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Thursday February 03, 2011 15:52 by Secrétariat international - Alternative Libertaire
Popoli in lotta per la libertà e la giustizia sociale! L'ondata di proteste che è iniziata a Sidi Bouzid il 17 dicembre continua a crescere. Innescata da un gesto di disperazione di Mohamed Bouazizi, questa ondata sta dando speranza per un mondo migliore a milioni di persone in un numero crescente di paesi arabi. Dopo le rivolte in Algeria ed in Libia, ora è la volta dell'Egitto, della Giordania e dello Yemen essere teatro di estesi movimenti sociali. [Français] Tunisia, Egitto, Algeria, Giordania, Yemen...Popoli in lotta per la libertà e la giustizia sociale!L'ondata di proteste che è iniziata a Sidi Bouzid il 17 dicembre continua a crescere. Innescata da un gesto di disperazione di Mohamed Bouazizi, questa ondata sta dando speranza per un mondo migliore a milioni di persone in un numero crescente di paesi arabi. Dopo le rivolte in Algeria ed in Libia, ora è la volta dell'Egitto, della Giordania e dello Yemen essere teatro di estesi movimenti sociali. Quello che sta accadendo non ci deve sorprendere, dal momento che, pur tenendo contro della specificità di ogni paese, ognuno di essi condivide con gli altri caratteristiche fondamentali: da un lato la povertà della maggioranza della popolazione, severamente aggravata dalla crisi in corso, e dall'altro regimi più o meno autoritari che hanno sempre monopolizzato la ricchezza di ciascun paese. In Tunisia, la mobilitazione del popolo prosegue. Dopo la caduta del tiranno, il popolo non è tornato a casa e non si fida nè dei politici, nè degli annunci televisivi. Non è sufficiente essersi liberati della mafia dei Ben Ali/Trabelsi: è l'intero "ancien regime" del Partito-Stato, del Raggruppamento Democratico Costituzionale (RCD) che deve essere distrutto. L'insediamento di un governo di unità nazionale il 17 gennaio mostra che i padroni del RCD si sono abbarbicati al potere. Le frange più moderate della rivoluzione sono pronte ad accettare un compromesso allo scopo di accelerare il processo di normalizzazione richiesto da tutti coloro che si sentono minacciati dalla rivoluzione – i padroni, gli investitori internazionali, i regimi di Algeria e Libia, di Francia ed Israele, degli Stati Uniti e così via. I rivoluzionari più determinati stanno rifiutando qualsiasi provvedimento che consentirebbe al vecchio regime di perpetuarsi dopo un semplice lifting. La loro rivendicazione principale è l'uscita di scena del RCD: fuori dal governo, fuori dalle amministrazioni, dagli affari e dalle scuole. Le manifestazioni contro il governo proseguono nella capitale come pure nei maggiori centri della rivoluzione. Dal 23 gennaio, centinaia di persone della "Carovana per la Libertà" costituitasi il giorno prima nel centro-ovest del paese (Menzel Bouzaiane, Sidi Bouzib, Regueb, Kasserine), si sono radunate fuori della residenza del primo ministro. Ci sono stati scioperi di massa per iniziativa di settori combattivi della Unione Generale del Lavoro Tunisina (UGTT), a cominciare dal settore della scuola primaria e mercoledì è stato indetto uno sciopero generale regionale in 5 province, compresa quella di Sfax, la seconda città della Tunisia. Alcuni lavoratori in azione diretta hanno soppiantato gente di Ben Alì che ancora lavorava nelle istituzioni, nelle amministrazioni locali, nelle imprese pubbliche e nei media. Agli amministratori delegati di Telecom Tunisia, di STAR (assicurazioni) e della Banca Nazionale dell'Agricoltura è stato dato il benservito dai loro dipendenti. Di fronte alla pressione della piazza, il Primo Ministro Mohammed Gannouchi ha fatto dei passi indietro, concedendo qualche briciola di speranza per calmare le proteste, ma senza successo. Infine, nella serata del 27 gennaio ha fatto le concessioni maggiori: gli uomini del RCD alla testa di ministeri chiave (Difesa, Interni ed Affari Esteri) sono stati sostituiti da dei tecnocrati. Restano due ex-ministri di Ben Alì, in posizione minore, ma dimettendosi dal RCD, per addolcire la pillola. Questa nuova ritirata calmerà il popolo? Non c'è niente di certo. Gli abitanti delle regioni povere dell'interno, i lavoratori ed i giovani disoccupati non permetteranno che la loro rivoluzione gli venga scippata senza colpo ferire. Perché sono stati loro a soffrire di più sotto il precedente regime e per la sottomissione di questo alla dittatura del mercato, perchè sono loro che stanno dietro la rivoluzione e che ne stanno pagando il prezzo. Perché i problemi che li hanno spinti a protestare sono ancora tutti lì: la povertà, la disoccupazione, la corruzione ed il clientelismo. In Giordania, ci sono stati 3 giorni di proteste dopo la caduta di Ben Alì. Su invito dei sindacati, dei partiti islamisti e di quelli di sinistra, migliaia di persone, sono scese in strada nella capitale Amman ed in altre città in tutto il paese al grido "No all'oppressione, sì al cambiamento!, "Vogliamo libertà e giustizia sociale!" e "No alla fame che ci mette in ginocchio!" Nello Yemen, uno dei paesi arabi più poveri, migliaia di manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, che è al potere da 32 anni. In Egitto, il Presidente Hosni Mubarak – al potere da 30 anni – vede il suo trono vacillare. Per parecchi giorni, le forze di sicurezza del regime hanno represso con durezza i manifestanti, con dozzine di morti e migliaia di feriti in soli 2 giorni. Dopo aver tagliato le linee telefoniche ed oscurato le connessioni internet – strumenti importanti per la diffusione delle informazioni e della rivolta – Hosni Mubarak ha sciolto il suo governo ed ha promesso riforme democratiche. Ma in Egitto ed in Tunisia, le briciole gettate al popolo da questi regimi impauriti non sono affatto sufficienti ad attenuare l'entusiasmo rivoluzionario del popolo, che prosegue a tenere le strade del Cairo chiedendo le dimissioni del presidente. Alternative Libertaire sostiene la lotta di questi popoli per la libertà e per la giustizia sociale e denuncia la complicità dello Stato francese con i regimi autoritari nei paesi arabi.
Traduzione a cura di FdCA-International Relations Office
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