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Manifesto del Comunismo Libertario

category internazionale | movimento anarchico | documento politico author Saturday August 14, 2010 05:07author by Georges Fontenis
Come omaggio al compagno Georges Fontenis, scomparso il 9 agosto 2010 all'età di 90 anni, pubblichiamo ora una traduzione aggiornata del suo opera più famoso, il "Manifesto del Comunismo Libertario", basata sulla traduzione a cura dell'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica, pubblicata nella collana "StoriaDocumenti" a Bari nel 1977 con il titolo "Manifesto dei Comunisti Libertari". Il Manifesto è preceduto dall'introduzione all'edizione originale francese (Manifeste du communisme libertaire. Problèmes essentiels, Paris, Éditions du Libertaire, 1953, 32 p.).
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Introduzione


Nel momento in cui il sistema capitalistico ha raggiunto il suo punto culminante di crisi, nel momento in cui tutte le "ricette" di restauro e le "soluzioni" dello pseudo-comunismo di Stato sono fallite e si rivelano incapaci di risolvere le contraddizioni attuali se non nei termini di miseria, schiavitù, guerra mondiale, ci è sembrato necessario ed urgente sistemare, sotto forma di manifesto, le analisi e le soluzioni comuniste libertarie.

D'altra parte, è da molto tempo che i militanti, imbarazzati di fronte alle domande politiche poste dai simpatizzanti e da tutti coloro che si pongono oggi il problema della rivoluzione sociale, desideravano che venisse redatto questo manifesto che potesse riassumere in poche pagine l'essenziale del Comunismo Libertario, con le precisazioni necessarie su concetti chiave come lo Stato e la rivoluzione.

Nel redigere questo opuscolo, rispondendo alla domanda di tutti i militanti sulla base delle idee essenziali e sulla base dei concetti riconosciuti dai Comunisti Libertari, Georges Fontenis non ha pensato di creare una nuova dottrina.

Ciò che noi presentiamo oggi non è dunque una forma definitiva della teoria del Comunismo autentico, in quanto questa andrà sempre più precisandosi, chiarendosi, perfezionandosi, alle luce delle esperienze e dei fatti storici.

Lo scopo era soltanto quello di dare di questa teoria il riassunto più chiaro, più coerente, il "più a fuoco" possibile, che possa essere conosciuto oggi. In questo scritto c'è l'essenziale del pensiero dei primi fondatori e dei migliori teorici del Comunismo Anarchico: Bakunin, Kropotkin, Malatesta; ci sono a volte, parola per parola, dei passaggi dello "Statuto dell'Alleanza" di Bakunin; c'è tutto ciò che può essere ritenuto di fondamentale nelle idee della "Piattaforma" di Makhno e dei suoi compagni – un insieme di riflessioni ispirate dalla condotta degli anarchici nel corso della Rivoluzione Russa del 1917; ci sono i punti principali e lo spirito del "Patto di Alleanza" e del "Programma" che diedero vita nel 1920 all'Unione Anarchica Italiana; ci sono le tesi difese oggi in Italia dai militanti dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria, fedeli agli insegnamenti di Bakunin e Malatesta; c'è lo spirito delle concezioni del Movimento Anarchico Spagnolo e delle sue esperienze del 1936; c'è infine lo sviluppo dei principi che animano il movimento comunista anarchico rivoluzionario in Francia, così come è uscito dalle complesse lotte di tendenza, soprattutto dopo il 1913, così come è continuato nel movimento francese sino ad oggi, di cui ne sono una testimonianza i suoi principi, i suoi statuti ed il suo orientamento.

Fontenis non si è posto l'intento di essere originale a tutti i costi: egli ha ripreso dei frammenti di articoli dei quaderni "Etudes Anarchistes" o di "Libertaire" in cui aveva tentato di mettere a fuoco alcune parti, come quelle riguardanti le minoranze agenti oppure della violenza rivoluzionaria.

Egli ha voluto soprattutto fare un'opera modesta di sintesi, fare il punto che potesse servire da base teorica solida ai militanti di un'organizzazione rivoluzionari, una messa a fuoco la cui assenza si è fatta spesso sentire e che era molto attesa.

Alcuni possono spaventarsi per il linguaggio usato, ma non bisogna esitare ad usare il linguaggio di tutti, linguaggio che chi legge comprende subito, e che i Bakunin, i Kropotkin, i Malatesta, utilizzavano senza vergogna: partito, linea politica, disciplina sono delle parole che, ben precisate, possono fare paura solo a coloro per i quali il vigore rivoluzionario o il coraggio di fronte alle situazioni e di fronte alle parole sono stati annullati da tutto un "casino" di letteratura e da chiacchiere sentimentali pseudo-anarchiche.

Fontenis ha ritoccato, corretto e precisato, tenendo conto delle osservazioni e delle critiche che gli hanno mosso i militanti, i lettori di "Libertaire", in cui questi problemi essenziali sono apparsi negli ultimi mesi del 1952. Alcuni capitoli.hanno subito dei notevoli ampliamenti, altri invece sono stati rifatti o rimaneggiati.

Dunque, questa piccola opera che rappresenta un lungo lavoro e numerose e delicate messe a punto, sarà uno strumento prezioso per tutti i militanti, il libro-base per tutti coloro che si pongono il problema della rivoluzione sociale proletaria.

