Contributo per l'incontro-dibattito
che si terrà a Roma il 13 marzo il cui scopo sarà quello di informare il
territorio sulla manovra del Comune di Roma di privatizzare quasi completamente
la gestione delle risorse idriche potabili romane.
Quello che sta avvenendo a livello della distribuzione delle risorse idriche nei
Comuni italiani, con il tentativo da parte delle imprese private di
impossessarsi di un bene comune di prima necessità, attraverso la gestione degli
acquedotti comunali, già avviene da decenni con le acque minerali.
Assuefatti dal vedere normalmente e costantemente bottiglie e bottigliette di
acqua minerale in ogni dove e bersagliati da campagne pubblicitarie con
"illustri" personaggi, che ne decantano le presunte qualità curative e/o
nutrizionali, probabilmente non ci rendiamo conto di quanto sia già molto grande
il furto consumato dalle imprese private alle spalle della collettività.
Con 196 litri pro capite all'anno (dati del 2007) l'Italia è il primo paese in
Europa per consumi di acque in bottiglia e il terzo al mondo, dopo Emirati Arabi
(260 l/anno) e Messico (205 l/anno).
L'Italia è, inoltre, il primo produttore mondiale di acqua in bottiglia, con una
produzione ad oggi di circa 11 miliardi di litri all'anno (di cui circa 1 viene
esportato all'estero, specialmente in Francia e nel resto dell'Europa e
secondariamente nel resto del mondo) e con un volume di affari di circa 4,5
miliardi di euro, se si considera un prezzo medio di acqua minerale di circa 0,4
€/l.
Al consumatore l'acqua minerale in bottiglia, da uno studio condotto
dall'Università di Ginevra, costa circa mediamente 500 volte più di quella del
rubinetto (circa 0,4 €/l per l'acqua in bottiglia rispetto a circa 0,0008 €/l
per l'acqua del rubinetto).
Tra le imprese private che commercializzano l'acqua minerale in Italia la S.
Pellegrino (gruppo Nestlé), la San Benedetto (gruppo Danone) e la Cogedi coprono
da sole il 75% del mercato italiano. La Nestlé e la Danone sono rispettivamente
la n.1 e la n.2 delle imprese a livello mondiale di acqua minerale, con la prima
che, ad esempio, ne vende annualmente 19 miliardi di litri. Sempre la Nestlé
possiede più di 260 marche d'acqua minerale in tutto il mondo tra cui San
Pellegrino, Vittel, Contro, Perrier, Lievissima, Panna, San Bernardo, Pejo,
Recoaro. La Danone possiede invece tra le altre la Ferrarelle, San Benedetto,
Guizza, Vitasnella, Boario, Fonte viva ecc.
Uscendo un attimo dalle acque minerali, la Nestlé ha oltretutto messo gli occhi
sull'acquedotto pugliese, il più grande d'Europa.
A fronte di uno sfruttamento intensivo delle falde acquifere operato da queste
imprese private, che spesso, come abbiamo visto, sono delle grandi
multinazionali, le Regioni italiane ricevono, per la concessione delle sorgenti
o delle perforazioni, dei canoni molto irrisori.
Non esistendo una legge a carattere nazionale che gestisce il rapporto con
l'impresa privata, ciascuna Regione decide autonomamente, con la comune
tendenza, come vedremo, a favorire di gran lunga l'impresa privata, chi più chi
meno.
Come infatti denuncia un inchiesta di Legambiente, i canoni di concessione sono
estremamente variabili da caso a caso e comprendono sia costi diversi che
diversi criteri di definizione, con alcune Regioni che fanno pagare in base agli
ettari dati in concessione e ai volumi emunti o imbottigliati (i volumi emunti
dalla falda sono molto più grandi rispetto a quelli imbottigliati, in quanto
vari metri cubi d'acqua vengono persi nei processi di lavorazione che
accompagnano l'imbottigliamento), altre che fanno pagare solo un canone per la
superficie della concessione data, a prescindere dalle quantità d'acqua
prelevate. In alcuni casi il rapporto di concessione è ancora regolato dal Regio
Decreto del 1927.
- in 9 Regioni (Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte,
Sicilia, Umbria, Veneto) è previsto il pagamento del canone doppio, in base
alla superficie della concessione e ai volumi di acqua emunta o
imbottigliata;
- 8 Regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Molise,
Puglia, Sardegna, Trentino, Valle d'Aosta) fanno pagare solo sulla base
della superficie della concessione;
- la Regione Abruzzo ha un sistema di tariffazione forfetario annuo a
prescindere dai volumi e dalle superfici della concessione (circa €1.400 per
le acque di sorgente e €2.800 per quelle minerali), mentre la Provincia
autonoma di Bolzano determina il canone annuo sulle portate medie annue
concesse (quindi più su un discorso potenziale che non sulle quantità
realmente emunte o imbottigliate).
- in Toscana, dove è in corso di pubblicazione la nuova legge regionale in
materia, saranno inseriti i canoni in funzione dei metri cubi imbottigliati
ogni anno (in un intervallo compreso tra 0,5 e 2 euro ogni mille litri),
mentre in Val d'Aosta grazie alla legge regionale approvata nel 2008, da
quest'anno si dovrebbe pagare €1,5 per metro cubo imbottigliato.
