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Ritorno a scuola per l'Eurozona mentre collassa l'accordo per la Grecia

category irlanda / gran bretagna | economia | opinione / analisi author Sunday September 11, 2011 16:32author by Paul Bowman - Workers Solidarity Movement Report this post to the editors

"SNAFU" nell'Eurozone

Ed eccoci alla fine dell'estate. E' tempo per i politici e per i burocrati dell'Eurozona di far ritorno ai propri uffici e di dare un'occhiata alle cose da fare. Per la stessa ragione è tempo anche per noi, che siamo interessati a lottare contro l'Europa della Austerity, fare il punto della situazione. [English]
IMAGE: johndeighton.com/blog
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Ritorno a scuola per l'Eurozona mentre collassa l'accordo per la Grecia


Ed eccoci alla fine dell'estate. E' tempo per i politici e per i burocrati dell'Eurozona di far ritorno ai propri uffici e di dare un'occhiata alle cose da fare. Per la stessa ragione è tempo anche per noi, che siamo interessati a lottare contro l'Europa della Austerity, fare il punto della situazione.

Per quanto riguarda l'euro, è stata un'estate tutt'altro che tranquilla, con una breve crisi ai primi di agosto che ha sbugiardato la regola in base alla quale non accade nulla di importante sui mercati finanziari tra luglio ed agosto a causa delle ferie. E' tempo allora di ripercorrere gli eventi estivi. Il termine più calzante per l'euro in questo momento è SNAFU, un finto acronimo militare in uso durante la Seconda Guerra Mondiale che sta per "Situation Normal, All F***ed Up" (Situazione normale, casino totale".

L'accordo per salvare la Grecia annunciato dai capi europei agli inizi di luglio ha funzionato per quasi un mese fino a che i mercati si sono accorti che dietro i bei discorsi e le assicurazioni dei politici, tutte le decisioni difficili erano state eluse. In effetti, quella seconda proposta di salvataggio -finalizzata ad evitare il fallimento della Grecia in ottobre - è stata silurata dai nuovi euro-scettici finlandesi che hanno deciso di spingere la Grecia verso una promessa unilaterale di garanzia (assets finanziari dati ai creditori a garanzia dei prestiti ottenuti - in questo caso, trattasi di assets patrimoniali, cioè non titoli di stato greci) in cambio del (relativamente minore) contributo finnico al nuovo pacchetto di salvataggio.

In un atto di epica stupidità, il governo greco ha deciso di cedere al ricatto finlandese, nella speranza di sgomberare la strada da ogni problema. Infatti, gran parte degli altri paesi dell'eurozona, appena hanno appreso del fatto che i finlandesi stavano ottenendo delle garanzie per il loro contributo, si sta ora rifiutando naturalmente di tirar fuori i soldi senza ricevere in cambio garanzie simili - cosa che ovviamente, la Grecia non può fare. Per cui l'intero accordo annunciato in luglio, giace ora in pezzi sul pavimento dopo un lungo braccio di ferro e sbattimento di teste.

Ancor peggio, persino la prossima tranche dell'attuale (primo) piano di salvataggio, i €9 miliardi dovuti in settembre, risulta attualmente sospesa. I rappresentanti della troika (UE/BCE/FMI) delegati ad esercitare un dominio coloniale sull'economia greca hanno sospeso le trattative e se ne sono tornati a Bruxelles. La Troika è stizzita col governo greco accusato di non darsi da fare nell'attuazione dei tagli selvaggi, nelle "riforme strutturali" e nelle privatizzazioni che avevano sottoscritto. In breve siamo ritornati al punto di partenza della crisi del debito greco, e siamo solo a settembre.

Un grande affare per un piccolo affare

Ma il grande significato della perdurante crisi greca è la sua relativa insignificanza in termini di proporzioni finanziarie. In termini di quantità di denaro in ballo, in rapporto alle dimensioni dell'Eurozona, la Grecia è praticamente spiccioli. E questo rivela che la natura della crisi nell'Eurozona non è veramente finanziaria bensì politica. La vera crisi sta nell'incapacità dei capi politici europei di trovare un accordo su una qualsiasi strategia praticabile per affrontare la crisi. Per dirla tutta, i padroni politici dell'Eurozona si sono dimostrati finora incapaci di organizzare uno sbronzo in una birreria.

