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Globalizzazione: La rovina del nostro secolo

category internazionale | economia | opinione / analisi author Sunday July 24, 2011 17:52author by Alessandro Report this post to the editors

La storia dell'uomo non ha subito cosi tanti cambiamenti ambientali e sociali come negli ultimi sessanta anni. Cambiamenti che ci stanno portando verso conseguenze gravissime da cui sarà molto difficile, o forse impossibile, tornare indietro. Possiamo farci un idea della situazione; immaginiamo il Mondo come una gigantesca bomba ad orologeria, con tanto di timer che scandisce il conto alla rovescia. Come sappiamo da diversi studi la vita del nostro pianeta non è eterna, ma ha una durata ben precisa!
Noi di certo non possiamo arrestare questo processo, che è nella natura delle cose, possiamo però evitare di accelerarlo.


Globalizzazione: La rovina del nostro secolo

Tesina presentata all'esame di: "Sviluppo sostenibile dell'ambiente e del territorio" della facoltà di Ingegneria ambientale dell'Università di Roma la Sapienza.


La storia dell'uomo non ha subito cosi tanti cambiamenti ambientali e sociali come negli ultimi sessanta anni. Cambiamenti che ci stanno portando verso conseguenze gravissime da cui sarà molto difficile, o forse impossibile, tornare indietro. Possiamo farci un idea della situazione; immaginiamo il Mondo come una gigantesca bomba ad orologeria, con tanto di timer che scandisce il conto alla rovescia. Come sappiamo da diversi studi la vita del nostro pianeta non è eterna, ma ha una durata ben precisa!

Noi di certo non possiamo arrestare questo processo, che è nella natura delle cose, possiamo però evitare di accelerarlo.

Per capire bene i rimedi con cui contrastare questi eventi negativi, bisogna innanzitutto analizzare le cause che ci hanno portato a questa situazione drammatica. Il motivo che mi ha spinto a scegliere come soggetto della mia tesina il libro "Per il bene comune" è il mio interesse verso i rapporti causa-effetto che governano la Storia (economia, religione, cultura) dell'umanità.

La nostra situazione non è altro che frutto di scelte politiche ed economiche sbagliate. Il libro espone molto bene le tappe che hanno portato la Triade (Usa, Europa,Giappone) dal concepimento di uno "Stato del benessere" sino alla sua caduta, con la nascita della globalizzazione, inoltre offre interessanti spunti su come giungere ad una società più "sostenibile", una scelta sicuramente più sana per noi e per l'ambiente.

Lo stato del benessere è il progetto di società scelto nella prima metà del secolo scorso, per far fronte alla crisi economica e politica, e per risanare le nazioni colpite dalla seconda guerra Mondiale. Tutte le istituzioni principali ( scuola, poste, sanità ecc.) vengono statalizzate e lo stato assume il ruolo di guida per la popolazione . Per risanare l'economia viene scelto il modello industriale di stampo fordista, famoso perché pone l'operaio in una nuova posizione, quella di consumatore. Infatti con l'inserimento di nuove tecnologie nelle industrie e inserendo una fabbricazione standardizzata si riuscirono ad abbassare i costi di produzione. Così facendo calò vertiginosamente il prezzo del prodotto sul mercato e di conseguenza aumentò la domanda.

Si comprende bene il pensiero fordista proprio da una citazione di Henry Ford che dice: "C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti."

Il modello fordista venne applicato, attraverso il piano Marshall, anche nei paesi europei, agendo però come un arma a doppio taglio. Da una parte riuscì a ristabilire la situazione economica ma dall'altra anniento i sistemi produttivi regionali legati alle zone extraurbane. Si andava creando così una sistema capitalistico che mirava solo al profitto, distaccandosi sempre di più dalle esigenze del cittadino.

La ricerca spasmodica del guadagno portò le industrie a cercare nuove mercati al di fuori dei confini nazionali. L'esasperazione di questo modello capitalistico ci ha portati a quello che secondo me è il fardello del nostro tempo, la globalizzazione.

Con questo termine si indica il fenomeno di crescita progressiva degli scambi a livello mondiale, il cui effetto è una decisa convergenza culturale ed economica tra i paesi del mondo.

