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Sulla risposta del COSATU alla crisi: per un'impostazione ed un'alternativa anarco-sindacalista

category africa meridionale | economia | opinione / analisi author Friday March 11, 2011 22:10author by Lucien van der Walt Report this post to the editors

I sindacati sud-africani, confederati nel COSATU (Congress of South African Trade Unions), forte di 2 milioni di iscritti, hanno messo a punto una visione politica coerente che rompe con il neoliberismo. Il fatto è notevole - ma è sufficiente? Quanto vitale e desiderabile è questa visione proprio mentre l'era neoliberista barcolla? E c'è un'alternativa? [English]
Sciopero del pubblico impiego nel 2010
Sciopero del pubblico impiego nel 2010


Sulla risposta del COSATU alla crisi: per un'impostazione ed un'alternativa anarco-sindacalista


I sindacati sud-africani, confederati nel COSATU (Congress of South African Trade Unions), forte di 2 milioni di iscritti, hanno messo a punto una visione politica coerente che rompe con il neoliberismo. Il fatto è notevole - ma è sufficiente? Quanto vitale e desiderabile è questa visione proprio mentre l'era neoliberista barcolla? E c'è un'alternativa?

Questa domanda viene posta in modo particolarmente acuto proprio dalle martellate della recessione globale in atto dal 2007. Nonostante la alquanto discutibile pretesa che il Sud Africa non ne sia colpito (vedi Trevor Manuel), il paese ne è tutt'altro che immune.

Il 2009 ha visto la crescita economica mondiale calare di oltre l'1%, del 2% è stato il calo dei commerci, con 50 milioni di posti di lavoro perduti a livello mondiale (di cui 2 milioni in Sud Africa) e 200 milioni di persone precipitate nella miseria nera. In Sud Africa, il settore manifatturiero ha perso il 22,1% nei tre mesi del 2009, il settore minerario il 32,8% e quello agricolo il 2,9%. Nel 2008 c'era stata una crescita del 75% dei fallimenti. Da gennaio a settembre 2009, sono andati in fumo 770.000 posti di lavoro [1]. Questo quadro è del tutto all'opposto di quanto promesso da Zuma e dall'ANC e cioè che avrebbero creato rapidamente mezzo milione di posti di lavoro.

Il contesto

A differenza di altri movimenti sindacali nel mondo, quello sudafricano è entrato negli anni '90 con una chiara visione di cambiamento sociale. Una visione che aveva poco del socialismo - era piuttosto centrata sulla nozione del compromesso di classe "vinci tu-vinco io" tra lavoratori e padroni - ma che respingeva ogni cieca fiducia nella forza dei mercati. Tuttavia, come vedremo, questo modello concede molto al neoliberismo -ed anche quando non lo fa restano delle crepe - e piuttosto che creare le basi costitutive di un socialismo democratico, come sperano gli iscritti, è probabile che farà deragliare il movimento dei lavoratori.

Questo modello è stato proposto nel documento "Reconstruction and Development Programme" (RDP), nuovamente espresso da "Social Equity and Job Creation", documento del 1996 del Labour Caucus del National Economic Development and Labor Council (NEDLAC)[2], nel "Sector Job Summits" dei primi anni 2000 ed ancor più recentemente negli interventi del COSATU nei vertici presidenziali sulla crisi. Se da un lato il COSATU si fa carico di queste politiche, dall'altro le altre maggiori confederazioni sindacali - specialmente NACTU [3] e FEDUSA [4] - tendono ad accodarsi.

L'approccio sindacale proposto viene definito come "sindacalismo strategico". A tal fine i sindacati usano un combinato di azione di massa e di partecipazione ai tavoli politici (soprattutto il trilaterale NEDLAC). In altri paesi, come l'Australia, questa idea viene spesso definita come "alternativa progressista competitiva". Il COSATU vede il tavolo del NEDLAC e di altre strutture corporative, compreso l'ANC, come "spazi" dove imporre la sua visione.

La visione del COSATU

Al cuore di questa visione ci sono parecchie idee chiave, alcune delle quali del tutto contraddittorie.
  • In primo luogo, questa visione prevede un aumento del controllo dei lavoratori sull'economia, tramite 3 passaggi: un maggiore coinvolgimento sul luoghi di lavoro dei lavoratori nelle decisioni sulla produzione, la presenza dei sindacati nei consigli di amministrazione delle compagnie, la partecipazione dei sindacati ai tavoli come il NEDLAC. Collegato a ciò, si prevede che il rafforzamento dei lavoratori porterà ad un maggiore incremento delle professionalità.

