price, Wayne (2006a). "An Anarchist Review of Change the World without Taking Power by John Holloway", http://www.anarkismo.net/article/3778
  • Price, Wayne (2006b). "Confronting the Question of Power", http://www.anarkismo.net/article/2496
Articolo scritto per www.anarkismo.net

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