Si rafforzano con questo sistema economico le multinazionali, cioè industrie che non operano più entro confini nazionali, ma stabiliscono le proprie strutture, oltre che il proprio mercato, in molte nazioni del globo. Se un tempo erano gli stati a controllare l'economia con regole ferree adesso è la classe politica che si piega alle multinazionali per ottenere potere e voti. Tutti i progetti di welfare ormai sono stati abbandonati, il cittadino viene visto solo come una pedina che ha il ruolo di produrre,produrre e produrre. Se prima si produceva un bene per poi consumarlo ora si consuma per aumentare la produzione.

L'avvento della Tv è stato il punto di svolta per le multinazionali, che da anni ci bombardano la mente con la pubblicità, imponendoci uno stile di vita conforme ai loro interessi.

Così come esprime il cantautore Rap Mistaman, nella canzone TELECOMANDO: "...È LA TELEVISIONE CHE VI PARLA, NEGLI ANNI '50 VI HO INSEGNATO L'ITALIANO, ORA ALMENO CI CAPIAMO..." . La tv da quando è nata ha negli anni cambiato la sua funzione nella società; da strumento educativo, con il principale scopo di diffondere la lingua italiana, a strumento di diffusione del cosiddetto mito dello " sviluppo infinito", molto caro al liberismo.

Il punto forte delle globalizzazione è una velata imposizione di un modello di vita basato sull'acritica accettazione del binomio produci-consuma. Come un vortice, tale modello, uniforma tirando a se più persone possibili, trasformandoci in marionette nella mani del mercato.

In tutto ciò lo Stato, dov'è? Cosa fa? In realtà lo stato c'è ma ha trasformato il suo ruolo negli anni, come già detto, abbandonando le politiche di welfare e assoggettando le sue funzioni al processo di globalizzazione economica. La recente riforma Gelmini è un esempio lampante di questa trasformazione : tagliando fondi destinati alla scuola pubblica che è espressione culturale di uno stato, e che dovrebbe essere la fucina di cittadini coscienti. Ma d'altronde, come dice il famoso etologo Mainardi : "Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico, quindi irrazionali."

La globalizzazione porta con se un nuovo modello di colonialismo da parte dei paesi d'origine delle multinazionali più potenti, maggiormente rappresentati nelle strutture economiche sovra nazionali quali il WTO ( OMC in italiano),WB e FMI .

Attraverso le quali le nazione più potenti riescono a imporre le loro politiche economiche ai paesi più poveri. Usando una sorta di ricatto economico, attraverso la concessione di prestiti e la forzata accettazione di politiche economiche liberiste.

In questa maniera i paesi più poveri non sono solo costretti ad accettare politiche economiche di stampo liberista imposte dai paesi più ricchi, ma entrando in un vortice di completa sudditanza, come un cane che si morde la coda, sono costretti ad indebitarsi indefinitamente e conseguentemente a svendere anche le loro risorse territoriali.

Moniti di disapprovazione nei confronti della globalizzazione sono arrivati anche dalla chiesa cattolica, come possiamo capire dalle dichiarazioni dell'arcivescovo Oscar Rodiguez Maradiaga : "la globalizzazione economica non ha affatto ridotto il solco esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Anzi, lo ha aggravato."

Dove non è possibile realizzare questi processi di assoggettamento con la forza economica, si passa alla politica,così detta del Warfare. Due recenti esempi sono le guerre intraprese in medio oriente ove con la scusa della lotta internazionale al terrorismo e con la scusa dell'esportazione della democrazia, si è arrivati ad un occupazione armata del territorio e il conseguente sfruttamento di esso, sia dal punto di vista economico che da quello politico-strategico.

Una delle conseguenze di questo neocolonialismo è l'accentuazione della divisione del globo in macroaree economiche caratterizzate da funzioni differenti nell'ambito dell'economia mondiale. Con aree del pianeta prevalentemente adibite alla produzione di merci, come ad esempio la Cina, aree destinate al consumo, come l'Europa, ed infine aree destinate alla depredazione delle risorse energetiche, come ad esempio il delta del Niger.

Uno degli aspetti che la globalizzazione ha esasperato è la privatizzazione dei beni collettivi.