La Commissione di edizione

Georges Fontenis

MANIFESTO DEI COMUNISTI LIBERTARI


IL COMUNISMO LIBERTARIO COME TEORIA SOCIALE


E' nel corso del XIX secolo, nel corso dello sviluppo del capitalismo e delle prime grandi lotte operaie e, più precisamente, in seno della Prima Internazionale (dal 1861 al 1871), che appare una dottrina sociale, chiamata "socialismo rivoluzionario" (per reazione contro il socialismo egualitario, riformista o statale) o "socialismo antiautoritario" o "collettivismo", ed in seguito "anarchismo" o "comunismo anarchico" o "comunismo libertario".

Questa dottrina, questa teoria, nasce come reazione dei lavoratori socialisti organizzati. Essa è, in tutti i casi, legata all'esistenza dell'antagonismo di classe, che si va accentuando. Essa è un prodotto storico, nasce in presenza di determinate condizioni della storia, di sviluppo della società di classe, e non dalla critica idealista di alcuni pensatori.

Il ruolo dei fondatori della dottrina, di Bakunin principalmente, fu quello di esprimere le aspirazioni sincere delle masse, le loro reazioni, le loro esperienze, e non di creare artificialmente una teoria appoggiandosi su un'analisi astratta, puramente ideale o su delle teorie anteriori; Bakunin e con lui James Guillame, in seguito Kropotkin, Reclus, J. Grave, Malatesta, ecc., partono dall'osservazione delle condizioni e delle forme di organizzazione e di lotta delle associazioni dei lavoratori e delle masse contadine.
L'origine di classe dell'anarchismo è incontestabile. Come mai allora così spesso l'anarchismo è stato considerato come una filosofia, una morale o etica staccata dalla lotta di classe, quindi come un umanesimo staccato dalle condizioni storico-sociali?

Noi questo ce lo spieghiamo attraverso molteplici motivi: da una parte, i primi teorici anarchici hanno cercato qualche volta di riferirsi alle opinioni di scrittori, di economisti, di storici che li hanno preceduti, Proudhon soprattutto (del quale molti scritti mostrano incontestabilmente delle concezioni anarchiche).

A volte i teorici che li hanno seguiti, allo stesso modo, hanno ritrovato presso degli scrittori come la Boetie, Spencer, Godwin, Stirner, ecc., dei pensieri che avevano una analogia con l'anarchismo, nel senso che essi manifestavano una opposizione alle forme di sfruttamento e ai principi di dominazione che scoprivano nella società.

Ma le teorie di Godwin, Stirner, Tucker sono unicamente delle riflessioni sulla società senza tener conto della storia e delle forze che la determinano, senza tener conto delle condizioni oggettive che pongono il problema della rivoluzione.

D'altra parte, in tutte le società basate sullo sfruttamento e il dominio, sono sempre esistiti dei gesti di rivolta individuali o collettivi, taluni con un contenuto comunista e federalista e realmente democratico, per cui si è giunti a considerare qualche volta l'anarchismo come lotta eterna degli uomini verso la libertà e la giustizia. Concetto vago, insufficientemente fondato sul piano sociologico o storico, tendente ad assimilare l'anarchismo ad un vago umanesimo, basato su nozioni astratte, di umanità e di "libertà".

Agli storici borghesi del movimento operaio è sempre piaciuto mischiare il comunismo anarchico con le teorie individualistiche ed idealiste, ed essi sono in gran parte responsabili della confusione che hanno creato avvicinando Stirner a Bakunin.

Si è qualche volta giunti, dimenticando le condizioni di nascita dell'anarchismo, a ridurlo ad una specie di super-liberalismo, facendogli perdere il suo carattere materialista, storico e rivoluzionario.

Ma, in ogni modo, se le rivolte anteriori al XIX secolo e le riflessioni di alcuni pensatori sulle relazioni che intercorrono tra gli uomini e le classi sociali, hanno preparato l'anarchismo, questo esiste come teoria rivoluzionaria solo a partire da Bakunin.

Certo, le raccolte e gli scritti anteriori, ai quali ci si rifà, sono nati anch'essi per il fatto di esserci lo sfruttamento di categorie sociali da parte di altre. Le opere di Godwin, per esempio, esprimono bene l'esistenza della società di classe, ma in modo idealista, confuso. L'alienazione dell'uomo dal gruppo, dalla famiglia, dalla religione, dallo Stato, dalla morale, ecc. è senz'altro di natura sociale, è senz'altro l'espressione di una società divisa in caste o in classi.

Si può dire che attitudini, riflessioni, modi di agire, che noi possiamo qualificare come di rivolta, non conformiste, anarchiche, nel senso vago del termine, sono sempre esistite.

Ma la formulazione coerente di una teoria comunista-anarchica risale alla fine del XIX secolo e si persegue ogni giorno, si precisa, si perfeziona con l'apporto dell'esperienza storica.

L'anarchismo non può dunque essere assimilato ad unafilosofia o ad un'etica astratta ed individualistica.

Esso è nato nel e dal sociale, ed è stato necessario attendere un periodo storico determinato e un certo stato dell'antagonismo di classe, affinché le aspirazioni comuniste-anarchiche si manifestassero chiaramente, affinché il fenomeno della rivolta sfociasse in una concezione rivoluzionaria coerente e completa.

