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Tuesday December 29, 2009 21:59 by .
IL SUDAFRICA DEL DOPO APARTHEID È DIVISO IN DUE. DA UNA PARTE C’È LA VERITÀ UFFICIALE DELL’ANC, IL PARTITO-STATO, AUTORITARIO E NEOLIBERISTA. DALL’ALTRA, IL NUOVO MOVIMENTO DELLE TOWNSHIP, ABAHLALI, CHE ORGANIZZA LA POLITICA DAL BASSO. KLIPTOWN, NELLA ZONA DI SOWETO, è ora una grande estensione di baracche fatte di lamiera e cartone, fogne a cielo aperto e un livello di disoccupazione che sfiora il 72 per cento. Ma questa ex township ha rappresentato in passato il simbolo della volontà rivoluzionaria di milioni di sudafricani. Nel 1955, il sobborgo ha ospitato i delegati del popolo chiamati a elaborare la Freedom Charter, che ha ispirato per decenni la lotta anti-apartheid. Fu un processo democratico che coinvolse i sudafricani oppressi dal regime, dalle campagne alle città. Cinquantamila volontari percorsero il paese in lungo e in largo, chiedendo alla popolazione segregata quale fosse la sua visione per il Sudafrica del futuroe ottenendo come risposte che «la terra deve essere ridistribuita», che «l’istruzione deve essere gratuita e obbligatoria», «libertà di movimento e diritto di residenza» e «l’eliminazione di tutti i ghetti». Una questione cruciale, per il Sudafrica post-apartheid, è il passaggio dall’idea di nazione costruita su basi non razziali a quella della «rainbow nation»: l’idea astratta della «nazione arcobaleno» è stata costruita dalle narrative dello Stato, calata dall’alto da tecnocrati ed «esperti». Come sostengono diversi studiosi, ad esempio Richard Pithouse e Franco Barchiesi, a quindici anni dalle prime elezioni del ’94 appare evidente che per l’Anc il post-apartheid è un’epoca «postpolitica», in cui la solidarietà nazionale della «rainbow nation» deve prevalere sulle rivendicazioni sociali e politiche. L’unica «vera lotta», quella contro l’apartheid, è stata già vinta e la narrazione ufficiale tenta di riscrivere la storia della resistenza come una lotta condotta solo dall’Anc. Secondo l’ideologia ufficiale, ogni critica al governo e all’Anc equivale a un tradimento dei propri liberatori. E proprio i «liberatori» dell’Anc cercano di sfruttare il mito della Nazione e della lotta all’apartheid per nascondere la crescente povertà, la gestione verticistica e tecnocratica del potere e i tradimenti rispetto alle promesse fatte all’indomani della presa del potere. In quest’ottica, il cosiddetto «service delivery», la fornitura di servizi di base alle baraccopoli e ai cittadini più poveri, è una sorta di dono erogato dal- l’alto, in modo paternalistico e autoritario. Abahlali ha ben chiaro il problema di questa gestione del potere, e ne discute ampiamente nelle assemblee del movimento. Secondo Zodwa Nsibande, attivista di Abahali, «le comunità degli insediamenti devono essere consultate dalle autorità per quel che riguarda i piani di fornitura di servizi o costruzione di case popolari. Ma i politici non hanno rispetto per l’intelligenza dei poveri, credono che non siamo in grado di pensare autonomamente». Il presidente eletto del movimento, S’bu Zikode, dice che «il pensiero tecno- cratico esclude la maggioranza delle persone e viene supportato dalla violenza quando i poveri insistono sul loro diritto di parlare e di essere ascoltati. Da una parte c’è un consulente con il suo computer portatile e dall’altra un giovane ubriaco con una pistola in mano. Possono sembrare a prima vista diversi, ma entrambi servono lo stesso sistema, un sistema dove i poveri devono essere buoni e starsene al loro posto senza pensare o parlare». Nel post-apartheid si è passati dai comitati popolari di quartiere alla «società civile», formata da organizzazioni che servono a creare consenso intorno a interessi specifici. La lotta di Abahlali è radicalmente diversa da quella dei tecnocrati delle Ong. Alla «politica dei partiti» Abahlali contrappone una politica popolare, che i membri del movimento descrivono come una «politica vivente»: l’idea di un modo di fare politica che tutti possono capire e alla cui definizione tutti possono partecipare, opposto in modo radicale al linguaggio burocratico e tecnico che viene usato dalle autorità municipali, dai partiti politici e dalle Ong. La politica di Abahlali, spiegano gli attivisti, abbraccia l’universale. Al centro non ci sono interessi particolari ma i poveri, le persone. Le verità forgiate dalla lotta, elaborate e pensate democraticamente nelle assemblee, sono universali. Dopo le recenti violenze contro il movimento [che Carta ha raccontato: www.carta.org] S’bu Zikode ha detto che «questa democrazia non si cura dei poveri, perciò è nostra responsabilità farla funzionare per tutti i poveri, costruire la forza dei poveri e ridurre quella dei ricchi. Dobbiamo lottare per democratizzare tutti i posti nei quali viviamo, lavoriamo, studiamo e preghiamo». Un’altra caratteristica fondamentale della lotta del movimento è la sua fedeltà. Nella teorizzazione del filosofo politico Alain Badiou, la fedeltà è il «tentativo di sostenere nel pensiero le conseguenze dell’evento». È il rifiuto di tornare allo «status quo ante». La «fedeltà all’evento» non è scontata: richiede un «interesse-disinteressato» da parte dei partecipanti. Non c’è certezza, in questo processo. Se le «avanguardie» politiche conoscono la strada da percorrere, il movimento non la conosce a priori. I membri di Abahlali affermano che «l’alternativa, la direzione della nostra lotta, uscirà dal nostro pensiero, dalle riflessioni che facciamo insieme nelle nostre comunità, in cui ci educhiamo a vicenda e pensiamo la nostra lotta». Abahlali baseMjondolo, quindi, non chiede allo Stato l’elemosina di servizi pubblici e abitazioni popolari. Le richieste pratiche del movimento puntano a vedere realizzati i diritti sociali fondamentali promessi nella Costituzione sudafricana. Le rivendicazioni del movimento sono più pro fonde, e puntano a cambiare i termini stessi dell’inclusione dei poveri della società sudafricana, per trasformare il regime tecnocratico del post-apartheid in una democrazia realmente partecipata da tutti i cittadini. La lotta è per affermare la dignità dei poveri in senso più ampio, sostenendo con forza la loro capacità di esprimersi sulle politiche e sulle scelte che riguardano le loro vite. |
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