  • In secondo luogo, si prevede che questa "democratizzazione" assicurerà che le decisioni di gestione e quelle finanziarie siano buone: essenzialmente, l'idea di fondo è che "l'economia è troppo importante per lasciarla nelle mani dei managers".

  • In terzo luogo (e mettendo da parte il forte richiamo del COSATU al marxismo), si tratta di una visione fondamentalmente social-democratica: il capitalismo dovrebbe essere riformato a beneficio di tutti "gli stakeholders" (gli interessati); il problema in Sud Africa non sarebbe dunque il capitalismo in quanto tale, ma una sua inefficienza caratterizzata da bassi livelli di investimento, monopoli e collusioni sui prezzi insieme ad una pessima politica del governo.

  • Di conseguenza, in quarto luogo, questa visione si muove verso la proposizione di misure keynesiane (espandere la domanda dei lavoratori tramite salario indiretto e lavori pubblici allo scopo di far crescere i profitti e quindi anche le compagnie) e di un nazionalismo economico (protezionismo dei settori deboli verso l'economia globale).

  • Infine, questa visione abbraccia la nozione di un Sud Africa industriale e globalmente competitivo, che possa reggere la concorrenza sui mercati aperti. (L'enfasi su una crescita guidata dalle esportazioni quale scopo ultimo - insieme all'ossessione per i mali dei monopoli e dei cartelli sui prezzi - indica una evidente fiducia neoliberista che stride con gli appelli alla partecipazione nelle decisioni, col keynesismo e con il protezionismo).

Strada panoramica, strada dritta

L'approccio complessivo, dunque, risulta, un po' confuso. Il COSATU, che nel suo ultimo congresso del 2009 aveva riaffermato il suo impegno nella "costruzione del marxismo" (e persino di voler imparare dall' "anarchismo")[5], fa sua, ciononostante, una visione di compromesso di classe mediata dallo Stato per incrementare i profitti e contemporaneamente sviluppare il welfare. La situazione del capitalismo sudafricano, in altre parole, viene ricondotta a problemi che possono essere risolti da scelte politiche - più competizione, migliore supporto statale, maggiore impulso sindacale - piuttosto che a problemi inerenti ad un'economia capitalista semi-industriale in declino, non competitiva ed esposta alla crisi.

In problema, in breve, sarebbe quello di un "cattivo" capitalismo e la soluzione sarebbe un approccio social-democratico: riformare il capitalismo per farlo funzionare meglio per tutti. L'idea di base è quella che per competere nell'economia globale ci sia bisogno di una "strada panoramica" fatto di alti salari, lavoro sicuro, ruolo fondante del sindacato, alte professionalità, democrazia, sviluppo della competitività basato sul compromesso di classe "vinci tu-vinco io" (più profitti, più salario). Questa visione contrasta, implicitamente, con quella "strada dritta" alla cinese, fatto di autoritaria attività anti-sindacale, di salari da fame, di sfruttamento pesante.

Strada sbagliata

Il capitalismo e lo Stato sono, con tutta evidenza, direttamente responsabili delle miserevoli condizioni dei lavoratori neri (ed anche di alcuni settori di lavoratori bianchi) - come viene detto persino nelle analisi del "Social Equity and Job Creation". Tuttavia, la visione di "strada panoramica" viene comunque avanzata sulla base della convinzione che il sistema sudafricano malato e sull'orlo della crisi possa improvvisamente funzionare in modo favorevole ai lavoratori e diventare competitivo a livello globale.

Politiche contraddittorie

I metodi previsti per raggiungere questo obiettivo poggiano su un mix di teorie economiche contraddittorie e su scopi contraddittori:
  • In primo luogo, si crede che migliori condizioni per i lavoratori siano collegati strettamente all'aumento della produttività grazie al miglioramento delle professionalità, alla ridefinizione del processo lavorativo e alla partecipazione operaia tramite il concetto di stakeholding. Tuttavia, il mercato interno in Sud Africa rimane statico, data la grande povertà di massa, ed il paese non ha nessuna prospettiva di un aumento massiccio delle esportazioni, soprattutto nell'attuale contesto di crisi economica globale. In una tale situazione, lo scopo insito nella visione del COSATU di far crescere la produttività vorrà semplicemente dire che ancor meno lavoratori potranno mantenere il lavoro esistente - con una sicura perdita di posti di lavoro e di iscritti al sindacato.