L'anarchismo, non essendo una filosofia o un'etica astratte, non può rivolgersi all'uomo in astratto, all'uomo in generale. Per l'anarchismo non esiste in questa società l'uomo senza aggettivi, "tout court"; c'è l'uomo sfruttato appartenente alla classe degli sfruttati e c'è l'uomo delle classi privilegiate, della classe dominante. Rivolgersi all' "uomo" è cadere nell'errore e nel sofisma dei liberali che si rivolgevano al "cittadino" senza tener conto delle condizioni economiche e sociali dei cittadini.

Rivolgersi all'uomo in generale, dimenticando l'esistenza delle classi e delle lotte di classe, dando sfogo a delle declamazioni retoriche e vuote sulla libertà, sulla giustizia in generale, con le maiuscole, significa permettere a tutte le filosofie borghesi, in apparenza liberali, ma in realtà conservatrici e reazionarie, di penetrare nell'anarchismo, di pervertirlo in un vago umanitarismo, di castrarne la teoria, l'organizzazione e i militanti.

E' agli sfruttati, ai proletari, alle masse operaie e contadine che si rivolge l'anarchismo, teoria sociale e metodo rivoluzionario, perché solo la classe sfruttata, in quanto forza sociale, è un fattore rivoluzionario.

Vogliamo dire con ciò che la classe dei lavoratori è una classe-messianica, che gli sfruttati posseggono una provvidenziale chiaroveggenza, tutte le qualità e nessun difetto? Sarebbe cadere nell'idolatria operaia, in una metfisica di nuovo genere.

Ma la classe sfruttata, alienata, frustrata, il proletariato, in senso lato, inglobando allo stesso tempo la classe operaia propriamente detta (composta da operai manuali aventi una stessa psicologia, una stessa maniera di essere e di pensare) ed altri salariati come gli impiegati o ancora, in altri termini, l'insieme di quegli individui che svolgono delle mansioni esecutive nella produzione e nell'ordine politico, dunque coloro che non prendono parte alla gestione; solo questa classe quindi può, per la sua condizione economica e sociale, sovvertire il potere e lo sfruttamento. Solo i produttori possono realizzare la gestione operaia, e che cosa è la rivoluzione se non un passaggio della gestione a tutti i produttori?

Il proletariato è dunque la classe rivoluzionaria per eccellenza, non solo, ma la rivoluzione che essa può fare è una rivoluzione sociale e non politica, con cui emancipando se stessa, emancipa tutta l'umanità; liquidando il potere della classe dominante, essa sopprime le classi.

Senza dubbio nella società attuale le classi non hanno limiti precisi.

E' nel corso dei diversi episodi della lotta di classe che si fa la separazione. Non ci sono limiti precisi, ma esistono due poli: proletariato e borghesia (capitalisti, burocrati...); le classi definite medie sono dilacerate nei periodi di crisi e si orientano verso l'uno o l'altro polo; esse sono incapaci per la loro stessa condizione di trovare una soluzione, poiché esse non hanno né le caratteristiche rivoluzionarie del proletariato, né realmente la gestione della società attuale come la borghesia propriamente detta. Si osserva, per esempio, durante gli scioperi, che una parte dei tecnici (soprattutto quelli che sono nei fatti degli specialisti, quelli dei servizi di studio, per esempio) si avvicina alla classe operaia, mentre un'altra parte di tecnici, che ricoprono il ruolo dei quadri, e una grande parte dei capi si allontana dalla classe operaia, almeno per un periodo. La realtà sindacale si rimette sempre all'esperienza, al pragmatismo, sindacalizzando alcuni strati e non altri, seguendo il loro ruolo, la loro funzione. In ogni caso è la funzione e l'ideologia che permettono di caratterizzare una classe, più che la retribuzione.

C'è dunque il proletariato. C'è al suo interno una parte, quella più decisa, la più attiva, la classe operaia propriamente detta. C'è anche qualche cosa di più vasto del proletariato e che comprende altri strati sociali che è necessario coinvolgere nelle azioni: sono le masse popolari che comprendono oltre al proletariato anche i piccoli contadini, gli artigiani poveri ecc.

Non si deve cadere nella mistica del proletariato, ma avere chiaro un dato preciso: che il proletariato, nonostante la lentezza della sua presa di coscienza, i suoi riflessi, le sue disfatte, è in definitiva la sola leva reale della rivoluzione.

Qui non possiamo fare a meno di citare questo testo fondamentale di Bakunin: "Capire che, essendo il proletariato, il lavoratore manuale, il carcerato, è il rappresentante storico dell'ultima schiavitù sulla terra, la sua emancipazione è l'emancipazione di tutti, il suo trionfo è il trionfo finale dell'umanità..." (Opere Complete – tomo IV, pag. 425).

Senza dubbio è possibile che degli uomini appartenenti a categorie sociali privilegiate rompano con la classe di provenienza, con l'ideologia ed i vantaggi di questa classe, ed abbraccino la causa dell'anarchismo. Il loro apporto è considerevole, ma in qualche modo questi uomini diventeranno dei proletari. Per Bakunin, i "socialisti rivoluzionari", cioè gli anarchici, si rivolgono "alle masse operaie tanto delle città quanto delle campagne, comprendendo gli uomini di buona volontà delle classi superiori, che rompendo con il loro passato, vorranno francamente ricongiungersi ad essi e abbracciare interamente il loro programma".

Non si può dire, pertanto, che l'anarchismo si rivolga, come teoria sociale, all'uomo astratto, all'uomo in generale, senza tener conto del suo ambiente di nascita.

