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Può la morte di Osama significare davvero la fine dell'occupazione dell'Afghanistan?

category asia centrale | imperialismo / guerra | opinione / analisi author Monday June 13, 2011 17:05author by John E. Jacobsen - 1 of Anarkismo Editorial Group Report this post to the editors

Le notizie di questo mese sulla morte di Osama bin Laden hanno scatenato festeggiamenti diffusi: migliaia di americani, affascinati dall'idea dell'uccisione del criminale più ricercato dagli USA, hanno festeggiato l'avvenimento riunendosi in luoghi pubblici e sventolando la bandiera americana. [English]
Militari USA in posa davanti al centro di detenzione di Bagram
Militari USA in posa davanti al centro di detenzione di Bagram


Può la morte di Osama significare davvero la fine dell'occupazione dell'Afghanistan?


"Tarda notte di domenica. Due elicotteri statunitensi del Comando Congiunto delle Operazioni Speciali (JSOC), partiti dall'Afghanistan, volano basso trasportando le forze speciali del Team Six SEAL... Il raid ha inizio nel più piccolo dei due edifici all'interno del complesso di Bin Laden, dove si pensa vivessero i suoi corrieri. Il raid si è poi spostato verso il grande edificio di tre piani.

"Due corrieri sono stati uccisi, così come il figlio di Osama bin Laden, Khalid, e una donna. Due donne sono state ferite. I bambini presenti nel complesso sono tutti illesi. Gli ufficiali USA hanno detto che a Bin Laden era stato offerto di arrendersi ma lui ha rifiutato. Così è stato sparato in testa, e poi una seconda volta per essere sicuri della sua morte." [ABC News]


Le notizie di questo mese [maggio 2011, ndr] sulla morte di Osama bin Laden hanno scatenato festeggiamenti diffusi: migliaia di americani, affascinati dall'idea dell'uccisione del criminale più ricercato dagli USA, hanno festeggiato l'avvenimento riunendosi in luoghi pubblici e sventolando la bandiera americana.

Come di consueto in occasione di eventi molto popolari, sia i Democratici che i Repubblicani hanno fatto di tutto per rivendicare la responsabilità dell'uccisione. Ma la morte di Bin Laden, per quanto popolare, sta avendo anche delle conseguenze indesiderate: sta rifocalizzando l'attenzione del popolo americano sulla più lunga guerra mai combattuta dal nostro paese. Ora che Bin Laden è morto, nei media ronza ossessivamente una domanda: può questo evento significare la fine della guerra in Afghanistan?

Un decennio di occupazione

Nel 2001 il governo USA ha invaso l'Afghanistan, presumibilmente per cacciarne Al Qaeda in seguito all'attacco dell'11 settembre contro le torri gemelle.

Sin dall'invasione il governo USA è stato oggetto di polemiche. I critici hanno attaccato duramente entrambe le amministrazioni Bush e Obama per gli altissimi costi della guerra, per l'esorbitante impatto sulla popolazione civile afghana e per la grande quantità di abusi dei diritti umani. Specialmente nel centro di detenzione di Bagram, dove molti prigionieri afghani sono stati giudicati innocenti dopo aver subito strazianti pressioni fisiche e psicologiche, e dove si è scoperto che almeno due detenuti sono stati incatenati ad un muro e picchiati a morte dalle guardie.

Il governo statunitense, quando si prende il disturbo di rispondere alle critiche internazionali, sostiene che i civili afghani hanno pagato un prezzo alto, ma che saranno ricompensati. Infatti, secondo il governo, l'ordine sarà portato dalla repubblica islamica dell'Afghanistan, ovvero il governo centrale appoggiato dagli USA che ha preso il posto dei talebani dopo l'invasione.

Inoltre, afferma Obama, "[La] guerra è iniziata solo perché le nostre città e i nostri civili sono stati attaccati da violenti estremisti che hanno progettato attacchi da quel luogo lontano, e continua solo perché quel progetto persiste ancora oggi".

Realtà e finzione

La motivazione data per l'invasione dell'Afghanistan - secondo la quale sarebbe il paese in cui "violenti estremisti hanno progettato [gli] attacchi" contro civili americani - è perlomeno discutibile.