Questa incertezza sta producendo effetti che bussano alla porta di pesci ben più grossi dei tre piccoli porcellini (Portogallo, Irlanda e Grecia) attualmente in amministrazione controllata. Agli inizi di agosto, la crescente consapevolezza che la "soluzione" al problema del debito greco trovata a luglio era una fesseria, combinata con le precoccupazioni sulla situazione di Spagna ed Italia, ha fatto impennare i rendimenti sui titoli di stato di questi i paesi e ciò fa sì che debbano pagare tassi di interesse più alti sui titoli di nuova emissione.

Simultaneamente l'assurda pantomima all'interno del Congresso in USA sull'accordo per aumentare il tetto (auto-imposto) del loro debito - pena un teorico fallimento - e l'abbassamento del rating sul debito USA da parte di Moody's dalla tripla A ad AA, si aggiungevano ai livelli di paura in cui erano in preda i giovani operatori di borsa di guardia alla fortezza, mentre i più esperti erano in ferie. La conseguente "fuga verso la sicurezza" acquistava le proporzioni di una grande marea di fondi che si dirigevano verso lidi ritenuti più sicuri come l'oro, il franco svizzero, oppure i titoli di stato dei paesi più forti, compresi (colmo dell'ironia) i buoni del tesoro USA ed i titoli tedeschi. Quando i prezzi di questi titoli sono scesi, la differenza tra i rendimenti in crescita dei titoli spagnoli ed italiani e la caduta di quelli tedeschi, ha provocato lo spread (la differenza tra rendimenti più bassi e i più elevati) tra i due in un doppio attacco a tenaglia. C'è un limite a quanto può salire lo spread presso le maggiori agenzie di compensazione, come la LCH.Clearnet di Londra e la Eurex di Francoforte che si rifiuteranno di accettare questi titoli a garanzia di prestiti di cassa a breve termine (noti come pronti contro termine) se non si esibirà ampie percentuali di denaro sonante quale assicurazione supplementare (margin call).

E' stato il superamento di questo limite da parte dei rendimenti dei titoli irlandesi che ha reso necessario l'entrata in scena degli amministratori fallimentari lo scorso novembre. Non perché lo Stato non avesse soldi (in realtà c'erano i soldi per pagare le spese fino al maggio successivo) ma perché le banche irlandesi non disponevano nel breve termine di denaro in cambio del loro parco di titoli di stato irlandesi. Infine l'attacco ai titoli italiani ha avuto effetti sul più grande creditore dell'Italia: la Francia. Il contagio si è diffuso a catena come un domino, fino al cuore di uno dei paesi principali dell'Eurozona. Di fronte alla paralisi dei politici in vacanza, la BCE è stata costretta a intervenire e ad iniziare a comperare titoli spagnoli ed italiani per sostenerne i prezzi e portare i rendimenti più in basso rispetto al limite di pericolo.

Programmi di austerity per tutti

Tutto questo trambusto sul debito sovrano si svolge in un contesto di programmi di austerità forzata, non solo per i tre piccoli porcellini, ma anche per Spagna ed Italia e, più volontariamente, nel Regno Unito ed in altri paesi nordici, che portano ad una crescita piatta. Simili esiti si sono visti negli USA, la fine della QE2 (il secondo programma di "quantitative easing" con cui la banca centrale stampa denaro per cercare di prevenire l'accaparramento di fondi da parte di capitalisti indisponibili ad investire nella produzione) che ha portato alla deflazione, crea la cupa prospettiva di una recessione globale a "double dip" [doppio tuffo, andamento a W, ndt]. I secchioni con la testa a punta delle pagine finanziarie ci avvertono che double dip è un termine improprio, dal momento che l'attuale ricaduta sarebbe ancora quella del 2008. Benché sia vero, non è una informazione di particolare utilità.

Anche se con modalità diverse, il problema su entrambe le sponde dell'Atlantico deriva dalla stessa causa. L'incapacità dell'attuale politica "dell'arte del possibile" di accettare le possibili opzioni che farebbero davvero la differenza. Negli USA questa incapacità si traduce nella crescita di una destra così rinvigorita e cinica da portare alla rovina il paese, ma che viene vista come un prezzo da pagare per far cadere l'amministrazione Obama, combinato con una fede irrazionale nel potere magico dei tagli alle spesa pubblica per rigenerare l'economia.