Togliere all'anarchismo il suo carattere di classe sarebbe condannarlo all'astrattezza, condannarlo a svuotarsi dei suoi contenuti e diventare un passatempo filosofico inconsistente, una curiosità per borghesi intelligenti, un oggetto di simpatia per un uomo di cuore idealista, un soggetto di discussione accademica. Noi concluderemo dunque che: L'anarchismo sociale o comunismo-anarchico o ancora comunismo-libertario è una teoria sociale rivoluzionaria, rivolta al proletariato, di cui rappresenta le aspirazioni, del quale, se si vuole, esso manifesta la teoria; teoria che il proletariato sancisce e riafferma attraverso le esperienze.

IL PROBLEMA DEL PROGRAMMA

L'anarchismo, essendo una teoria sociale, si manifesta attraverso una serie di analisi e di proposizioni che fissano i fini ed i mezzi: cioè attraverso un programma.

E' questo programma che costituisce la piattaforma comune di tutti i militanti di una organizzazione anarchica; piattaforma al di fuori della quale il gruppo si costituirebbe solo su aspirazioni sentimentali, vaghe, confuse; senza programma non ci sarebbe una unità reale di vedute.

Si avrebbe un raggruppamento con lo stesso nome, ma con pensieri diversi, se non opposti.

Si pone allora una questione: il programma può essere una sintesi, tenendo conto di ciò che c'è di comune tra i militanti che si richiamano ad una stessa sigla?

Questo, allora, vorrebbe dire cercare un'unità fittizia, in cui per evitare le opposizioni rimarrebbe in comune solo ciò che non ha importanza: si costruirebbe una forza comune ma poco efficiente. Nel passato, troppe volte si sono tentate sia delle "sintesi" sia delle "unioni", cartelli, alleanze, ma non ne è uscita che l'inefficacia e troppo spesso un ritorno ai conflitti: ponendo la realtà dei problemi ai quali ciascuno apportava soluzioni differenti od opposte, i conflitti riapparivano insieme alla vanità ed all'inutilità di uno pseudo-programma comune, che di fatto significava "rifiutarsi di agire".

D'altra parte l'idea stessa di far sorgere un programma già fatto, con la ricerca dei piccoli punti in comune, suppone che tutti i punti di vista proposti siano giusti, che un programma può uscire dai cervelli, in astratto.

Ora un programma rivoluzionario, il programma anarchico, non può essere creato da alcuni uomini per essere imposto alle masse.

E' l'inverso che si deve avere. Il programma dell'avanguardia rivoluzionaria, minoranza agente, non deve essere che l'espressione rimaneggiata e vigorosa, chiara, resa cosciente ed evidente, delle aspirazioni delle masse sfruttate, chiamate a fare la rivoluzione. In altri termini, la classe prima del "partito".

Ciò che deve determinare il programma è dunque lo studio, l'esperienza, la tradizione stessa di ciò che è fermamente nelle aspirazioni delle masse. C'è dunque nell'elaborazione del programma un certo "empirismo", evitando il dogmatismo, evitando la sostituzione di uno schema elaborato da un piccolo gruppo rivoluzionario a ciò che è stato indicato dall'azione, dalla coscienza delle masse.

A sua volta, il programma elaborato, portato a conoscenza delle masse, non può che sviluppare la loro coscienza. Infine il programma così definito può essere modificato nella misura in cui procede l'analisi della situazione e delle tendenze delle masse, e quindi può essere formulato in termini più giusti e più chiari.

Così fatto, il programma non può essere l'insieme dei punti secondari che uniscono (o meglio che non separano ) uomini che possono credersi vicini, ma è un insieme di analisi e proposizioni alle quali si rifanno solo coloro che le approvano e si incaricano di propagandarlo e di realizzarlo.

Qualcuno può dire che è necessario che questa piattaforma sia elaborata, redatta da qualcuno o da "un'equipe". Senza dubbio: poiché non si tratta di un programma qualsiasi, ma del programma dell'anarchismo sociale in cui non saranno accettate che quelle proposizioni concordanti con gli interessi e le aspirazioni, la coscienza e le capacità rivoluzionarie degli sfruttati. Solo così si può parlare veramente di sintesi, perché non si tratta di eliminare delle cose importanti che dividono, ma si tratta di sintetizzare in un modo nuovo delle nuove proposizioni che possano fondersi con l'essenziale. E' questo il ruolo delle riunioni di studio, delle assemblee, dei congressi dei rivoluzionari: cioè quello di riconoscere un programma, di riunirsi e di fondare la loro organizzazione su questo programma.

Il dramma è che più organizzazioni pretendono di rappresentare la classe operaia, tanto le organizzazioni socialiste riformiste o comuniste autoritarie, quanto l'organizzazione anarchica. Solo l'esperienza può verificare, può dare in definitiva ragione agli uni o agli altri.

Non c'è una rivoluzione possibile, senza che le masse rivoluzionarie si raggruppino su una certa unità ideologica, senza che esse agiscano ed operino con lo stesso fine, nello stesso senso. Ciò significa che, per noi, le masse – attraverso la loro esperienza – troveranno la via del comunismo libertario. Ciò significa che la teoria anarchica non è mai chiusa per ciò che riguarda i suoi punti di dettaglio, di applicazione, e che essa si elabora e si completa in ogni istante in funzione delle esperienze storiche.

