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Thursday October 20, 2011 19:38 by Rete Spartaco retespartaco at gmail dot com
Presentazione della Rete Spartaco Aperitivo anticapitalista ed incontro con i compagni della Rete Spartaco, venerdì 21 ottobre - dalle ore 19:00 a "Casa Bettola" in Via M. della Bettola a Reggio Emilia. Presentazione della Rete Spartaco e incontro con i promotori ed interventi sulla crisi del capitale e sulle sue ricadute sociali. Aperitivo anticapitalista ed incontro con i compagni della Rete SpartacoVenerdì 21 ottobre - dalle ore 19:00 A "Casa Bettola" in Via M. della Bettola a Reggio Emilia Presentazione della Rete Spartaco
Spartaco è un metalmeccanico,
Spartaco è un bambino con le scarpe bucate, MA SPARTACO NON E' STATO DOMATO
Spartaco è un collettivo di lavoratori precari in una metropoli europea, il '69 operaio alla fiat di Torino, lavoratori stranieri in lotta in una cooperativa di facchinaggio, un consiglio di fabbrica, una lega contadina, un sindacalista rivoluzionario del secolo scorso, un picchetto ai cancelli della fincantieri. RETE SPARTACOAi capitalisti fa paura la storia degli operai, non fa paura la politica delle sinistre. La prima l'hanno spedita tra i demoni dell'inferno, la seconda l'hanno accolta nei palazzi di governo, e ai capitalisti bisogna fare paura. Combattere il capitalismo oggi significa concepire un progetto nuovo, in rottura con i socialismi autoritari e statalisti che nel corso del ventesimo secolo hanno condotto in un vicolo cieco il movimento dei lavoratori e l'antagonismo sociale, soffocandone le spinte rivoluzionarie realmente creative e riconducendone le istanze nel solco del capitalismo di stato. Ma allora come questo progetto anticapitalista, in cui l'unica possibile prospettiva è la costruzione di un'organizzazione sociale autenticamente egualitaria, libera dallo sfruttamento e dalle logiche del mercato, può essere adattato alla complessità della società moderna? Questo documento esprime orientamenti e proposte di una corrente militante che mira ad elaborare teoria e pratica di un'ipotesi alternativa alla società del capitale. L'orientamento che intendiamo tracciare muove dal protagonismo sociale di base e collettivo, rifiutando al contempo sia il dogmatismo ideologico settario sia la collocazione entro i corridoi della politica istituzionale. Ci riconosciamo in una filiazione aperta e plurale, che affonda le sue radici nel patrimonio politico del movimento operaio, nelle sue tendenze antiautoritarie ed autogestionarie storicamente espresse nei momenti più alti della lotta di classe. A questo proposito intendiamo affermare una concezione articolata della classe lavoratrice e delle sue lotte che tenga conto delle profonde mutazioni della nostra epoca. Sosteniamo che il capitalismo non sia l'ultimo e definitivo stadio della storia dell'umanità. È necessaria una nuova pratica anticapitalista che sia capace di realizzare una trasformazione sociale reale. LavoroCon la sconfitta alla FIAT del 1980 si chiude in Italia la fase fordista, caratterizzata da un'alta presenza numerica di lavoratori concentrati in aree produttive o strutture di servizi. Ha così fine un periodo che aveva portato, attraverso la contrattazione collettiva e il ruolo fondamentale del contratto nazionale di lavoro, alla conquista di maggior salario, maggiori diritti, maggiori tutele per i lavoratori, concretizzatasi attraverso fasi successive di lotte che pongono vincoli all'azione del capitale nei luoghi di lavoro. L'ampio movimento sociale prodotto sviluppa conquiste sul terreno dei diritti civili e della partecipazione democratica. Oltre alle conquiste riguardanti le condizioni di lavoro e la prestazione lavorativa, si procede lungo la strada della realizzazione dello stato sociale universale (sanità, previdenza, diritto allo studio) e dell'approvazione delle leggi di tutela, in primis lo statuto dei diritti dei lavoratori.Il soggetto sociale di riferimento, rappresentativo e unificante, è l'operaio massa, che sviluppa il conflitto sociale e si dà forme organizzate più dirette e partecipate: il sindacato e i consigli di fabbrica. Siamo di fronte alla valorizzazione del lavoro e al ruolo determinante delle lavoratrici e dei lavoratori nella società. L'attuale fase del capitale, quella neoliberista, vede scaricare sul lavoro tutte le problematiche derivanti dalla finanziarizzazione dell'economia, dalla competizione, dall'instabilità che via via si è generata e si genera fino alla drammatica accelerazione di questa fase, che prende avvio col picco di crisi del 2007-2008 ed è tuttora in pieno svolgimento. Le caratteristiche principali lungo le quali si sviluppa l'attacco al lavoro si possono