Tanto per cominciare, l'Afghanistan non era affatto il centro né della pianificazione dell'11 settembre, né il quartier generale permanente di al-Qaeda.

Delle migliaia di militanti che si stima facessero parte di al-Qaeda nel 2001 - non ci sono modi certi per calcolarne il numero - forse solo 1500 erano effettivamente di base in Afghanistan all'epoca. Mentre nel 2009, secondo la stima di un ufficiale dei servizi segreti USA, la cifra era probabilmente più vicina alle 100 unità.

Il direttore dell'FBI Robert Mueller ha ammesso che anche se "l'idea" degli attacchi dell'11 settembre potrebbe provenire dai capi che si trovavano in Afghanistan, "gli investigatori credono [...] che l'attacco sia stato in realtà pianificato in Germania".

Al-Qaeda è sempre stata un'organizzazione piuttosto decentralizzata (sia logisticamente che geograficamente), tanto che molti funzionari governativi e analisti militari contestano duramente l'idea che debba essere considerata un'unica organizzazione.

Dalla sua nascita, infatti, il gruppo ritenuto alla guida di al-Qaeda si è spostato dallo Yemen alla Somalia, poi in Afghanistan e infine in Pakistan. E i militanti ad essi associati hanno operato in oltre 40 paesi, secondo il Dipartimento di Stato USA. Insomma, la minaccia più seria per le nostre nazioni si dimostra piuttosto difficile da identificare, se la si guarda un po' più da vicino.

Perché l'Afghanistan?

Se, come ammettono gli alti funzionari governativi e i capi militari USA, l'Afghanistan era solo uno dei tanti paesi da cui al-Qaeda aveva pianificato le sue operazioni, allora perché era così importante invadere proprio quel paese? Del resto, delle tante operazioni antiterroristiche americane in tutto il mondo - specialmente nelle Filippine, dove operano organizzazioni terroristiche simili come il gruppo Abu Sayyaf e Jemaah Islamiya - nessuna ha raggiunto le enormi proporzioni di quella afghana.

L'argomento che l'invasione dell'Afghanistan - invece che delle Filippine - fosse necessaria a causa del rifiuto del governo talebano di collaborare, sembra ancora una volta discutibile. L'amministrazione Bush era chiaramente determinata ad invadere il paese a prescindere dalla voglia di cooperare dei talebani. Gli USA rifiutarono infatti diverse offerte da parte talebana, tra cui la promessa di consegnare Osama bin Laden - ritenuto agli arresti domiciliari - in cambio della non invasione.

È innegabile che parte della motivazione del governo statunitense in favore dell'invasione dell'Afghanistan avesse come obiettivo la distruzione della rete di estremisti islamici che chiamiamo al-Qaeda. Ma il suo rifiuto di qualsiasi accordo con i talebani fa pensare che anche il loro rovesciamento fosse tra gli obiettivi principali.

È molto più probabile che il governo americano abbia usato gli attacchi dell'11 settembre come una scusa per impiegare la propria potenza militare in una regione notoriamente instabile ed anti-americana, in modo da: 1) instaurare un governo filo-occidentale e 2) sfruttare la stabilità del nuovo governo per assicurare vantaggiose opportunità d'investimento alle compagnie americane del settore energetico.

Stress da competizione

Per poter competere al meglio con la Russia - il paese che ha controllato per anni l'export energetico dall'Asia centrale - il governo USA ha preso in considerazione varie soluzioni per trasportare il gas fuori dalla regione. In particolare con il progetto del gasdotto Transcaspiano, subito bloccato da Russia e Iran per presunti motivi ambientali.

Vista l'influenza russa e iraniana nella regione, molti stati occidentali hanno incontrato grandi difficoltà nel trovare vie alternative per esportare il gas. Tuttavia, il problema avrebbe potuto essere risolto dall'Unocal (una compagnia americana, oggi parte della Chevron) che alla fine degli anni Novanta presentò un progetto per la costruzione di un gasdotto attraverso l'Afghanistan, con la cooperazione dei talebani (i quali, come riportato dalla BBC, nel 1997 furono ospitati in California per parlare degli accordi).