Sembra che delle esperienze parziali, come la Comune di Parigi, la Rivoluzione Russa del 1917, la Makhnovicina, le realizzazioni della Spagna, gli scioperi, alla classe operaia non sia rimasta che l'esperienza – conosciuta sulla propria pelle – del socialismo di stato, totale e parziale (dopo la Russia sino alla nazionalizzazione e ai tradimenti dei partiti politici dell'occidente); eppure proprio queste esperienze ci permettono di affermare che il programma anarchico, con tutte le modificazioni di cui è suscettibile, rappresenta la direzione nella quale è possibile costruire l‘unità ideologica delle masse.

Per cui oggi ci accontentiamo di riassumere questo programma così: la società senza classi e senza Stato.

RAPPORTO TRA LE MASSE E L'AVANGUARDIA

Abbiamo visto, parlando del programma, qual è la nostra concezione generale del rapporto tra la classe sfruttata e l'organizzazione rivoluzionaria definita per mezzo del programma (vale a dire il partito nel senso puro del termine).

Ma noi non possiamo accontentarci di dire: "la classe prima del partito". E' necessario sviluppare, spiegare perché la minoranza agente è necessaria, senza che per questo diventi uno stato maggiore, una dittatura sulle masse. In altri termini è necessario mostrare come la concezione anarchica delle minoranze agenti non ha niente di aristocratico, niente di oligarchico, nulla di gerarchico.

I – Necessità dell'avanguardia

Esiste una concezione che considera l'iniziativa spontanea delle masse sufficiente a coprire tutta la possibilità rivoluzionaria.
E' vero che la storia ci mostra un certo numero di fatti, che noi possiamo considerare come dei movimenti di massa spontanei; e questi fatti sono preziosi perché essi dimostrano le capacità e le risorse delle masse.

Ma certamente non ci porta affatto ad accettare una posizione fatalista della spontaneità. Questo mito porta ad una demagogia populista, all'apologia di un ribellismo senza principi, a volte reazionario, all'attendismo ed alla capitolazione.

All'opposto noi troviamo una concezione puramente volontaristica, che vede l'organizzazione d'avanguardia come unica depositaria dell'iniziativa rivoluzionaria. Tale concezione conduce ad una valutazione pessimista del ruolo delle masse, porta al disprezzo aristocratico della loro capacità politica, ad una condotta astratta dell'azione rivoluzionaria e di conseguenza alla disfatta. Questa concezione contiene in embrione la controrivoluzione burocratica e statale.

Di contro, troviamo la concezione spontaneista: cioè quella teoria secondo la quale le organizzazioni di massa, come ad esempio i sindacati, non solo sono sufficienti a se stessi, ma sarebbero sufficienti a tutto. Questa concezione, che si dice assolutamente antipolitica, è – nei fatti – una concezione economicista. Essa si esprime spesso sotto la forma di un "sindacalismo puro". Ma noi facciamo rimarcare che se la teoria vuole avere una tenuta, è necessario che i suoi partigiani si astengano dal formulare qualsiasi programma, qualsiasi finalità, altrimenti si costituirebbe una organizzazione ideologica, che dando la linea, agirebbe da stato maggiore.

Dunque, questa teoria non è coerente, se non limitandosi ad una concezione socialmente neutra ed empirica dei problemi sociali.
Ugualmente distanti dallo spontaneismo come dall'empirismo e dal volontarismo, noi propugnamo la necessità della organizzazione rivoluzionaria anarchica specifica e la concepiamo quale avanguardia cosciente ed attiva delle masse popolari.

II – Ruolo dell'avanguardia rivoluzionaria

Incontestabilmente, l'avanguardia rivoluzionaria esercita un ruolo di orientamento e di direzione di fronte al movimento delle masse. A questo proposito ogni polemica è vana: quale altra utilità potrebbe infatti avere un'organizzazione rivoluzionaria?

La sua stessa esistenza attesta il suo carattere di direzione e di orientamento. La vera questione è sapere come è concepito questo ruolo, quale senso diamo noi alla parola "direzione".

L'organizzazione rivoluzionaria nasce per il fatto che i lavoratori più coscienti ne sentono la necessità di fronte allo sviluppo ineguale ed alla insufficiente coesione delle masse. Ciò che è necessario precisare è che l'organizzazione rivoluzionaria non deve costituire un potere sulle masse; il suo ruolo di guida deve concepirsi come diretto a formulare e ad esprimere un orientamento ideologico, organizzativo, tattico; un orientamento precisato, elaborato, adattato sulla base delle aspirazioni e delle esperienze delle masse. Così, le direttive dell'organizzazione non sono degli imperativi esterni, ma l'espressione riflessa delle aspirazioni complessive e generali delle masse popolari. La funzione direttiva dell'organizzazione rivoluzionaria, in assenza di qualsiasi possibilità coercitiva, non può esercitarsi che sforzandosi di far trionfare la sua ideologia, ottenendo che gli strati popolari si impregnino profondamente dei suoi principi teorici e delle sue direttive tattiche. Questa è una lotta di idee e di esempio. E se non si dimentica che il programma di una organizzazione rivoluzionaria, la via ed i mezzi che essa indica, sono il riflesso delle aspirazioni e delle esperienze delle masse, che l'avanguardia organizzata è in fondo lo specchio della classe sfruttata, si comprende allora che la "direzione" non è "dittatura", ma un "orientamento coordinato"; con cui l'avanguardia organizzata si oppone alla manipolazione burocratica delle masse, al caporalismo, al gregarismo, e che essa deve darsi per permettere lo svilupparsi della capacità politica diretta delle masse, poiché l'obiettivo è sviluppare la capacità di auto-organizzazione delle masse. Questa concezione della direzione è dunque insieme naturale ed educatrice. Allo stesso modo, all'interno dell'organizzazione, i militanti più preparati e più formati esercitano, verso gli altri militanti, un ruolo di guida, di educatori, con il fine che tutti divengano militanti solidamente formati e sempre svegli, tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico, affinché tutti diventino a loro volta delle avanguardie per, con e tra le masse.