Questa è iniziata con l'inizio del capitalismo allorché nel XVII secolo in Inghilterra avveniva uno dei processi fondamentali all'innesco della rivoluzione industriale. Le terre che per diritto consuetudinario erano di uso collettivo delle popolazioni rurali, recintate poco a poco, furono trasformate in proprietà privata con leggi apposite, Enclosure Bills, leggi sulla recinzione, con conseguente ondata di povertà durata qualche secolo.

Nell'attuale periodo di incrudimento liberista, che accompagna la globalizzazione, la tendenza alla "recinzione" si è accentuata. E questa tendenza si è inoltre allargata non solo a terre o risorse naturali, ma anche ad un'amplissima gamma di beni e servizi necessari alla sussistenza degli umani e al loro benessere collettivo.

Nei termini beni comuni e risorse collettive vanno oggi infatti annoverati non solo le risorse naturali esistenti dall'alba dell'umanità, come appunto le terre per i pascoli o le coltivazioni o i mari per la pesca, ma anche tutta una serie di beni creati dalle forme organizzative umane, rivolte al benessere complessivo dell'individuo e dirette al soddisfacimento sia della sfera materiale che di quella "intellettiva".

Ad oggi possiamo distinguere l'insieme dei beni collettivi in tre categorie.

Una prima categoria comprende quei beni collettivi che oltre ad essere quantizzabili materialmente, forniscono gli elementi essenziali alla nostra sopravvivenza fisica: l'acqua, l'elemento essenziale alla vita biologica di ogni specie vivente; le foreste, come fonte energetica e di materia prima di vari prodotti; mari, fiumi e laghi per la pesca e la navigazione. A questa categoria di beni comuni appartengono anche: i saperi locali, i semi selezionati nei secoli dalle popolazioni locali, il patrimonio genetico dell'umanità e di tutte le specie vegetali e animali, la biodiversità.

Anche se questi beni possono essere comprati e venduti essi non sono merci, e l'accesso e il diritto a goderne in base alle proprie necessità è in realtà un diritto indisponibile per ogni individuo. Una seconda categoria di beni comuni comprende i beni comuni globali, non quantizzabili in unità di risorse: l'atmosfera, il clima, la salubrità dell'ambiente, gli oceani, il bagaglio di conoscenza umana e tutti quei beni, come Internet, che sono frutto della creazione collettiva.

Una terza categoria di beni comuni è quella che possiamo definire dei servizi pubblici, variabili storicamente e risultato dello sviluppo economico e della lotta delle classi, che fanno capo ai bisogni essenziali dei cittadini. Si tratta di servizi quali: erogazione dell'acqua, della luce, il sistema dei trasporti, la sanità, l'istruzione, la sicurezza sociale e tutto ciò che va sotto la definizione di welfare.

Fino ad ora però abbiamo trascurato un aspetto fondamentale del tema globalizzazione, la questione Ambientale.

Il ritmo ed il tenore di vita impostoci da questo modello economico non ha arrecato solo danni di tipo socio-economico, ma sta mettendo in pericolo gli equilibri creati dalla Natura in miliardi di anni.

Anche il semplice gesto di gettare la spazzatura nel secchione, non và poi preso alla leggera. Una grande produzione di beni comporta anche una grande produzione di rifiuti, e quello che più mi spaventa è che aumenta sempre di più nel corso degli anni la produzione di rifiuti per famiglia. Questo è dovuto a diversi fattori, tra cui, la diminuzione dei tempi di utilizzo di un oggetto (esempio un cellulare non viene più considerato valido dopo gia poco tempo), la sovrapproduzione di merci deperibili (quali quelli alimentari o farmaceutici), un 'eccessiva produzione di imballaggi che accompagnano il trasporto delle merci, l'enorme diffusione di utilizzo di articoli monouso.

Da tempo gli spazi idonei destinati alla raccolta e al stoccaggio dei rifiuti stanno progressivamente diminuendo, questo comporta l 'uso di aree non adatte per vari motivi al deposito degli stessi rifiuti, inquinando aree sempre più estese.