  • In secondo luogo, le politiche keynesiane di espansione della domanda delle classi lavoratrici non funzionano: perché sono adatte per le economie avanzate (non è il caso nostro), con un alto livello di regolamentazione e di contribuzione fiscale (entrambi carenti in Sud Africa) e per un'economia chiusa. Quest'ultima è necessaria in un modello keynesiano, perché solo se le entrate trasferite ai lavoratori sotto forma di salario indiretto e di lavori pubblici vengono spese primariamente in prodotti locali si ha una crescita dell'economia nazionale, e perciò si creano più posti di lavoro e più contribuzione fiscale. Altrimenti le entrate si spostano all'estero. Tuttavia la visione del COSATU prevede anche una crescita trainata dalle esportazioni che non richiede una gestione della domanda di tipo keynesiano e che invece prevede un'economia sempre più aperta.

Corporativismo e co-determinazione?

L'enfasi sulla partecipazione operaia alla gestione del capitalismo, allo scopo di "co-determinare" la sua evoluzione, non tiene conto affatto dei pericoli insiti nella cooptazione all'interno della gestione capitalistica, nella condivisione delle responsabilità nella governance capitalistica.
  • In primo luogo, una seria politica di coinvolgimento a tavoli come il NEDLAC genera necessariamente all'interno dei sindacati un ceto di tecnocrati ad alta formazione (per sviluppare le politiche) ed un ceto di dirigenti sindacali a tempo pieno (per presenziare ai tavoli). La burocrazia non è inevitabile nei sindacati: è una conseguenza di certe strategie sindacali, e non esiste strategia che produce così tanta burocrazia sindacale come quella del corporativismo.

  • In secondo luogo, a questo si associa un cambiamento nello stile del lavoro sindacale. L'accento si sposta dalla lotta militante (di base) agli incontri tecnici condotti dai tecnocrati e dai dirigenti sindacali... ovviamente insieme ai loro equivalenti di rappresentanza padronale e statale. Questo pericolo viene in genere sottovalutato nella visione del "sindacalismo strategico", che prevede un "equilibrio" tra "azione" politica, "coinvolgimento" ed "azione di massa" - e non coglie la profonda contraddizione tra i primi due termini ed il terzo. Come scrive Rudolph Rocker in "Anarchism and Anarcho-Syndicalism: "Il centralismo, quello schema artificiale che opera dall'alto verso il basso e consegna la gestione amministrativa nelle mani di una piccola minoranza, è il luogo dell'immutabile ufficialità della dirigenza; fa scempio delle convinzioni individuali, uccide ogni iniziativa personale tramite una fredda disciplina ed una burocrazia ossificata", una "maledizione" per la classe lavoratrice. [6]

  • In terzo luogo, la necessaria risultante di questa visione sindacale è quella di divenire corresponsabili nella gestione del sistema. Molto più concretamente significa gestire la produttività: in cambio di una crescita della produzione e con la speranza di miglioramenti salariali e nella sicurezza, il sindacato si impegna a non indire scioperi. Il problema è che il sistema è per forza di cose strutturato per essere contro la classe lavoratrice. Quando scoppiano gli scioperi, il sindacato da un lato non può garantire il compromesso di classe (e quindi la sua visione viene meno), oppure si schiera contro i lavoratori (e però si divide). Più generalmente, nel far propria la logica del sistema - nazionalismo/"Compra sudafricano", competizione/il più debole deve chiudere, salario/sfruttamento, distribuzione tramite i consumi/esclusione - il sindacato deve abbracciare quello stesso sistema che voleva combattere e che aveva promesso di voler abolire.

Una strada nordica?

La "prova" della sostenibilità del "sindacalismo strategico" viene in genere presa dai cosiddetti esempi dei sistemi socialdemocratici scandinavi degli anni 1930-1970. La Svezia ed i suoi vicini hanno senza dubbio sviluppato, tramite il keynesiano welfare state (KWS) i regimi capitalisti più socialmente giusti ed egalitari ad oggi. Se l'URSS era l'esempio dell'economia marxista pianificata e centralizzata, la Svezia è stata l'esempio del meglio e del peggio di un sistema socialdemocratico. Per i sostenitori del "sindacalismo strategico", le conquiste del KWS nordico - la quasi zero disoccupazione, un welfare estremamente generoso con istruzione gratis, ecc. - sono fondamentalmente il risultato di buone politiche più il corporativismo più i sindacati che sostenevano i partiti politici giusti.