La minoranza organizzata è l'avanguardia di un'armata molto più numerosa, e trae la sua ragion d'essere dall'esistenza di questa armata: le masse. Se la minoranza agente, l'avanguardia, si stacca dalle masse, essa non può più esercitare la sua funzione, essa diventa un clan o un club.

La minoranza rivoluzionaria non può essere, in ultima analisi, che la "serva" degli oppressi. Essa ha delle enormi responsabilità, ma nessun privilegio.

Un altro aspetto della natura della minoranza rivoluzionaria è la permanenza: ci sono dei periodi in cui la minoranza incarna ed esprime una maggioranza che tende a riconoscersi nella minoranza agente, ma ci sono dei periodi di riflusso nel corso dei quali la minoranza rivoluzionaria non è che un'isoletta nella tempesta. Essa, allora, deve conservarsi, per poter rapidamente inserirsi tra le masse, qualora le circostanze ridivengano favorevoli; anche se isolata e staccata dalle proprie basi popolari, essa deve mantenere il suo programma contro venti e mareggiate. Essa può anche essere costretta a certi atti isolati, destinati a risvegliare le masse (attentati, insurrezioni). La difficoltà, allora, sta nel rischio di estraniarsi dalla realtà, di trasformarsi in setta, in stato maggiore autoritario, di svuotarsi vivendo di schemi, o di tentare di agire senza essere compresa, spinta o seguita dalle masse popolari. Per evitare queste degenerazioni è necessario essere sempre in contatto con gli avvenimenti, con i luoghi degli sfruttati, essere attenti alle minime reazioni, alle minime rivolte o realizzazioni, studiare minuziosamente la situazione del momento, le contraddizioni, i punti deboli, le possibilità di evoluzione. Partecipando a tutte le forme di resistenza e di azione (che possono portare, secondo le condizioni, alla rivendicazione di un sabotaggio, alla resistenza passiva, alla rivolta), la minoranza può guardare alla possibilità di sviluppare ed orientare anche i più piccoli movimenti.

Sforzandosi di mantenere o di acquistare una visione generale e panoramica dei fatti sociali e della loro evoluzione, adottando le tattiche appropriate alla condizione del momento, ed essendo presente, la minoranza resta fedele alla sua missione; così facendo, evita di trascinarsi in coda agli avvenimenti, di diventare un apparato esteriore ed estraneo al proletariato, di essere sorpassata. Evita di assumere calcoli e schemi puramente astratti, per far sue le aspirazioni vere del proletariato. Essa mantiene il suo programma, lo rivede e ne corregge gli errori dopo l'esperienza. Quali che siano le circostanze, la minoranza non deve mai dimenticare che il suo scopo supremo è di scomparire, identificandosi con le masse, quand'esse siano giunte al più alto grado di coscienza, durante la realizzazione rivoluzionaria.

III – Sotto quali forme si esercita il ruolo della avanguardia

Praticamente, l'influenza dell'organizzazione rivoluzionaria può esercitarsi sulle masse in due modi: esiste il lavoro negli organismi di massa costituiti ed il lavoro diretto di propaganda. Questo secondo tipo di attività si esercita per mezzo della stampa, con campagne di agitazione e rivendicazioni, col dibattito culturale, con le campagne di solidarietà, le manifestazioni commemorative, le conferenze, i meeting; e questo lavoro diretto – che può qualche volta compiersi nel corso di attività organizzate da altri – è indispensabile per affermarsi e per toccare certi settori dell'opinione pubblica, altrimenti inaccessibili. Questo lavoro è di primaria importanza sul luogo di lavoro e sul territorio. E, in realtà, non pone grossi problemi rispetto al come evitare che la "direzione" degeneri in "dittatura". Invece, ben altri aspetti ha il lavoro all'interno degli organismi di massa costituiti. Prima di tutto: in cosa consistono questi organismi?

Questi organismi sono generalmente di natura economica, fondati sulla solidarietà sociale dei loro membri. Ma le loro funzioni possono essere molteplici: difensiva (resistenza, mutua assistenza), educativa (palestra di autogoverno), offensiva (rivendicazioni sul piano tattico, espropriazioni sul piano strategico), gestionaria. Questi organismi, sindacati, comitati di lotta operai o altro, anche quando assolvano solo ad una delle funzioni possibili, sono molto interessanti per il lavoro diretto fra le masse.

A fianco degli organismi economici, esiste una moltitudine di organismi popolari, attraverso i quali l'organizzazione politica può realizzare il contatto con le masse. Si tratta, per esempio, di organizzazioni culturali, sportive, di assistenza, in cui l'organizzazione specifica può trovare energie, suggerimenti, esperienze e su cui può estendere la sua influenza, portando il suo orientamento. Occorrerà lottare contro gli scopi di egemonia e di controllo dello Stato e dei politicanti, bisognerà difendere il carattere proprio di questi organismi, per farne dei centri di autogoverno e di mobilitazione rivoluzionaria in cui far maturare i germi della nuova società, perché gli elementi della società di domani esistono già nella società di oggi.