Da un punto di vistra strategico strettamente capitalistico, la signora Merkel ed il suo governo sanno che le somme necessarie a sostenere le periferie relativamente minori non sono nulla se confrontate con le potenziali perdite che deriverebbero alle esportazioni dell'economia tedesca da una perdita della Eurozona. Ma devono bilanciare queste considerazioni di sistema con il rischio più immediato di perdere il sostegno degli elettori tedeschi e quindi le loro poltrone. Così la situazione di stallo politico nell'Eurozona deriva dalla indisponibilità e dalla incapacità dei politici di destra tedeschi di andare contro le chiacchiere semplicistiche e razziste dei giornali tedeschi, che imputano la crisi del debito nei paesi periferici al presunto carattere corrotto, pigro e inetto dei loro popoli e dei loro governanti. Dopo aver speso una vita a negare la solidarietà tra i popoli attraverso i confini, i politici di destra al centro dell'Eurozona non sono più capaci di cambiare la loro sintonia politica di quanto un leopardo possa cambiare le sue macchie.

La "soluzione" Eurobond

Questo problema emerge chiaramente nel dibattito sugli Eurobond. L'idea degli Eurobond prevede invece che ogni paese venda i titoli del suo debito sovrano; i titoli venduti verrebbero supportati dall'Eurozona tutta, piuttosto che dal singolo paese. L'idea prevede che i piccoli paesi attualmente vulnerabili sotto la pressione dei mercati, potrebbero vendere i loro titoli con l'appoggio dei grandi pesci come Germania e Francia, riducendo così il rischio percepito ed il prezzo degli interessi che i singoli governi dovrebbero pagare. Secondo alcuni, questo avrebbe permesso l'emersione dei paesi più piccoli per permettere loro di ritornare sui mercati a finanziare il debito, anziché dover contare sul supporto della BCE come accade in questo momento. Ottimista fino in fondo, il ministro delle finanze irlandese Michael Noonan ha previsto alcuni giorni fa che l'Europa avrebbe sicuramente adottato gli Eurobonds nel futuro immediato.

Tornando nel mondo reale, il governo tedesco ha ripetutamente escluso questa soluzione, a bruciapelo. Naturalmente la grande ironia di questa palese posizione da "linea nella sabbia" sugli Eurobonds è che in assenza di qualsiasi iniziativa da parte dei politici, la BCE si vede costretta a comprare i titoli dei paesi problematici con il sostegno della intera Eurozona. In tal modo l'onere viene condiviso in ogni caso. Ma solo dalla porta sul retro invece che dall'ingresso principale, ed in modo da massimizzare l'incertezza sul futuro, cosa che rende i problemi attuali ben peggiori.

Così ancora una volta i politici di ogni colore fanno quello che sanno fare meglio, cioè prendere a calci una lattina per strada nella speranza che qualcosa succederà. Nel frattempo le nubi tornano ad addensarsi sopra la Grecia, mentre gli italiani hanno fatto il loro primo sciopero generale in settimana contro il terzo tentativo di Berlusconi di far passare una manovra finanziaria gradita alla BCE. E allora cosa ci porterà per l'autunno questo infinito incidente d'auto dell'Europa?

Ebbene, noi irlandesi non abbiamo l'appassionata tradizione greca di fare regolarmente tumulti, né quella degli italiani di scioperare. I nostri spazi pubblici sono troppo freddi ed umidi in questa stagione per poter fare delle tendopoli alla spagnola. Ma abbiamo alcune nostre tradizioni di lotta, tra cui la resistenza agli sfratti ed il boicottaggio contro le imposte inique. Anche se questo governo, come il precedente, sembra ben lontano dallo sbarazzarsi del gigante addormentato dei mutui arretrati fatti per strada, invece di affrontare la questione degli sfratti si accinge ad imporre nuove tasse. In teoria, in base ai piani annunciati dal governo in conformità col Memorandum di "Intesa" di BCE/FMI, a gennaio ci dovrebbe essere una nuova imposta su ogni casa e successivamente una tassa sull'acqua, sebbene travestita. Una campagna di massa per il non-pagamento di questa tassa potrebbe contrastare il piano governativo, come è già successo in passato. La campagna per non pagare un debito che non è il nostro, è a portata di mano.

Paul Bowman

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

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