Il problema è che le condizioni che portarono in breve al modello nordico non esistono più in nessun posto della Terra e certamente non in Sud Africa.

Il KWS, in generale, si è affermato in una congiuntura storica unica:

  • In primo luogo, alti livelli di lotta di classe, con la reale possibilità di un innesco rivoluzionario in tutta Europa, costrinsero le classi dominanti ad introdurre un welfare su larga scala e ad includere i sindacati nel corporativismo allo scopo di controllarli. La Guerra Fredda, durante la quale una parte rilevante del mondo del lavoro sosteneva l'URSS, diede ulteriore spinta a questa situazione.

  • In secondo luogo, dalla fine degli anni '40 agli inizi degli anni '70, il capitalismo ha visto il più grande sviluppo della sua storia, ha visto le maggiori economie raddoppiare e persino triplicare la loro forza, generando posti di lavoro sufficienti a limitare i costi del welfare (per esempio nessuna disoccupazione di massa), e al tempo stesso generare un sistema fiscale finalizzato al mantenimento del KWS (crescita della pressione fiscale insieme ad una rapida crescita della produzione e dei profitti).

  • In terzo luogo, la produttività dei lavoratori crebbe in modo così drammatico da poter ottenere un tasso di sfruttamento sempre più alto al contempo di forti aumenti dei salariali reali. Per la classe dominante fu possibile fare concessioni sul versante dei redditi della classe lavoratrice, ma senza cedere nulla sul versante del controllo. Poiché le politiche keynesiane erano parte integrante del boom, l'alta pressione fiscale ed un pesante intervento statale erano ben accetti da parte di tutte le classi sociali.

  • In quarto luogo, non si deve dimenticare che i paesi nordici all'interno dell'Europa del Nord erano vicini ad uno dei centri più altamente industrializzati dell'economia mondiale.
Neanche una di queste condizioni sussiste in Sud Africa, per cui l'esempio nordico non ha alcuna rilevanza. Ma quelle stesse condizioni non sussistono più nella stessa Europa del Nord, perché siamo in un'epoca di neoliberismo e non di nazional-capitalismo.[7]

Dal basso!

Per concludere, una politica sindacale più saggia ed un sindacalismo più sinceramente "strategico" dovrebbero respingere le visioni socialdemocratiche e corporative, a favore di una strategia di contro-potere fondata su:
  • Azione diretta ed astensione militante invece della co-gestione del capitalismo. In generale, l'azione militante di classe avrà più successo se si costruisce coscienza ed organizzazione per vincere e difendere le conquiste piuttosto che un "impegno" dall'alto o per via legislativa. Nell'inseguire i tavoli del NEDLAC o con l'ANC il sindacato si aggroviglia nel meccanismo di un sistema che la classe lavoratrice non controlla, e mina la sua stessa forza come sindacato proprio lì dove essa ne trae la fonte, nei punti di produzione.

  • Democrazia diretta e "politiche dal basso": il che non significa ignorare quelle politiche che portano cambiamenti seri per la classe lavoratrice, come le leggi sul welfare. Il punto non è se bisogna occuparsi di queste cose, ma il come. Al posto di un intervento dall'alto di tecnici (per cui la massa degli iscritti al sindacato viene mobilitata per sostenere le politiche dei loro dirigenti al tavolo del NEDLAC), gli anarchici possono invece proporre un modello di "politiche dal basso". Si possono lanciare campagne intorno alle politiche di cambiamento: campagne che formano e che servano a costruire militanza sindacale e strutture democratiche, campagne per mobilitare la base del sindacato, campagne per dare voce alle rivendicazioni dei semplici lavoratori, campagne che diano forza dal basso a queste rivendicazioni, a questa visione politica.[8]

  • Occupazioni, e rifiuto ad essere espulsi dal lavoro: oggi una delle tattiche più importanti usate dalla classe lavoratrice è l'occupazione. Questo modello si è visto in modo spettacolare in lotte recenti: le azioni eroiche in Argentina, dove per parecchi anni quasi 200 fabbriche sono state occupate e gestite dai lavoratori; occupazioni di massa nel 2009 alla Daewoo in Corea del Sud, finite solo quando sono stati garantiti tutti i posti di lavoro minacciati; azioni simili sono state fatte in Francia, in USA ed altrove. [9]

Prendere, tenere

Queste forme non sono la soluzione - trattandosi di azioni di tenuta e di tirocinio in vista dell'obiettivo chiave di prendere e tenere le fabbriche - ma sono assolutamente vitali.