Tipico è l'inquinamento idrogeologico, quando un deposito di rifiuti viene stabilito su un terreno permeabile, all'interno della quale è presente una falda acquifera. oppure l'inquinamento dell'aria dovuto alla liberazione di gas nocivi dalla fermentazione dei rifiuti e dalla combustione degli stessi.

Sicuramente qualsiasi attività umana provoca un impatto ambientale, e non è tecnicamente e scientificamente possibile eliminare i rifiuti urbani ed industriali. Però possiamo ridurli sostanzialmente, prima di tutto con una minore produzione non solo degli imballaggi ma anche delle merci stesse. Secondo attraverso una diffusione delle pratiche di riutilizzo e riciclo, cose che non è possibile realizzare efficacemente all'interno di un sistema socio-economico basato sul consumo acritico.

Grandi produzioni e consumi di merci comportano un sostanzioso spreco di energie nel campo dei trasporti, specialmente in un sistema caratterizzato da quelle macro aree di cui parlavamo prima.

In un sistema oltretutto dove la principale fonte energetica utilizzata nel campo dei trasporti deriva dalla combustione di carburanti fossili, molto nocivi per l'ambiente.

Spesso mi chiedo : perché consumare lo stesso tipo di prodotto a cui potrei accedere nel mio territorio, facendolo invece arrivare da centinaia sennò migliaia km di distanza? Un esempio lampante è quello delle acque minerali (settore in cui oltretutto vengono prodotti milioni di tonnellate di plastica).

Per esempio a Roma abbiamo accesso a più di una sorgente di acqua minerale, ma la maggior parte della popolazione capitolina acquista marche più pubblicizzate e provenienti da grandissima distanza. Questo dimostra la nostra rilevanza come consumatori in questo meccanismo del libero mercato, dove comunque,almeno teoricamente, avremmo facoltà di scelta.

E' vero che da una parte i nostri comportamenti sono condizionati dalla pubblicità che agisce come un martello pneumatico sulle nostre menti, ma è anche vero che con le nostre scelte abbiamo lo potenzialità di condizionare il sistema produttivo, a partite da una riorganizzazione dello stesso in funzione del benessere collettivo e non in funzione della quantità di merce prodotta.

Non ci scordiamo che oltre ad inquinare le fonti energetiche fossili che maggiormente utilizziamo non sono infinite, e che la loro finitezza non potrà essere risolta da alcuna cieca fiducia in ipotetiche potenziali risorse del libero mercato. Questa è infatti una delle contraddizioni che si porta dietro uno degli assiomi principali della globalizzazione : Il mito dello sviluppo senza limiti.

Se un modello di società è possibile questo non potrà che reggersi energicamente sulle fonti rinnovabili e sostenibili.

La più importante di queste è l'energia solare, sicuramente rinnovabile e sostenibile se adoperata in zone idonee allo scopo, e non interagente con aree utilizzabili per altri scopi, come ad esempio la produzione primaria. Esempi di zone piccole o grandi da sfruttare per tale scopo sono molte, sta a noi iniziare questo processo di rivoluzione energetica sia a livello individuale che collettivo. La chiave di volta è la riscoperta dell'agire collettivo, partendo da concezioni di gestione delle risorse territoriali che coinvolga le persone con un assunzione di responsabilità diretta sulle scelte strategiche.

Si passerebbe cosi da un'oligarchia velata da una democrazia rappresentativa, caratterizzata dalla delega decisionale, dove si vota il politico professionale di turno, ad un sistema decisionale diretto, dove al posto del politico professionale di turno si vota le scelte da fare nei vari contesti sociali, in tema di gestione delle nostre risorse territoriali collettive.

Questo cambiamento deve arrivare però da noi, è la gente quella che io definisco "vera" che deve prendere coscienza della propria situazione sociale e delle proprie capacità.

Certamente è un sistema di gestione societario a cui non siamo abituati, anzi ci viene spesso posto come negativo, per cui risulta sicuramente una strada molto difficile e lunga da percorrere.

Personalmente ho fiducia che un giorno l'uomo riesca a liberarsi dalla morsa delle lobby e delle multinazionali, anche se studiando la storia umana ci si accorge che il potere decisionale fino ad oggi è stato nelle mani del "potente" di turno.

Alessandro
Studente della facoltà di Ingegneria ambientale
Università la Sapienza di Roma

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