In tutte queste organizzazioni di massa, economiche e sociali, deve esercitarsi e rinforzarsi l'influenza dell'organizzazione politica, e non per mezzo di un sistema di decisioni esterne, ma attraverso la presenza attiva e coordinata dei militanti anarchici rivoluzionari in questi organismi e nei posti di responsabilità ai quali essi sono normalmente chiamati in base alle loro capacità ed attitudini. Il militante non deve lasciarsi chiudere in funzioni puramente amministrative che lo impegnino tutto il tempo, senza avere lo spazio per esercitare una reale influenza politica. Infatti, gli avversari politici tentano spesso di "imprigionare"i militanti rivoluzionari in compiti di ufficio.

Questo lavoro di "infiltrazione", come direbbero alcuni, deve tendere a trasformare l'organizzazione specifica da minoranza a maggioranza, almeno dal punto di vista dell'influenza.

L'organizzazione specifica deve tendere ad evitare ogni monopolio che finirebbe per far assorbire tutti i doveri – anche quelli propri dell'organizzazione specifica – all'organizzazione di massa, o – al contrario – di attribuire ai membri dell'organizzazione specifica, in una maniera esclusiva, la direzione degli organismi di massa, mettendo da parte tutte le altre componenti. A questo proposito è necessario precisare che l'organizzazione specifica deve promuovere e difendere l'organizzazione di massa, non solamente come struttura con un funzionamento democratico e federalista, ma anche come "struttura aperta" che faciliti l'accesso agli organismi di base di tutti gli elementi non ancora organizzati. E' nostro interesse che queste organizzazioni acquistino nuove forze sociali e sviluppino il loro carattere rappresentativo, poiché sono in gran parte adatte a consentire il massimo contatto dell'organizzazione specifica con le masse.

PRINCIPI INTERNI DELL'ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA O PARTITO

Ciò che abbiamo detto del programma, del ruolo e delle forme dell'attività dell'avanguardia significa chiaramente che questa avanguardia deve essere organizzata. Come?

I – Unità teorica

Per agire è necessario un insieme di idee coerenti. Le contraddizioni, le esitazioni, impediscono ogni incisività politica. D'altra parte, la "sintesi", o meglio un agglomerato di idee disparate, non avendo in comune che punti senza importanza reale, non può produrre che confusione e non può impedire che quasi subito le divergenze, che sono poi essenziali, vengano alla luce.

Al di fuori delle ragioni che abbiamo visto nell'analisi del problema del programma, al di fuori delle profonde ragioni teoriche sulla natura di questo programma, esistono anche delle ragioni molto pratiche che richiedono l'unità teorica, come base di un'organizzazione degna di questo nome.

L'espressione di questa teoria comune ed unica può essere il frutto di una sintesi, ma in questo caso, solo nel senso della ricerca di una espressione unica di idee sostanzialmente vicine, dunque essenzialmente comuni.

L'unità teorica è data dal programma così come noi lo abbiamo definito precedentemente e che definiremo più avanti: un programma comunista-libertario che esprime le aspirazioni generali delle masse sfruttate.

Precisiamo ancora che l'organizzazione specifica non è il riunirsi o il mettersi d'accordo tra individui, a partire da posizioni ideologiche particolari ed artificiali. Essa nasce e si sviluppa in modo organico e naturale, poiché corrisponde a un bisogno reale e ad un certo numero di dati programmatici non creati in modo astratto, ma che devono riflettere ed esprimere le aspirazioni storiche, profonde, degli sfruttati. L'organizzazione ha dunque una base di classe, anche se ammette gli individui usciti dalle classi privilegiate e in qualche modo da queste respinti.

II – Unità di tattica, metodo collettivo d'azione

Sulla base del programma, l'organizzazione determina un orientamento tattico comune. E' ciò che permette di trarre i frutti dell'organizzazione: continuità e costanza nel lavoro, compensazione delle debolezze di alcuni con la capacità e le forze di altri, concentrazione degli sforzi, economia delle forze, possibilità di rispondere in ogni momento alle necessità, alle occasioni, con il massimo dell'efficienza. L'unità tattica evita lo sparpagliarsi, evita nel movimento l'effetto nefasto di più tattiche che si oppongono le une alle altre.

E' a questo proposito che si pone il problema della determinazione della tattica. Per ciò che concerne la teoria, il programma fondamentale, i principi, non ci sono problemi: essi sono riconosciuti all'unanimità dall'organizzazione. Se ci sono delle divergenze sull'essenziale, c'è la scissione. Il nuovo venuto accetta questi principi base, che non possono essere modificati, se non, per accordo unanime, al prezzo di una separazione.