Infatti lo scopo ultimo dei lavoratori deve essere quello di autogestire i luoghi di lavoro, di abolire il sistema salariale e di creare una nuova società basata sulla distribuzione in base ai bisogni, mettendo fine alla competizione. Invece dei "tentativi socialdemocratici di portare le masse alla partecipazione del loro proprio sfruttamento", Pyotr Kropotkin aveva detto che il fine doveva essere che "l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi." [10]

E quale forza può meglio creare questa società se non i sindacati rivoluzionari? Come disse Mikhail Bakunin, fondatore dell'anarchismo, a proposito dei sindacati, "la vera, finale e completa liberazione dei lavoratori è possibile ad una sola condizione: quella dell'appropriazione del capitale, cioè, delle materie prime e di tutti i mezzi di produzione, compresa la terra, da parte dei lavoratori organizzati" e tutti i sindacati dovrebbero rendersi conto che "essi pure portano in sé i germi vivi del nuovo ordine sociale che deve sostituirsi al mondo della borghesia. Essi stanno creando non solo le idee ma anche i fatti di questo stesso futuro".[11]

Ma perché una visione diventi realtà, è necessario ripensare il nostro ruolo nel sindacato, e lasciare il "sindacalismo strategico" al suo destino. All'ordine del giorno non c'è nessuna socialdemocrazia; è bene che guardiamo in faccia la realtà.

Lucien van der Walt

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

Note:

1. Fonti delle cifre: Haroon Bhorat, 2009, "Consequences of the Global Economic Crisis: early reflections for South Africa", Bargaining Indicators, volume 13 (Labour Research Service: Cape Town); South African Reserve Bank, "June 2009, Quarterly Bulletin", volume 252; "Job Losses to Exceed a Million", 29 October 2009, Fin24.com, http://www.fin24.com/Economy/Job-losses-to-exceed-a-million-20091029; Statistics SA, Quarterly Labour Force Survey for fourth quarter 2009,http://www.statssa.gov.za/PublicationsHTML/P02114thQuarter2009/html/P02114thQuarter2009.html; Stats SA, press release on Quarterly Labour Force survey for first quarter 2010, http://www.statssa.gov.za/keyindicators/QLFS/Press/Q1_2010_Press_Statement.pdf.
2. "Consiglio nazionale per lo sviluppo nazionale e del lavoro", organo di concertazione raggruppando governo, industria, sindacati e parti sociali.
3. National Council of Trade Unions (Consiglio nazionale dei sindacati), affiliata CSI con circa 400.000 iscritti.
4. Federation of Unions of South Africa (Federazione dei sindacati del Sud Africa), affiliata CSI con circa 500.000 iscritti.
5. http://black-flame-anarchism.blogspot.com/2010/04/black-flame-and-cosatu.html
6. http://www.anarchosyndicalism.net/archive/display/209/index.php
7. Lucien van der Walt, 1997, "Against Corporatism: the limits and pitfalls of corporatism for South African trade unions", African Studies Association of South Africa Third Biennial International Conference: 'Africa in a Changing World: patterns and prospects', Magaliesberg Conference Centre, Broederstroom, 8-9 settembre 1997, http://web.wits.ac.za/NR/rdonlyres/68146294-4DFF-4CA5-946A-3540D432FBBC/0/againstcorp.pdf .
8. Vedi Lucien van der Walt, 2005, "Rethinking Welfare, Building the Working Class Movement", NALEDI (National Labour and Economic Development Institute) Open Forum, Congress of South African Trade Unions/COSATU, Johannesburg, 10-11 novembre 2005, http://web.wits.ac.za/NR/rdonlyres/64311856-4F48-4850-ACC3-BB093BC04855/0/Rethinkingwelfarefinal.pdf .
9. Vedi questo notevole sondaggio: Shawn Hattingh, 2009, "Workers Creating Hope: Factory Occupations and Self-Management", http://libcom.org/library/workers-creating-hope-factory-occupations-self-management .
10. Peter Kropotkin, [1892] 1990, The Conquest of Bread, Elephant Editions, London, pp.13, 21.
11. Quoted in Rudolph Rocker, Anarchism and Anarcho-Syndicalism, http://www.anarchosyndicalism.net/archive/display/209/index.php .

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