Ma l'offerta per il gasdotto afghano vide da subito la nascita di un'accesa competizione.

La Bridas , una società argentina indipendente che opera nel settore degli idrocarburi, aveva proposto ai talebani un'offerta molto più vantaggiosa per aggiudicarsi i lavori del gasdotto. "Oltre a proporre un prezzo più elevato", nota l'autore Larry Chin, "la Bridas offriva l'accesso al gasdotti anche ai signori della guerra e agli utenti locali, a differenza del piano dell'Unocal che era per la sola esportazione. Inoltre il progetto della Bridas non richiedeva alcun finanziamento esterno, mentre quello dell'Unocal prevedeva un prestito dalle istituzioni finanziarie occidentali ( la Banca Mondiale ), e questo avrebbe reso l'Afghanistan vulnerabile alle pretese dei governi occidentali".

Messa fuori gioco, l'Unocal si ritirò dalla competizione definendo i talebani - ospitati negli USA solo pochi mesi prima per un lussuoso viaggio d'affari - dei governanti illegittimi. "[Il] progetto del gasdotto", dichiarò un portavoce dell'Unocal, "non andrà avanti finché in Afghanistan non ci sarà un governo internazionalmente riconosciuto".

Un nuovo governo legittimo

Il governo USA, sotto la guida dell'amministrazione Bush, ne aveva avuto abbastanza: se i talebani non erano disposti ad accettare "la nostra offerta su un tappeto di oro, [sarebbero stati] seppelliti sotto un tappeto di bombe", come dichiarò la rappresentante per gli affari centro-asiatici Christina Rocca all'ambasciatore presso i talebani.

Quindi era giunto il momento di mettere i talebani sotto pressione, se non di rovesciarli. Con questo obiettivo l'amministrazione Bush iniziò a "spingere per una risoluzione unilaterale dell'ONU che rafforzasse le sanzioni contro aiuti militari stranieri ai talebani ma che non punisse i signori della guerra che ad essi si opponevano", come afferma il presidente dell'istituto per il Caucaso centro-asiatico, S. Frederick Starr.

Il governo americano cominciò anche ad esplorare la possibilità di un'operazione militare mirata per prendere Osama bin Laden. Ma prima che potesse prendere una decisione, le torri gemelle furono distrutte. Così il governo USA, che aspettava da due mandati presidenziali un'occasione per un cambiamento radicale in Afghanistan, aveva trovato la scusa per entrare nel paese.

Nonostante l'assenza di un'autorizzazione ONU ad invadere il paese, il governo americano ed alcuni suoi alleati hanno invaso l'Afghanistan, rovesciato i talebani e aiutato a creare un governo che potesse essere riconosciuto dall'Unocal.

Può la morte di Osama significare davvero la fine dell'occupazione dell'Afghanistan?

Ci si aspetta che questa estate il presidente Obama dichiari l'inizio del ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Tra l'altro, la morte di Osama bin Laden gli ha fornito un'eccellente spinta nel caso in cui dovesse scegliere una ritirata totale perché, dopotutto, nessun presidente vuol dare l'impressione di aver perso una guerra, specialmente ad un anno dalla possibile rielezione.

Ma lo sviluppo e la stabilità delle infrastrutture afghane (essenziali per gli affari delle società americane) restano incerti, e questo fa capire che c'è ancora molto da fare prima che gli americani possano parlare di "vittoria" in Afghanistan.

Il progetto multimiliardario per il gasdotto afghano - uno dei principali interessi americani - è al sicuro finché il presidente Hamid Karzai e il suo governo restano al potere. Tuttavia la sua realizzazione resta ancora una scommessa visto che il capo degli stati maggiori riuniti, Mike Mullen, si aspetta un aumento della violenza in Afghanistan rispetto all'anno scorso.

Per concludere, la morte di Osama bin Laden è solo un promemoria di quali siano le reali priorità statunitensi in Afghanistan (saccheggiare e conquistare) e che quindi non ci sia nessuna ragione per aspettarsi un ritiro dal Medio Oriente.


Traduzione a cura di Luca Lapolla per FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

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