riassumere in riduzione dei salari, frammentazione della classe, precarizzazione di massa, distruzione dello stato sociale, costruzione ideologica della centralità dell'impresa, distruzione progressiva di qualsiasi vincolo sociale al quale il capitale è sottoposto dentro e fuori i luoghi di lavoro. Il lavoro "garantito" subisce continui attacchi ed è sempre più subalterno rispetto alla congiuntura internazionale, al mercato, alla finanza e al debito. Le due posizioni lavoro a tempo indeterminato e precario si avvicinano: il risultato è la frammentazione in tanti singoli individui che si trovano di fronte a padroni, contratti, condizioni lavorative e salariali diverse anche quando lavorano gomito a gomito nello stesso luogo e producono la stessa merce o concorrono a produrre lo stesso servizio. Il capitale è riuscito a dividere il lavoro, punta ad individualizzare sempre più la prestazione lavorativa ed a contrapporre interessi fra lavoratori: dilagano i precari e aumenta la disponibilità di un esercito di riserva di disoccupati, inoccupati, lavoratori in nero non solo migranti, ma prodotti nelle stesse aree "sviluppate". La vera funzione della precarizzazione di massa che stiamo vivendo è infatti quella di stabilire una permanente possibilità di ricatto che rende sempre meno contestabile il potere di comando del capitale sulla prestazione lavorativa. Siamo quindi nel pieno della svalorizzazione del lavoro e della marginalizzazione del ruolo dei lavoratori nella società. La stessa organizzazione sindacale vive una dinamica di crisi e di trasformazione: l'assunzione della centralità dell'impresa come riferimento ne distrugge l'autonomia e la progettualità, eliminando la contraddizione tra capitale e lavoro in una sorta di unificazione di interessi che restano non conciliabili, dando vita al sindacato aziendalista e a fine corporativo, un sindacato di mercato, l'esatto contrario dei fondamenti sui quali il sindacato è nato: solidarietà e difesa degli interessi immediati della classe lavoratrice, quindi giustizia sociale. Oggi non esiste il soggetto sociale unificante e non vi sono scorciatoie di nessun tipo a portata di mano. Occorre agire nel sociale sul territorio attraverso una riunificazione di classe entro i luoghi di lavoro e una ricomposizione del legame con quei segmenti di classe presenti sul territorio che sono privi di rappresentanza (precari, disoccupati, sottoccupati, lavoratori in nero, false partite iva, studenti). Bisogna ricomporre la classe lavoratrice accettando il fatto che i lavori sono tanti e diversi ma di pari dignità, rimettendo al centro la costruzione dei rapporti di forza per reggere lo scontro, ribaltando la deriva in atto che pare inarrestabile e dal profilo sempre più autoritario, puntando anche sull'influenza del sindacato conflittuale non ancora sconfitto e che non accetta la complicità con il capitale. Al centro del nostro progetto rimane lo scontro tra capitale e lavoro e l'agire del conflitto sociale come strumento, coscienti come siamo che l'emancipazione della classe lavoratrice e subalterna avviene solo per opera della classe stessa, alla quale apparteniamo. GuerraUn elemento costante nel modo di produzione capitalistico è rappresentato dalla guerra. La tensione verso l'obiettivo dell'accumulazione del capitale guida gli interessi della classe dominante tanto verso la conquista di nuovi mercati contesi a livello internazionale quanto verso l'utilizzo dell'espediente bellico per rilanciare un mercato moribondo in tempi di crisi di sovrapproduzione. Poco importa se questo obiettivo richiede che siano rase al suolo intere città e che vengano finanziate carneficine ed orrori di ogni genere, come indifferente per la logica illogica del capitale è che a pagare con la propria vita siano civili o soldati al servizio dello stato. L'importante è che al vertice del piramide del potere un'oligarchia di sfruttatori possa continuare a realizzare giganteschi guadagni da tutto ciò, mentre alla base la classe lavoratrice viene sacrificata sull'altare del profitto dei padroni.Le guerre in corso, quelle che la propaganda mediatica di campo bellicista ci descrive ogni giorno attraverso il richiamo a risoluzioni ONU e a missioni "umanitarie", sono determinate da aspirazioni imperialistiche. In esse la ricerca da parte del capitalismo di nuovi spazi per le merci, di penetrazione finanziaria e di controllo delle risorse strategiche - nonché del controllo di corridoi per il trasporto delle merci - determina in aree con un grado diseguale di sviluppo capitalistico le nuove egemonie che scaturiscono dalla potenza militare ed economica di stati sempre più contenitori di potenza industriale e finanziaria. Tali stati non