Oltre alle modalità, anche il livello dei canoni è molto diverso.
Infatti il pagamento in funzione degli ettari oscilla tra un minimo di 1,033
€/ha della Puglia (che in un anno incassa appena €1.250, visti i 1.211 ettari
totali dati in concessione alle 16 società che imbottigliano l'acqua) ad un
massimo di 587,69 €/ha per le zone di pianura del Veneto. Nelle altre regioni si
va dai circa €5 per ettaro pagati nella regione Liguria e i 10 €/ha in Sicilia e
in Molise, fino ai sistemi di Marche e Lazio che prevedono una differenziazione
dei canoni, per ciascun ettaro di concessione, in proporzione alle quantità di
acqua prelevata.
Anche quando si paga in base ai litri prelevati il costo varia di molto: infatti
si va da €0,3 ogni mille litri emunti della Campania, fino ai €2 a metro cubo
del Lazio e ai €3 per ogni mille litri prelevati nel Veneto.
Sono dei canoni veramente insignificanti che incidono sul costo finale della
bottiglia da un litro con delle percentuali inferiori all'1%. Facendo infatti un
calcolo del costo dell'acqua, dovuto ai canoni di concessione, nel Veneto, dove
questo costo è il più elevato, si arriva ad un incidenza dello 0,6%.
Secondo l'EURISPES infatti sul costo finale della bottiglia di acqua minerale
incide per il 60% l'imballaggio (plastica per l'80% e vetro per il 20%), per il
15% il trasporto, per il 15% la mano d'opera della filiera produttiva e per il
10% la pubblicità e gli altri oneri. All'interno di questi vanno collocati
ovviamente i dividendi degli azionisti delle multinazionali ed in genere i
profitti delle imprese operanti nell'intero indotto.
Quello che invece risulta lampante è che alla collettività, a fronte dello
sfruttamento di una risorsa a lei appartenente, ritorna in tasca un misero
provento: meno dell'1% del costo totale della bottiglia. Un provento che
oltretutto è ben al di sotto del costo necessario alla copertura economica dello
smaltimento delle quasi 10 miliardi di bottiglie di plastica e circa 2 di vetro,
prodotte in un anno di consumi, il cui trattamento come rifiuto (che sia di
recupero o di conferimento diretto in discarica) è ovviamente a spese della
fiscalità generale.
In questo enorme consumo un ruolo fondamentale è svolto dalla pubblicità.
Le marche più famose infatti investono centinaia di migliaia di euro in campagne
pubblicitarie.
E ovviamente questa strategia è vincente, come è possibile osservare
nell'accostamento tra i due grafici, di cui il primo evidenzia il trend del
consumo pro capite di acqua minerale in Italia ed il secondo il trend
dell'investimento economico in pubblicità.
Trend crescente quasi linearmente in ambedue i casi, a rimarcare, se mai ce ne
fosse necessità, di come i bisogni indotti dalla pubblicità siano un propellente
fondamentale della società dei consumi, funzionali all'accumulazione di
ricchezze. E questo lo sa bene anche Mineracqua, la Confindustria delle acque,
in grado di pilotare le campagne pubblicitarie e "convincere" il legislatore a
tutelare più il business degli industriali che la salute dei consumatori.
Infatti non è tanto l'ormai provato collegamento tra bisogni indotti e consumo
l'aspetto saliente che si voleva evidenziare; in quanto tutte le merci prodotte
all'interno di questo sistema economico hanno lo scopo principale di far
arricchire una ristretta oligarchia.
Semmai si volevano evidenziare gli elementi su cui fanno leva le campagne
pubblicitarie per indurre il consumatore a comprare acqua minerale in bottiglia,
quando abbiamo visto che il suo costo è circa 500 volte quello dell'acqua del
rubinetto.
I fondamenti più importanti su cui fa leva la pubblicità dell'acqua
imbottigliata sono il gusto e la salute.
Nel primo caso si fa leva sul migliore gusto delle acque minerali imbottigliate
rispetto a quelle degli acquedotti, spesso aventi uno sgradevole sapore di
cloro, elemento utilizzato per combattere la prolificazione di microrganismi
patogeni.
Questo è vero specialmente in alcune regioni, tuttavia, essendo il cloro un
elemento molto volatile alle nostre condizioni ambientali, è facilmente
eliminabile mettendo l'acqua in una brocca per una quarantina di minuti e
permettere al cloro di evaporare.
Esistono inoltre molte altre metodologie per depurare biologicamente l'acqua che
non prevedono l'utilizzo del cloro. Dalla più comune UV, metodo con raggi
ultravioletti, al nuovo metodo messo a punto dai ricercatori della Duke
University dal nome micro-RNA, che è un metodo di "filtraggio" biologico,
oltretutto a più basso costo rispetto ai precedenti citati.