E' tutto diverso per la questione della tattica. L'unanimità può essere perseguita, ma solo fino al punto in cui, per realizzarsi, non debba andare a mettere d'accordo tutti senza decidere niente: gli accordi neri/bianchi non lasciano sussistere che la carcassa vuota di una organizzazione, priva di sostanza e senza utilità, dato che l'organizzazione ha proprio lo scopo di coordinare le forze verso uno stesso fine. E' necessario dunque ammettere che quando tutti gli argomenti a favore di ogni posizione sono stati espressi, quando la discussione non può più essere utilmente prolungata, quando le opinioni vicine e fondamentalmente identiche si sono fuse, e resta un'opposizione irriducibile tra le tattiche proposte, l'organizzazione deve trovare una via d'uscita. Non ne esistono che quattro possibili:

a) Non decidere niente, dunque non agire, e allora l'organizzazione perde ogni motivo di esistere.

b) Accettare delle tattiche differenti, lasciare ciascuno sulle proprie posizioni. L'organizzazione può ammetterlo in alcuni casi limite, su punti di non vitale importanza.

c) Consultare l'organizzazione tramite un referendum che permetta di stabilire una maggioranza; e la minoranza, avendo accettato di rinunciare al suo punto di vista nell'azione pubblica, si riserva di continuare a svilupparlo all'interno dell'organizzazione, stimando di dover porre a verifica il punto di vista della maggioranza. Qualcuno, qualche volta, invocherà la mancanza di obiettività in questo processo: il numero non significa per forza la verità, ma è il solo criterio possibile. Non manifesta alcuna tendenza coercitiva, poiché è applicabile solo ai membri dell'organizzazione che l'accettano come regola e che la minoranza accetta come una necessità, permettendo di verificare le posizioni tattiche maggioritarie.

d) Quando tra maggioranza e minoranza si rivela impossibile un'intesa su un punto capitale che esige una presa di posizione dell'organizzazione, allora la scissione si produce in maniera naturale ed inevitabile.

In ogni caso, si cerca di realizzare un'unità tattica e, d'altronde, senza questa ricerca, i congressi non sarebbero che dei confronti senza risultati e senza utilità pratica. Questo perché, la prima soluzione possibile (a), cioè non decidere niente, è da rigettare in ogni caso, la (b), cioè ammettere più tattiche, non può essere che un caso eccezionale.

Beninteso, solo le assisi in cui l'organizzazione è rappresentata nella sue interezza (conferenze, congressi, etc.) possono deliberare sulla linea tattica da stabilire.

III – Azione collettiva e disciplina

Una volta che è stata decisa una linea tattica, si pone il problema di come applicarla. E' chiaro che se l'organizzazione ha stabilito una linea d'azione collettiva, lo ha fatto affinché l'attività militante di ogni compagno e di ogni gruppo dell'organizzazione siano conformi a questa linea. Nei casi in cui si sono formate una maggioranza ed una minoranza, ma le due parti hanno deciso di continuare il lavoro in comune, nessuno può considerarsi vessato, poiché ciascuno ha accettato questa forma di attività e ha partecipato all'elaborazione della linea. Questa disciplina liberamente accettata non ha niente in comune con il caporalismo, con l'obbedienza passiva a degli ordini. Non c'è nessun apparato di coercizione per far accettare un punto di vista non condiviso da tutta l'organizzazione: c'è solamente il rispetto degli impegni liberamente presi, allo stesso modo per la minoranza come per la maggioranza. Beninteso, i militanti e le differenti parti dell'organizzazione possono prendere delle iniziative, ma solo nella misura in cui esse non entrino in contraddizione con gli accordi presi e le misure prese dagli organismi "regolari", cioè se queste iniziative sono di fatto l'applicazione delle decisioni collettive e riguardino attività di dettaglio; invece quando esse impegnano l'organizzazione intera, ciascun militante deve consultare l'organizzazione per mezzo dei suoi organi rappresentativi e di collegamento. Dunque, attività collettiva e non attività decise personalmente da militanti "separati", presi singolarmente.

Così, ciascun militante partecipa all'attività di tutta l'organizzazione come l'organizzazione è responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica di ciascuno dei suoi militanti, poiché questi non agiscono sul piano politico sena consultare l'organizzazione.

IV – Federalismo o democrazia interna

Al contrario del centralismo, che è la sottomissione cieca delle masse ad un centro, il federalismo permette – a seconda dei casi – le centralizzazioni necessarie e la libera determinazione di ciascun militante ed il suo controllo sull'insieme. Il federalismo non impegna i partecipanti che su ciò che hanno in comune.

Quando unisce dei gruppi fondati sull'interesse materiale, il federalismo trova ragione della sua esistenza su un fatto concreto, ma la base di questa unità può qualche volta essere debole. E' questo il caso di alcuni settori dell'azione sindacale. Ma nell'organizzazione rivoluzionaria anarchica, si tratta di un programma che rappresenta le aspirazioni generali delle masse: la base di unione (i principi, i programmi) è più importante delle differenziazioni, e più che parlare di una unità molto forte di fatto o su contratto, è necessario parlare di unità funzionale, organica, naturale.

Il federalismo non deve essere inteso come il diritto di manifestare le fantasie personali, senza tenere conto degli obblighi contratti verso l'organizzazione.

Significa, invece, che l'accordo concluso tra i militanti ed i gruppi in vista di uno scopo comune, è frutto di libero intento e di azione meditata.

Un tale accordo sottintende – da una parte – che i partecipanti compiano nel modo migliore i doveri accettati e si conformino alle decisioni prese in comune; dall'altra, che gli organi di coordinamento ed esecutivi siano designati e controllati da tutta l'organizzazione nelle sue assemblee e nei suoi congressi, dal momento che i loro compiti dovrebbero essere stati fissati con precisione.

Sono dunque queste le basi su cui può esistere un'organizzazione anarchica efficace:

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