esitano a produrre guerre "di bassa intensità" per ridefinire i propri campi di intervento: tutte le guerre degli ultimi anni si inseriscono in questa dinamica, che vede contrapposti la declinante potenza Usa ed il nascente potere egemonico dei paesi asiatici - Cina in testa - cui si aggiungono le lotte interstatuali di paesi intermedi ma con una grande forza politica ed economica. In questa prospettiva le logiche della politica di guerra non colpiscono soltanto oltre confine, ma anche sui nostri territori articolandosi su più piani, dalla costruzione di nuove armi al taglio delle politiche sociali, dalla costruzione di campagne razziste alla creazione di un'ideologia nazionale sciovinista. E intanto centinaia di migliaia di persone nel mondo muoiono in nome di una pace che nemmeno sanno cosa sia e che di certo non porterà alcun miglioramento della loro esistenza. Una pace che vuole soltanto che tutti obbediscano, che si lascino sfruttare secondo gli interessi dei padroni, che si lascino ammazzare quando questa pace va difesa. È una pace che necessita di servi. È una pace che fa rima con morte! Una rete che intenda organizzare l'azione del movimento dei membri della classe lavoratrice e che rifiuti sia le dinamiche dello sfruttamento padronale sia la sottomissione dei bisogni umani alle logiche del profitto deve indicare in modo chiaro che sono gli sfruttati - e soltanto loro - a pagare le conseguenze di questi crimini legalizzati dal diritto internazionale. Tale rete deve pertanto affermare che solo spostando l'azione sul piano della lotta di classe è possibile spezzare la catena con cui il capitalismo soffoca il bisogno di pace dell'umanità. La lotta per estirpare le cause profonde della guerra e dello sfruttamento disumano delle risorse - compresa la vita stessa dei lavoratori - da parte dei centri di potere e di privilegio non può e non deve esaurirsi in atti di democrazia formale né in un legalistico richiamo alla Costituzione. Deve tradursi in atto, in gesto collettivo, perché collettive sono le conseguenze che la guerra porta con sé quando presenta il suo conto: di fronte a morte, distruzione e povertà non è sufficiente chiudere le porte delle nostre tranquille case d'Occidente, il conto dobbiamo pagarlo e lo stiamo già pagando! AmbienteAl conflitto fra capitale e lavoro si aggiunge quello tra capitale e natura con la crisi delle risorse energetiche, le problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti, lo sfruttamento smisurato e la distruzione delle risorse naturali, i cambiamenti climatici e la mortificazione del territorio deturpato da inutili infrastrutture. Comprendere che il punto cruciale della questione ambientale è il conflitto tra capitale e natura significa evitare il tranello posto dalla convinzione che sia possibile, o addirittura auspicabile, riformare il capitalismo dandogli un "volto umano", una "mano di verde" che nasconda il fine che gli è congenito, lo sfruttamento di tutte quelle risorse che permettano l'accumulazione del capitale. Lo scontro cui stiamo assistendo è il contrapporsi fra il modello di sviluppo disumanizzante imposto dalle multinazionali e dalla globalizzazione e il grido di chi, uomo e natura, esprime il proprio diritto alla vita, rifiutando di essere considerato "merce".Nostro compito è proporre una reale alternativa a questo modello totalizzante, che tenga conto tanto della necessità degli individui di soddisfare i propri bisogni in una prospettiva di benessere diffuso, quanto della comprensione del fatto che l'uomo è parte integrante del proprio ambiente naturale: pertanto la salvaguardia di tale ambiente nelle sue specificità è la condizione indispensabile per poter ipotizzare non solo il benessere, ma l'esistenza stessa degli individui. Ciò significa che l'uomo deve interagire con la natura, deve scegliere finalità d'uso che siano sempre reversibili, deve attingere al patrimonio che essa mette a disposizione senza depauperarlo, deve impostare il rapporto con essa sull'equilibrio, comprendendo e sperimentando nella pianificazione economica e nella pratica quotidiana la differenza tra uso e sfruttamento. Le vertenze e i conflitti sui temi ambientali che oggi mobilitano l'opinione pubblica sono finora stati limitati sia nelle prospettive sia nei risultati dall'atomizzazione che li ha caratterizzati. Compito di una rete deve essere quello di organizzare e sostenere le lotte appoggiando le iniziative che dal locale producono alternative pratiche al modello dominante di consumo perché hanno un carattere dimostrativo e di formazione delle coscienze, portando alla luce l'evidenza per cui la lotta di ognuno è la lotta di tutti.
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