Nel secondo caso si fa leva sull'aspetto salutistico legato al consumo di acqua
minerale in bottiglia, aspetto questo collegato anche all'altro aspetto della
sicurezza alimentare, per cui nel consumatore predomina la convinzione che le
acque minerali imbottigliate sarebbero più igienicamente sicure di quelle degli
acquedotti comunali. Niente di più falso se pensiamo che l'acqua di un
acquedotto viene controllata decine di volte al giorno mentre una marca in
bottiglia subisce, nel migliore dei casi, un controllo ogni due anni. Ed inoltre
i parametri che deve rispettare l'acqua dell'acquedotto sono 200, mentre quelli
delle acque minerali imbottigliate sono 48.
Ed in più per alcuni dei parametri in comune, come ad esempio la presenza di
metalli pesanti, i limiti di legge sono molto più restrittivi, in termini
quantitativi, per l'acqua dell'acquedotto.
Se applicassimo gli stessi limiti imposti all'acqua dell'acquedotto alle acque
minerali, molte di queste non sarebbero di fatto potabili per legge, superando
ad esempio la soglia di attenzione per i nitrati, per la durezza e per altre
sostanze come arsenico, cadmio, ferro, manganese, nichel, piombo, fluoro ed
altri minerali. Basterebbe applicare realmente la direttiva europea 2003/40, la
quale invece viene applicata, come vedremo più sotto, solo parzialmente.
Ma la storia italiana recente è inoltre piena di episodi di sforamento anche di
questi privilegiati limiti. Nel 2003, ad esempio, una serie di inchieste
scoprivano che nella Guizza c'erano contenuti di idrocarburi al benzene in
quantità 10 volte superiore alla media. Ancora nello stesso anno, ad esempio, le
fonti della Fiuggi vennero chiuse dopo la scoperta di sostanze nocive nell'acqua
imbottigliata.
E per capire quale sia il potere economico delle multinazionali dell'acqua e di
quanto queste riescano ad influenzare la politica, in quell'occasione l'allora
ministro Sirchia, varò in tutta fretta, ed in pieno periodo di festività
natalizie, un decreto che innalzava la soglia di tolleranza per molte sostanze
inquinanti trovate nelle acque minerali, come i tensioattivi, gli
antiparassitari e gli idrocarburi; un decreto che permetteva inoltre di
abbassare la quantità di alcuni inquinanti, come l'arsenico e il manganese, con
un trattamento di ozonizzazione, procedimento sospettato di dar luogo a sostanze
indesiderate ancora più pericolose di quelle da eliminare, ossia i bromati,
fortemente cancerogeni.
Un anno dopo, in applicazione della direttiva europea 2003/40, che prevede
l'applicazione dei limiti di legge riguardanti le acque potabili anche per
quelle minerali imbottigliate, il ministero della sanità fu comunque costretto a
dichiarare fuori legge ben 126 marchi di acque minerali, e tuttavia questi
marchi sono ancora in bella mostra sugli scaffali dei supermercati, dato che
nessuno a tutt'oggi ha dato mandato agli organi competenti di imporne il ritiro.
Potenza degli industriali dell'acqua!
Dal punto di vista più strettamente salutistico, alcune sostanze minerali
contenute in diverse acque di falda hanno delle proprietà curative, ma al limite
vanno prescritte soltanto a chi soffre di certe patologie. La stragrande
maggioranza della popolazione non ne ha bisogno e da questo punto di vista non è
giustificato l'enorme consumo di acqua minerale in bottiglia.
Inoltre vanno sfatate delle vere e proprie leggende come quella, ad esempio, che
vede solo in alcuni tipi di acque minerali il potere diuretico. Infatti, anche
se tale effetto è favorito dalla presenza di alcuni composti, come il
bicarbonato, tutte le acque sono diuretiche, dipende dalla quantità che ne viene
bevuta.
Come è leggenda che assumere acqua povera di sodio permette di diminuire
notevolmente la dose quotidiana di questo elemento responsabile
dell'ipertensione, quando è facilmente dimostrabile che bere acqua povera di
sodio comporta una diminuzione trascurabilissima di questo elemento
nell'organismo; molto più efficace è moderare il consumo di sale da cucina.
Infine c'è un altro genere d'inganno che sta prendendo sempre più piede nel
mercato del consumo di acqua, ed è quello dell'acqua microfiltrata.
Infatti oggi, sempre più spesso, nelle bottiglie di plastica in vendita sugli
scaffali dei supermercati, o sui tavoli dei ristoranti, si trova l'acqua
microfiltrata. Questa è pagata a prezzo dell'acqua minerale, ma altro non è che
acqua del rubinetto che è stata messa in bottiglia e ricostituita con l'aggiunta
di anidride carbonica e sali minerali.
L'azienda leader nel mondo nella vendita di "acqua microfiltrata" è la Coca
Cola, che la imbottiglia e la vende soprattutto ai paesi del terzo mondo,
speculando sull'irrinunciabilità ad un bene di prima necessità.
Francesco Aucone
marzo 2010
Fonti:
Dossier Legambiente "La lotteria dei canoni di concessione per le acque
minerali" - del 17 Marzo 2009
http://www.ares2000.net
http://www.galanet.eu
http://www.physorg.com/news131712320.html